TAG: Attività funebre | casa funeraria /// Norme correlate: Art. 92 d.P.R. 10/9/1990, n. 285
Massima
[ I ] Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione Civile del 7 ottobre 1994 n. 8197 hanno infatti affermato che “… nel nostro ordinamento, il diritto sul sepolcro già costruito nasce da una concessione da parte dell'autorità amministrativa di un'area di terreno (o di una porzione di edificio) in un cimitero pubblico di carattere demaniale (art. 824 c.c.) e tale concessione, di natura traslativa, crea, a sua volta, nel privato concessionario, un diritto soggettivo perfetto di natura reale, e perciò, opponibile, iure privatorum, agli altri privati, assimilabile al diritto di superficie, che si affievolisce, degradando ad interesse legittimo, nei confronti della P.A. nei casi in cui esigenze di pubblico interesse per la tutela dell'ordine e del buon governo del cimitero, impongono o consigliano alla P.A. di esercitare il potere di revoca della concessione …”. [ II ] Il Consiglio di Stato, preso atto che il cd. ius sepulchri costituisce, nei confronti della pubblica amministrazione concedente, un “diritto affievolito in senso stretto” ammette che esso debba soggiacere ai poteri regolativi e conformativi di stampo pubblicistico, inclusi quelli autoritativi della P.A. concedente a fronte dei quali sono configurabili “… solo interessi legittimi, atteso che dalla demanialità del bene discende l'intrinseca cedevolezza del diritto, che trae origine da una concessione amministrativa su un bene pubblico …” (C.S., V Sezione, 23 novembre 2018 n.6643; 26 settembre 2022, n.8248). [ III ] il Consiglio di Giustizia amministrativa ha riconosciuto che, in presenza di gravi e significative ragioni di interesse pubblico, quale ad esempio l’insufficienza del cimitero a soddisfare le esigenze di sepoltura e l’impossibilità di ampliarlo o di destinare a cimitero altre aree comunali possa “… essere esercitato il potere di revoca dello ius sepulchri, che compete in via generale nei confronti di concessioni rilasciate su beni demaniali comunali, nell'ambito dei quali, ai sensi dell'art. 824, comma 3, cod. civ., rientrano i cimiteri, perché atti dispositivi, in via amministrativa, non possono configurarsi senza limiti di tempo e la concessione da parte di un comune di area del cimitero pubblico è assoggettata al regime demaniale dei beni indipendentemente dalla perpetuità del diritto di sepolcro …” (C.G.A., Sez. giurisdizionale, 16 aprile 2015 n.321). Ritiene il Collegio che il principio ricavabile dalle pronunzie richiamate è che la pubblica amministrazione possa sempre modificare il contenuto dei titoli concessori e/o autorizzatori relativi ad aree demaniali cimiteriali originariamente rilasciati, così come revocare le concessioni su aree demaniali cimiteriali. Dunque, a maggior ragione va riconosciuta la possibilità di modificare queste ultime da perpetue in temporanee. L’unico argomento contrario in tal senso potrebbe infatti estrapolarsi da una lettura “in negativo” dell’art.92 del citato D.P.R. 285, che, disciplinando la revoca delle concessioni cimiteriali, non contempla, fra quelle revocabili, le concessioni perpetue. Il che dovrebbe sottintendere la volontà del legislatore di renderle irrevocabili, attribuendogli una sorta di intangibilità ex lege. Vi sono tuttavia plurime ragioni che inducono a disattendere questa opzione, prima delle quali è che, vigendo per le concessioni in generale, e per quelle demaniali in particolare, la regola della normale revocabilità, siffatta previsione eccezionale avrebbe dovuto essere espressamente contemplata dal legislatore, al cui silenzio sul punto – stando così le cose – giammai si potrebbe attribuire il preteso inequivoco valore esonerativo. [ IV ] La possibilità di conversione è assolutamente coerente con la natura del potere concessorio, che giammai potrebbe consentire alla Pubblica Amministrazione di consegnare in modo irreversibile un bene demaniale (e quindi di assegnargli un vantaggio) al privato, senza riservarsi la possibilità di ritornare sulle sue determinazioni. Questo, infatti, stravolgerebbe la funzione stessa del rapporto concessorio, la cui permanenza in vita ha senso finché è attuale l’interesse pubblico al suo mantenimento. La qual cosa, a sua volta, presuppone la conservazione, in capo alla P.A., del potere di valutarne la convenienza pubblica per tutta la sua durata.
