Corte di Cassazione, Sez. II civ., 20 agosto 2019, n. 21489

Corte di Cassazione, Sez. II civ., 20 agosto 2019, n. 21489
MASSIMA
Corte di Cassazione, Sez. II civ., 20 agosto 2019, n. 21489
Nel sepolcro ereditario lo ius sepulchri si trasmette nei modi ordinari, per atto inter vivos o mortis causa, come qualsiasi altro diritto, dall’originario titolare anche a persone non facenti parte della famiglia, mentre nel sepolcro gentilizio o familiare – tale dovendosi presumere il sepolcro, in caso di dubbio – lo ius sepulchri è attribuito, in base alla volontà del fondatore, in stretto riferimento alla cerchia dei familiari destinatari del sepolcro stesso, acquistandosi dal singolo iure proprio sin dalla nascita, per il solo fatto di trovarsi col fondatore nel rapporto previsto dall’atto di fondazione o dalle regole consuetudinarie, iure sanguinis e non iure successionis, e determinando una particolare forma di comunione fra contitolari, caratterizzata da intrasmissibilità del diritto, per atto tra vivi o mortis causa, imprescrittibilità e irrinunciabilità. Tale diritto di sepolcro si trasforma da familiare in ereditario con la monte dell’ultimo superstite della cerchia dei familiari designati dal fondatore, rimanendo soggetto, per l’ulteriore trasferimento, alle ordinarie regole della successione mortis causa» (Cass. n. 7000/2012; conf. n. 17122/2018)
In tema di diritto di sepolcro, dalla concessione amministrativa del terreno demaniale destinato ad area cimiteriale al fine di edificazione di una tomba deriva, in capo al concessionario, un diritto di natura reale sul bene (il cosiddetto diritto di sepolcro), la cui manifestazione è costituita prima dalla edificazione, poi dalla sepoltura; tale diritto, che afferisce alla sfera strettamente personale del titolare, è, dal punto di vista privatistico, disponibile da parte di quest’ultimo, che può, pertanto, legittimamente trasferirlo a terzi, ovvero associarli nella fondazione della tomba, senza che ciò rilevi nei rapporti con l’ente concedente, il quale può revocare la concessione soltanto per interesse pubblico, ma non anche contestare le modalità di esercizio del diritto de quo, che restano libere e riservate all’autonomia privata>>
NORME CORRELATE
Civile Sent. Sez. 2 Num. 21489 Anno 2019
Presidente: GORJAN SERGIO
Relatore: TEDESCO GIUSEPPE
Data pubblicazione: 20/08/2019
SENTENZA
sul ricorso 238l2-2015 proposto da:
C. D. PIERO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA P.L. DA PALESTRINA 47, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO LATTANZI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIOVANNI ONOFRI, GIUSEPPE ONOFRI;
– ricorrente –
contro
B. GIANFRANCESCO, B. ALESSANDRO, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA F. CONFALONIERI 2, presso lo studio dell’avvocato  GIANFRANCO PARISI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato AUGUSTO MOSCONI;
– controricorrenti –
nonché contro
B. PAOLO, COMUNE DI BRESCIA in persona del Sindaco pro tempore;
– intimati –
avverso la sentenza n. 11O4/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 22/09/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/O4/2019 dal Consigliere GIUSEPPE TEDESCO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale LUCIO CAPASSO che ha concluso per il rigetto dei primi tre motivi, per l’accoglimento del quarto motivo e per l’assorbimento dei restanti motivi del ricorso;
udito l’Avvocato LATTANZI Filippo difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato PARISI Gianfranco, difensore dei resistenti che ha chiesto l’inammissibilità, o in subordine, il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Nella controversia instaurata da Piero C. D. nei
confronti di B. Alessandro, B. Paolo e B. Gianfrancesco, al fine di accertare che i convenuti non vantavano diritti sulla tomba denominata “D.” posta nel cimitero Vantiniano di Brescia, il Tribunale di Brescia accoglieva la domanda, accertando che il diritto competeva al solo attore. Condannava pertanto i convenuti a far traslare le salme di Alberico B. e Enrica M.
La Corte d’appello di Brescia in riforma della sentenza ha accolto la domanda subordinata dei convenuti, intesa a conseguire il riconoscimento dell’acquisto del diritto per usucapione, mentre ha mantenuto ferma la statuizione del primo giudice in ordine al fatto che non c’era una situazione di contitolarità pro quota del diritto di sepolcro in forza di successione ai soggetti cui competeva originariamente il diritto di sepoltura.