Testo
Consiglio di Stato, Sez. VII, 4 marzo 2024, n. 2111
Pubblicato il 04/03/2024
N. 02111/2024REG.PROV.COLL.
N. 01832/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1832 del 2023, proposto da Giampietro D., rappresentato e difeso dall’avvocato Massimo Giavazzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Bergamo, via XX Settembre n. 29;
contro
Comune di Bergamo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Vito Gritti, Silvia Mangili, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima) n. 1374/2022
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Bergamo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2023 il Cons. Sergio Zeuli
Viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso con cui la parte appellante chiedeva accertarsi il diritto degli eredi di Giovanni P. (e tra essi il sig. Giampietro D.) di proseguire nell’occupazione dell’area sulla quale è stata fabbricata la cappella di famiglia «fino a che l’area attualmente destinata per il cimitero della Città di Bergamo conserverà tale specifica destinazione» e, in subordine, fino al settantacinquesimo anno dall’entrata in vigore del nuovo regolamento di polizia mortuaria del Comune di Bergamo approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 14 del 20/1/2012.
A supporto del gravame la parte espone le seguenti circostanze di fatto:
– è titolare, insieme agli altri coeredi, della concessione cimiteriale originariamente intestata a Giovanni P., accordata, nel 1960, per l’edificazione di una “edicola funeraria di famiglia” al corrispettivo di lire 896.100, corrispondente ad un importo odierno di circa euro 45.000,00 su di un’area di mq. 29,87 con diritto di uso perpetuo fino a che l’area avesse conservato la destinazione a cimitero della città di Bergamo;
– il Comune, contraddicendo gli impegni negoziali, intendeva imporre la retroattività del Regolamento di polizia mortuaria e dei servizi cimiteriali approvato nel 2012 con particolare riferimento alla previsione dell’art.86, a norma del quale tutte le concessioni cimiteriali sono a tempo determinato, con decorrenza iniziale con l’assegnazione della sepoltura o dell’area;
– per quanto concerneva le cappelle la durata è di anni settantacinque;
– poiché l’originaria concessione, anche se perpetua, prevedeva che gli aventi diritto, allo scadere di ogni trentennio, avrebbero dovuto chiedere la riconferma, a condizione che l’edicola funeraria fosse conservata in buono stato di manutenzione, fu ottenuta una prima riconferma nel 1990;
– nel 2020, la parte appellante presentava la seconda richiesta di riconferma che tuttavia gli uffici comunali vollero qualificare quale richiesta di rinnovo, così assoggettando il relativo procedimento alla disciplina del nuovo regolamento cimiteriale del 2012, sui rinnovi della concessione;
– di conseguenza esigevano il pagamento del canone vigente all’atto del rinnovo per la concessione dell’area e consentivano al rilascio solo per un altro periodo, così da rendere temporanea una concessione originariamente costituita come perpetua;
– infatti, proseguiva la parte appellante, nel provvedimento del Responsabile dei Servizi cimiteriali del 27 ottobre del 2020 che richiedeva il pagamento di euro 60.271,92 quale corrispettivo del rinnovo, veniva richiamato: a) l’art.7 del contratto originario di concessione, che subordinava la concessione all’accettazione e osservanza delle norme, istruzioni etc. etc. in materia di polizia mortuaria e del vigente regolamento cimiteriale; b) l’art.35 del regolamento cimiteriale del 1960, vigente al momento della stipula della concessione che prevedeva che la riconferma sarebbe stata accordata previo versamento della tariffa in vigore all’atto della richiesta; c) l’art.88 comma 4 del nuovo regolamento cimiteriale, che stabilisce che le concessioni possono essere rinnovate entro tre mesi successivi alla scadenza per un altro periodo, previo pagamento del canone vigente all’atto del rinnovo;
– la parte appellante propose allora di ritenere riconfermata la concessione per la durata di settantacinque anni senza corrispettivo, ma la sua proposta non fu accolta;
– infatti, il responsabile ritenne che – poiché ai sensi degli articoli 4 e 7 dell’originaria concessione dell’1 ottobre del 1960, il concessionario si era obbligato, allo scadere di ogni trentennio, a chiedere la riconferma della concessione, salvo diverse disposizioni di legge o di regolamento in materia e che l’accettazione era subordinata all’accettazione delle norme attuali e future – al rapporto dovesse trovare applicazione la sopravvenuta disciplina regolamentare, stante la volontà dell’ente espressa sin da allora di volersi riservare l’applicazione delle nuove norme che eventualmente fossero in futuro emanate.
La sentenza appellata ha respinto il ricorso ritenendo applicabile la nuova disciplina al rapporto concessorio, in quanto oggetto di rinnovo.
Avverso la decisione è sollevato un unico articolato motivo di appello con il quale la parte contesta alla sentenza impugnata il travisamento dei presupposti per avere erroneamente equiparato riconferma e rinnovo, l’illegittimità di un’interpretazione del regolamento che consenta di convertire una concessione perpetua in concessione temporanea. Ed infine, in subordine, nel caso di ritenuta applicabilità del nuovo regolamento, chiede dichiararsi la cessazione dell’efficacia della concessione dopo trentacinque anni dalla data dell’originario rilascio, ossia con scadenza all’1 ottobre del 2035.
2. Si è costituito in giudizio il Comune di Bergamo, contestando l’avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame.
DIRITTO
3. Con il motivo d’appello il ricorrente deduce, in via principale, l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui avrebbe confuso l’istanza di riconferma della concessione cimiteriale, presentata dal D., nel 2020, alla scadenza del secondo trentennio, con la tutt’affatto diversa istanza di rinnovo della concessione prevista solo dal nuovo regolamento. Questo errore avrebbe indotto il giudice di primo grado a ritenere applicabili al rapporto concessorio le norme di questo sopravvenuto regolamento di polizia mortuaria con automatica trasformazione da perpetua a temporanea della concessione di cui alla controversia.
Viceversa la parte appellante sostiene che il nuovo regolamento non poteva essere applicato retroattivamente e che, di conseguenza, la concessione avrebbe conservato l’originario carattere di perpetuità.
3.1. Il primo sub-motivo al motivo di appello rappresenta che, anche a volerlo ritenere applicabile, il regolamento comunale del 30 gennaio 2012 potrebbe al più avere effetti sul rapporto controverso solo per il futuro e giammai per il passato, con la conseguenza di renderlo ad tempus, con l’applicazione della durata di settantacinque anni dal momento dell’entrata in vigore dell’atto generale, ossia a far data dal 30 gennaio del 2012 e dunque fino al 30 gennaio del 2087.
4. Ritiene il Collegio che la questione veramente dirimente, ai fini della soluzione della controversia sia la seconda, ossia quella relativa al se ed in ipotesi e soprattutto, in che limiti le norme del nuovo regolamento di polizia mortuaria fossero applicabili al rapporto concessorio in questione, sorto – converrà ricordarlo – quale concessione perpetua nel 1960.
Non vi è dubbio, infatti, che nel caso di specie si sia in presenza di una concessione perpetua con clausola di riconferma ogni trenta anni al fine di verificare lo stato di conservazione del bene dato in concessione.
L’oggetto del giudizio è quindi costituito dalla verifica della possibilità di incidere in via unilaterale su una concessione cimiteriale perpetua trasformandola in concessione a tempo determinato e sugli effetti temporali di tale modifica.
Risolto questo problema diviene pressoché irrilevante il come qualificare la domanda che la parte, alla scadenza del secondo trentennio della concessione, ossia nel 2020, presentò al Comune per continuare a fruire del bene, trattandosi di questione opposta al solo fine di sottrarre la fattispecie all’applicazione della normativa sopravvenuta, ma che è questione la cui soluzione, come si dirà, è tuttavia implicita nella suddetta, dirimente, questione relativa ai limiti di applicazione del regolamento.