In proposito la corte ha rilevato che gli ultimi soggetti cui competeva tale diritto erano Ludovico Tommaso D., morto nel 1909, e Luigi D., morto nel 1923, i quali erano deceduti senza lasciare figli.
Il primo aveva nominato eredi testamentari Giorgio e Mariuccia C. (di cui i convenuti B. erano nipoti per discendenza diretta) e il secondo aveva nominato erede testamentario Luigi D., padre dell’appeIlante e odierno ricorrente Luigi (nel testamento era chiesto all’erede di unire il suo cognome con quello D.).
Ciò posto la Corte di merito, dopo avere richiamato i principi in materia di sepolcro familiare o gentilizio, ha ritenuto che, nella specie, il sepolcro avesse perso tale connotato, con la conseguente trasformazione in sepolcro ereditario, solo con la morte dell’ultimo superstite nella cerchia dei fondatori, e quindi solo con la morte di Luigi D..
Sulla base di tali considerazioni la corte ha riconosciuto che il diritto alla sepoltura, a quel punto trasmissibile mortis causa, fosse stato acquistato dall’erede  testamentario del medesimo Luigi D. e alla morte di lui dal figlio Piero (attuale ricorrente).
Nello stesso tempo la corte ha riconosciuto che, in considerazione del fatto che la famiglia B. aveva esercitato il diritto di sepoltura da oltre settanta anni nella tomba in questione, ci fossero nella specie i requisiti dell’acquisto del diritto per usucapione, dovendosi escludere in considerazione dell’uso prolungato l’ipotesi della tolleranza eccepita dall’avente diritto.
Per la cassazione della sentenza C. D. Pierto ha proposto ricorso affidato a tredici motivi, cui i B. hanno resistito con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. In via preliminare, in relazione all’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dai controricorrenti, il collegio ritiene di fare proprio il principio secondo il quale <<la tecnica di redazione mediante integrale riproduzione di una serie di documenti si traduce in un’esposizione dei fatti non sommaria, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., e comporta un mascheramento dei dati effettivamente rilevanti, tanto da risolversi ln un difetto di autosufficienza, sicché è sanzionabile con l’inammissibilità, a meno che il coacervo dei documenti integralmente riprodotti, essendo facilmente individuabile ed isolabile, possa essere separato ed espunto dall’atto processuale, la cui autosufficienza, una volta resi conformi al principio di sinteticità il contenuto e le dimensioni globali, dovrà essere valutata in base agli ordinari criteri ed in relazione ai singoli motivi (Cass. 18363/2015)›>.
L’applicazione di tale principio consente di disattendere l’eccezione, posto che nel caso di specie, seppure fra gli atti e i documenti trascritti, ve ne siano alcuni che non sono essenziali per il rispetto del requisito ex  art. 366, comma primo, n. 3 c.p.c., il ricorso è formato in termini tali da consentire di individuare e isolare facilmente le parti sovrabbondanti, la cui eliminazione non pregiudica minimamente la comprensione della vicenda.
2. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dei principi in materia di tombe familiari.
La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la corte ha riconosciuto che, in concomitanza con la morte dell’ultimo superstite della cerchia dei fondatori, il sepolcro si era trasformato da familiare in ereditario. Secondo il ricorrente ciò che rileva, ai fini della permanenza del carattere originario, non è la discendenza, ma la trasmissione del cognome.
Si fa notare al riguardo che l’ultimo titolare del diritto, nel disporne per testamento, aveva voluto che il beneficiario unisse al proprio cognome quello di D..
Sono richiamati in proposito le norme del regolamento cimiteriale.
Il motivo è infondato.
<<Nel sepolcro ereditario lo ius sepulchri si trasmette nei modi ordinari, per atto inter vivos o mortis causa, come qualsiasi altro diritto, dall’originario titolare anche a persone non facenti parte della famiglia, mentre nel sepolcro gentilizio o familiare – tale dovendosi presumere il sepolcro, in caso di dubbio – lo ius sepulchri è attribuito, in base alla volontà del fondatore, in stretto riferimento alla cerchia dei familiari destinatari del sepolcro stesso, acquistandosi dal singolo iure proprio sin dalla nascita, per il solo fatto di trovarsi col fondatore nel rapporto previsto dall’atto di fondazione o dalle regole consuetudinarie, iure sanguinis e non iure successionis, e determinando una particolare forma di comunione fra contitolari, caratterizzata da intrasmissibilità  del diritto, per atto tra vivi o mortis causa, imprescrittibilità e irrinunciabilità. Tale diritto di sepolcro si trasforma da familiare in ereditario con la monte dell’ultimo superstite della cerchia dei familiari designati dal fondatore, rimanendo soggetto, per l’ulteriore trasferimento, alle ordinarie regole della successione mortis causa» (Cass. n. 7000/2012; conf. n. 17122/2018).