4.1. Si tratta dunque di accertare se il comune sia o meno titolare, nell’adozione del regolamento di polizia mortuaria, del potere di incidere, modificando, revocando o, come nel caso di specie, “trasformando” da perpetue in temporanee le concessioni rilasciate prima della sua emanazione. Nel caso di specie, ciò equivale ad interrogarsi sul se la previsione di cui all’art.86 del regolamento di polizia mortuaria approvato il 30 gennaio del 2012 dal Consiglio Comunale di Bergamo – che prevede che tutte le concessioni cimiteriali abbiano durata determinata – fosse o meno applicabile anche alle concessioni che, come quella in esame, in vigenza della vecchia disciplina, erano state rilasciate a tempo indeterminato.
Il giudice di prime cure ha ritenuto questa previsione applicabile alla concessione de qua, tuttavia ha attribuito alla norma eccessiva estensione temporale che, a parere di questo giudice d’appello, è in contrasto col principio generale del divieto di retroattività di normativa sfavorevole e con la tutela dell’affidamento del cittadino negli atti della pubblica amministrazione.
Prima di ritornare su questa precisazione sarà bene ricostruire il quadro giurisprudenziale e normativo in materia, che, per quanto riguarda la questione di fondo, sembra pacificamente ammettere l’esistenza di un potere dell’ente locale di revocare e/o modificare le concessioni perpetue, trasformandole in temporanee.
4.2. Sotto il primo profilo, sia la giurisprudenza civile che quella amministrativa, dopo una prima iniziale posizione negativa, riconoscono oramai siffatta possibilità, fondandosi sulla naturale revocabilità del provvedimento di concessione del bene demaniale.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione Civile del 7 ottobre 1994 n. 8197 hanno infatti affermato che “… nel nostro ordinamento, il diritto sul sepolcro già costruito nasce da una concessione da parte dell’autorità amministrativa di un’area di terreno (o di una porzione di edificio) in un cimitero pubblico di carattere demaniale (art. 824 c.c.) e tale concessione, di natura traslativa, crea, a sua volta, nel privato concessionario, un diritto soggettivo perfetto di natura reale, e perciò, opponibile, iure privatorum, agli altri privati, assimilabile al diritto di superficie, che si affievolisce, degradando ad interesse legittimo, nei confronti della P.A. nei casi in cui esigenze di pubblico interesse per la tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero, impongono o consigliano alla P.A. di esercitare il potere di revoca della concessione …”.
Vanno registrate anche posizioni più restrittive, secondo le quali, ove il Comune abbia provveduto al rilascio di una concessione perpetua, antecedentemente all’entrata in vigore del d.P.R. n. 800 [rectius: 803; N.d.R.] del 1975, lo stesso ente territoriale non ne può modificare la disciplina, rideterminando unilateralmente il canone periodico, dal momento che i rapporti patrimoniali tra concedente e concessionario sono regolati dall’atto di concessione e non possono ammettersi interventi successivi dell’Amministrazione, diretti ad incidere negativamente sulla sfera giuridica ed economica del destinatario, con l’eccezione della revoca per motivi pubblicistici legati all’insufficienza degli spazi rispetto ai fabbisogni cimiteriali comunali, purché siano decorsi cinquanta anni dalla tumulazione dell’ultima salma (Cass. civ., I, n. 18001/2023).
Il Consiglio di Stato, preso atto che il cd. ius sepulchri costituisce, nei confronti della pubblica amministrazione concedente, un “diritto affievolito in senso stretto” ammette che esso debba soggiacere ai poteri regolativi e conformativi di stampo pubblicistico, inclusi quelli autoritativi della P.A. concedente a fronte dei quali sono configurabili “… solo interessi legittimi, atteso che dalla demanialità del bene discende l’intrinseca cedevolezza del diritto, che trae origine da una concessione amministrativa su un bene pubblico …” (C.S., V Sezione, 23 novembre 2018 n.6643; 26 settembre 2022, n.8248).
Anche il Consiglio di Giustizia amministrativa ha riconosciuto che, in presenza di gravi e significative ragioni di interesse pubblico, quale ad esempio l’insufficienza del cimitero a soddisfare le esigenze di sepoltura e l’impossibilità di ampliarlo o di destinare a cimitero altre aree comunali possa “… essere esercitato il potere di revoca dello ius sepulchri, che compete in via generale nei confronti di concessioni rilasciate su beni demaniali comunali, nell’ambito dei quali, ai sensi dell’art. 824, comma 3, cod. civ., rientrano i cimiteri, perché atti dispositivi, in via amministrativa, non possono configurarsi senza limiti di tempo e la concessione da parte di un comune di area del cimitero pubblico è assoggettata al regime demaniale dei beni indipendentemente dalla perpetuità del diritto di sepolcro …” (C.G.A., Sez. giurisdizionale, 16 aprile 2015 n.321).
Ritiene il Collegio che il principio ricavabile dalle pronunzie richiamate è che la pubblica amministrazione possa sempre modificare il contenuto dei titoli concessori e/o autorizzatori relativi ad aree demaniali cimiteriali originariamente rilasciati, così come revocare le concessioni su aree demaniali cimiteriali. Dunque, a maggior ragione va riconosciuta la possibilità di modificare queste ultime da perpetue in temporanee.
4.3. La seconda prospettiva attraverso la quale va verificata l’ammissibilità di un intervento regolamentare sulle concessioni cimiteriali perpetue parte dall’analisi dell’assetto normativo della materia, attualmente configurato dal D.P.R. n.285 del 1990 contenente il “Regolamento di Polizia Mortuaria”, che, converrà sin d’ora anticipare, è pienamente sintonico con gli arresti giurisprudenziali sopra-ricordati.
L’unico argomento contrario in tal senso potrebbe infatti estrapolarsi da una lettura “in negativo” dell’art.92 del citato D.P.R. 285, che, disciplinando la revoca delle concessioni cimiteriali, non contempla, fra quelle revocabili, le concessioni perpetue. Il che dovrebbe sottintendere la volontà del legislatore di renderle irrevocabili, attribuendogli una sorta di intangibilità ex lege.
4.3.1. Vi sono tuttavia plurime ragioni che inducono a disattendere questa opzione, prima delle quali è che, vigendo per le concessioni in generale, e per quelle demaniali in particolare, la regola della normale revocabilità, siffatta previsione eccezionale avrebbe dovuto essere espressamente contemplata dal legislatore, al cui silenzio sul punto – stando così le cose – giammai si potrebbe attribuire il preteso inequivoco valore esonerativo.
4.3.2. Oltre ad essere distonico con la generale revocabilità della concessione, il sostenere che l’irrevocabilità delle concessioni perpetue trovi conferma nell’art. 92 del D.P.R. 285 del 1990 (rectius: nel suo silenzio) risulta anche improprio alla luce dell’oggetto di questa disposizione, che limitandosi a disciplinare la sola revoca delle concessioni a tempo determinato, non sembra possa avere la prospettata portata generalista.
Aggiungasi che, laddove forzosamente gliela si volesse attribuire, questa estensione includerebbe anche, e forse soprattutto, la prima parte della disposizione che, affermando espressamente che le concessioni cimiteriali sono sempre a durata determinata, finirebbe per dimostrare l’esatto contrario, e cioè che – come peraltro ritenuto dalla sentenza impugnata – la norma avrebbe prodotto una conversione legale generalizzata di tutte le concessioni perpetue in concessioni temporanee.
4.3.3. Concludendo sul punto, si può pacificamente affermare pertanto che, nella legislazione vigente, non esiste alcuna norma che, espressamente, neghi o consenta la revoca delle concessioni perpetue.
Il che significa che, per risolvere la questione, occorre riferirsi in via residuale ai principi che regolano l’istituto della concessione in generale.
E poiché nel sistema, è quasi superfluo ribadirlo, indiscutibilmente vige la regola –precipitata dalla stessa loro funzione – che le concessioni siano normalmente revocabili, ed a fortiori che lo siano quelle su beni demaniali, da ciò consegue la legittimità di un intervento comunale che, o con singolo atto con conseguente applicazione di tutti i principi dell’istituto della revoca, o, preferibilmente attraverso una regolamentazione generale astratta, come nel caso di specie, trasformi le concessioni originariamente perpetue in concessioni temporanee.