La corte ha fatto corretta applicazione di tali principi, essendo infondata la pretesa del ricorrente di considerare l’aggiunta del nome, previsto come onere testamentario a carico del beneficiario, equivalente al rapporto di discendenza.
Analogamente irrilevanti sono i richiamati alle norme contenute nel regolamento per le tumulazioni nel cimitero di Brescia, le cui previsioni non interferiscono con l’applicazione dei principi sopra indicati (in disparte il dubbio, prospettato dal procuratore generale nel corso della discussione orale, se alle relative prescrizioni possa riconoscersi il rilievo di norme di diritto, la cui violazione sia denunciabile in cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c.).
3. Il secondo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo.
Il genitore dell’attuale ricorrente, designato erede testamentario da D. Luigi, ne aveva assunto il cognome, perpetuandolo poi nei discendenti.
Il motivo è assorbito dal rigetto del motivo precedente.
4. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 822, 824, 1140 e 1158 c.c.
Lamenta il ricorrente che il diritto di sepolcro non è suscettibile di usucapione, a prescindere dalla distinzione fra sepolcro gentilizio e familiare, in conseguenza della demanialità dell’area su cui esso insiste.
Si sostiene che il possesso deve esplicarsi non solo nei confronti del privato, ma anche dell’amministrazione, essendo in ogni caso necessaria, ai fini della configurabilità dell’esercizio di fatto, un’autorizzazione comunale o altro provvedimento amministrativo in forma scritta.
In assenza di coinvolgimento della pubblica amministrazione l’usucapione non è configurabile.
Il motivo è infondato.
Il diritto al sepolcro, inteso come diritto alla tumulazione, ha natura reale e patrimoniale; conseguentemente, l’esercizio del potere di fatto corrispondente al contenuto di tale diritto concreta un possesso (art. 1140 cod. civ.) utile per l’usucapione (Cass. n. 1134/2003) e suscettibile di tutela possessoria (Cass n. 1009/2008).
È stato anche chiarito che <<in tema di diritto di sepolcro, dalla concessione amministrativa del terreno demaniale destinato ad area cimiteriale al fine di edificazione di una tomba deriva, in capo al concessionario, un diritto di natura reale sul bene (il cosiddetto diritto di sepolcro), la cui manifestazione è costituita prima dalla edificazione, poi dalla sepoltura. Tale diritto, che afferisce alla sfera strettamente personale del titolare, è, dal punto di vista privatistico, disponibile da parte di quest’ultimo, che può, pertanto, legittimamente trasferirlo a terzi, ovvero associarli nella fondazione della tomba, senza che ciò rilevi nei rapporti con l’ente concedente, il quale può revocare la concessione soltanto per interesse pubblico, ma non anche contestare le modalità di esercizio del diritto <i>de quo</i>, che restano libere e riservate all’autonomia privata>> (Cass. n. 1134/2003).
5. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto, nella parte in cui la corte ha negato che le sepolture fossero avvenute per tolleranza dell’avente diritto, giustificate nel caso di specie dai rapporti familiari.
Si sostiene che la lunga durata del godimento e la sistematicità dell’uso non escludono la tolleranza, ma implicano che l’onere di provarla sia a carico del deducente. Ciò avrebbe imposto alla corte d’appello di ammettere la prova orale per provare la tolleranza stessa.
In ogni caso si rimprovera alla corte di non aver considerato che i fatti oggetto di prova lasciavano emergere, in alternativa alla tolleranza, una situazione di detenzione qualificata compatibile con la lunga durata dell’uso, in assenza di atti di interversione.
A tutto concedere il possesso di controparte potrebbe essere riferito alla sola collocazione dei tre defunti già sepolti, senza la facoltà di fare ulteriori tumulazioni.
6. Il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 2697 c.c., ravvisata nel fatto che la corte di merito ha riconosciuto l’usucapione in assenza di prova dei fatti costitutivi.
6. Il sesto motivo denuncia una pluralità di errores in procedendo:
-omesso esame di un’eccezione di parte.
Il giudice d’appello ha omesso di considerare che il deducente, per negare il possesso, ha fatto valere non solo la tolleranza, ma altresì l’esistenza di un titolo di detenzione incompatibile.
-la mancanza, nella sentenza, di una concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto che l’attuale ricorrente aveva dedotto a sostegno di tale eccezione;
-l’omesso esame e il mancato accoglimento delle istanze di prova orale, in assenza di qualsiasi motivazione.