4.4. D’altronde, come si osservava, tale possibilità di conversione è assolutamente coerente con la natura del potere concessorio, che giammai potrebbe consentire alla Pubblica Amministrazione di consegnare in modo irreversibile un bene demaniale (e quindi di assegnargli un vantaggio) al privato, senza riservarsi la possibilità di ritornare sulle sue determinazioni. Questo, infatti, stravolgerebbe la funzione stessa del rapporto concessorio, la cui permanenza in vita ha senso finché è attuale l’interesse pubblico al suo mantenimento. La qual cosa, a sua volta, presuppone la conservazione, in capo alla P.A., del potere di valutarne la convenienza pubblica per tutta la sua durata.
Del resto, sia pure in relazione ad un’ipotesi eccezionale, la possibilità di convertire il rapporto è riconosciuta dallo stesso D.P.R. n.285 del 1990 all’art.98 che, in caso di demolizione del cimitero, riconosce ai titolari di una concessione perpetua ivi rilasciata il diritto di convertirla in una temporanea della durata di novantanove anni, su di un’area, da individuare, del nuovo cimitero.
4.5. Dalla ritenuta legittimità del potere di convertire le concessioni perpetue in temporanee discende che alla fattispecie di cui alla controversia era applicabile l’articolo 86 del nuovo regolamento comunale del 2012 che appunto ha previsto che tutte le concessioni cimiteriali, da quel momento in poi, dovessero avere durata determinata.
5. A quest’ultimo approdo, come ricordato, era pervenuta anche la sentenza impugnata che tuttavia, considerando che la parte, nel 2020, avesse inteso “rinnovare” e non “riconfermare” la vecchia concessione, ha ritenuto integralmente applicabile la nuova disciplina, trattandosi di un rapporto per l’appunto ricreatosi “ex novo”. Da tanto il giudice di prime cure ha anche fatto discendere l’assoggettamento della parte appellante ai nuovi obblighi, ivi compresi il pagamento del corrispettivo previsto per il rilascio di “nuova concessione” e, conseguentemente, il Comune ha richiamato la sentenza di questo Consiglio di Stato sez. V, n. 2082/2023, che è però relativa a un caso diverso in cui vi era stato un atto di novazione della originaria concessione.
Or bene, mentre nella prima parte, per i motivi appena visti, va confermata, viceversa in questa seconda parte, ossia dove ritiene che l’attuale regolamento debba trovare integralmente applicazione, anche per quanto concerne condizioni e limiti, al rapporto concessorio de quo, la sentenza deve essere riformata perché non ha adeguatamente approfondito il rapporto tra l’applicazione del nuovo regolamento ed il divieto di irretroattività degli atti sfavorevoli.
A causa della cogenza di codesto principio, il regolamento, con la sua efficacia trasformativa, va infatti applicato alla vecchia concessione perpetua, solo dal momento della sua entrata in vigore e non prima. Ciò a sua volta implica che la concessione di cui si discute, in virtù dell’art.86 del regolamento comunale, si è trasformata da perpetua in temporanea solo dal 30 gennaio del 2012 e, poiché la lett. e) del comma 3 di questo articolo prevede che le concessioni aventi ad oggetto le cappelle funerarie abbiano una durata di settantacinque anni, è quest’ultimo il termine di efficacia della presente concessione, che, calcolato con decorrenza dall’entrata in vigore del regolamento comunale, è destinato a scadere il 30 gennaio del 2087. Senza, beninteso, che la parte sia tenuta a versare altri corrispettivi, rispetto a quanto già pagato nel 1960 al momento del rilascio del titolo, perché il suddetto effetto discende dalla naturale applicazione delle nuove disposizioni del regolamento che ha efficacia solo nel tempo successivo alla sua emanazione.
A voler diversamente ritenere, inevitabilmente si attribuirebbe efficacia retroattiva in peius alla disposizione dell’art.86, che verrebbe inammissibilmente ad avere, ora per allora (ossia al momento del rilascio), e non solo dalla sua entrata in vigore, come deve essere, l’effetto di convertire l’originaria concessione, che era stata “pagata” come perpetua, in concessione a tempo determinato (cfr. per un caso analogo CGARS n.762 del 2020).