Il settimo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, identificato nel consenso del titolare del diritto alla sepoltura, censurandosi di nuovo l’omesso esame delle istanze di prova orale.
I motivi, da esaminare congiuntamente, sono fondati nei limiti di seguito indicati.
In materia di acquisto per usucapione di diritti reali immobiliari, poiché l’uso prolungato nel tempo di un bene non è normalmente compatibile con la mera tolleranza, essendo quest`ultima configurabile, di regola, nei casi di transitorietà ed occasionalità, in presenza di un esercizio sistematico e reiterato di un potere di fatto sulla cosa spetta a chi lo abbia subito l’onere di dimostrare che lo stesso è stato dovuto a mera tolleranza (Cass. n. 9275/2018; n. 3404/2009).
E’ stato chiarito che <<in tema di usucapione, per stabilire se un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o altro diritto reale sia stata compiuta con l’altrui tolleranza e sia quindi inidonea all’acquisto del possesso, la lunga durata dell`attività medesima può integrare un elemento presuntivo nel senso dell’esclusione della tolleranza qualora non si tratti di rapporti di parentela, ma di rapporti di mera amicizia o buon vicinato, giacché nei secondi, di per sé labili e mutevoli, è più difficile, a differenza dei primi, il mantenimento della tolleranza per un lungo arco di tempo» (Cass. n. 4237/2008; n. 11277/2015; n. 11315/2018).
La corte ha riconosciuto l’usucapione in base al semplice fatto della sepoltura di alcuni congiunti.
Ha escluso la tolleranza in considerazione dell’uso prolungato e in presenza di un sistematico e reiterato uso del potere di fatto sulla cosa, senza minimamente indagare in ordine ai rapporti fra le parti in causa, emergenti dalla stessa sentenza.
La corte ha inoltre omesso qualsiasi indagine sulla genesi del potere di fatto esercitato dai convenuti, in presenza di deduzioni istruttorie intese a dimostrare che la sepoltura era avvenuta in forza di consenso dell’avente diritto. In termini astratti, infatti, il consenso iniziale è argomento incompatibile con il possesso utile per l’usucapione (Cass. n. 5551/2005; n. 12080/2018).
7. L’ottavo motivo denuncia nullità della sentenza per avere pronunciato ultra petita.
A fronte di una domanda volta a rivendicare la contitolarità del bene in forza di usucapione, la corte ha riconosciuto in motivazione il possesso esclusivo e la piena ed esclusiva proprietà del sepolcro in capo ai convenuti, pur dichiarando in dispositivo genericamente il diritto degli appellanti al sepolcro.
Il nono motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione del giudicato interno.
In ordine al riconoscimento della titolarità del diritto in capo al ricorrente, operata con la sentenza di primo grado, i B. non avevano proposto appello.
Il decimo motivo denuncia violazione di norme di diritto.
Si lamenta che l’estromissione del ricorrente da ogni diritto quale concessionario del bene, da ritenere equivalente a una sua decadenza dalla concessione, non potrebbe essersi verificata in assenza del coinvolgimento della pubblica amministrazione.
L’undicesimo motivo denuncia nullità della sentenza per grave anomalia motivazionale o per mancanza assoluta di motivazione relativamente all’esclusione del ricorrente dal diritto di sepolcro.
Il dodicesimo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto.
Il riconoscimento della titolarità esclusiva in capo a uno dei partecipanti alla comunione implicava che costui avesse posto in essere atti idonei a mutare il titolo del possesso, ciò che, nella specie, non era avvenuto.
Il tredicesimo motivo denuncia violazione dell’art. 92 c.p.c.
La corte ha ritenuto assorbito l’appello incidentale con il quale l’attuale ricorrente aveva censurato la sentenza di primo grado per avere compensato le spese di lite, in assenza di ragioni idonee in tal senso, essendo state accolte le domande dell’attore e rigettate le domande e deduzioni dei convenuti.
I motivi dall’ottavo al tredicesimo sono assorbiti.
8. In conclusione la sentenza deve essere Cassata in relazione al quarto, quinto e sesto motivo, con rinvio alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione, affinché valuti la domanda riconvenzionale di usucapione in conformità ai principi sopra indicati e regoli le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
rigetta il primo, il secondo e il terzo motivo; accoglie il quarto, il quinto e il sesto nei limiti di cui in motivazione; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione anche per le spese.
Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 10 aprile 2019.
Il Giudice Estensore (Giuseppe Tedesco)
Il Presidente (Sergio Gorjan)
Il Funzionario Giudiziario (dott.sa Simona Cicardello)
Depositato in Cancelleria- Roma 20 agosto 2019

Written by:

Sereno Scolaro

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