4.6. La parte appellata obietta a suddetta ricostruzione l’esistenza di tre dati che, se correttamente interpretati, renderebbero viceversa applicabile in toto la nuova normativa senza necessariamente implicare la retroattività della normativa sfavorevole.
Essi riverrebbero rispettivamente: 1 dalla domanda della parte del 2020, qualificabile quale domanda di “rinnovo”, e dunque di rifondazione di un nuovo rapporto concessorio, come tale assoggettabile al nuovo regime; 2. dall’art.124 del nuovo regolamento, che al comma 1 espressamente prevede che le nuove disposizioni si applicano anche “alle concessioni ed ai rapporti anteriori alla sua entrata in vigore”, e al comma 3 prevede che “le concessioni perpetue, alla scadenza del periodo indicato nell’atto di concessione, possano essere rinnovate”; infine 3. dalle clausole contrattuali originariamente sottoscritte dal dante causa della parte appellante che si era impegnato a rispettare integralmente la normativa sopravvenuta, in essa dovendosi implicitamente ricomprendere anche il rischio che la concessione perpetua fosse riconvertita in temporanea.
4.6.1. Nessuno di questi tre dati, ancorché suggestivi, è idoneo ad inficiare le conclusioni raggiunte nei precedenti paragrafi.
4.6.1.1. Quanto alla riqualificazione della domanda quale rinnovo, come si accennava nell’incipit della parte in diritto, la questione diviene rilevante solo qualora si ritenga applicabile, retroattivamente, il nuovo regolamento. Il lemma “rinnovo”, con le sue implicazioni di effetti giuridici, infatti, è stato introdotto da questo testo al comma 3 che lo riferisce alle concessioni perpetue in corso, che, per la previgente disciplina, andavano solo “riconfermate”, sennonché – una volta escluso che a queste ultime le suddette norme possano essere applicate in via retroattiva – va parimenti escluso che possa rilevare la differenza, sottesa dalla innovazione in esame, tra riconferma e rinnovo.
4.6.1.2. Per la medesima ragione non può ritenersi applicabile alla fattispecie l’articolo 124 del regolamento, né nel suo primo comma, né nel suo terzo comma, perché si tratta di norme che, laddove interpretate nel senso di convertire “ora per allora” le concessioni perpetue in concessioni temporanee, sarebbero senz’altro illegittime perché in contrasto con il suddetto divieto di irretroattività.
4.6.1.3. Quanto alle clausole contrattuali con le quali il dante causa della parte appellante si era impegnato a rispettare ed a ritenere applicabili tutte le norme sopravvenute, l’interpretazione della parte appellata si pone in contrasto, oltre che indirettamente con il divieto di irretroattività, anche con le norme di cui agli articoli 1362 e 1366 del codice civile, in materia di interpretazione del contratto.
Infatti, sostenere che, attraverso quelle clausole, l’originario concessionario avesse inteso accettare norme sopravvenute che avessero quale effetto quello di stravolgere radicalmente l’originario contenuto contrattuale, trasformando in temporanea una concessione ritenuta ( e pagata) come concessione perpetua, rappresenta sicuramente un’interpretazione del contratto contraria a buona fede e comunque non congruente rispetto alla comune intenzione delle parti quale obiettivamente emerge dal testo contrattuale. In base a quest’ultimo, al più, si potrebbe attribuire a detta clausola l’effetto di consentire modifiche non retroattive della concessione nel senso qui prospettato.
4.7. In definitiva, non essendovi elementi idonei a confutare quella che, in riferimento alle norme applicabili, si presenta come la più plausibile ricostruzione della fattispecie, ed anche considerando che tutte le opzioni contrarie rischiano di essere indirettamente elusive del divieto di retroattività della norma sfavorevole, va ribadito che l’avvento del regolamento del 2012 ha trasformato, con effetto dalla sua entrata in vigore, l’originaria concessione perpetua in concessione temporanea e che quest’ultima, a norma di regolamento, scadrà decorsi settantacinque anni dall’approvazione di questo, avvenuta il 30 gennaio del 2012.
Tale soluzione è quella che consente di non ledere l’affidamento che il privato fece nel 1960 sugli atti della pubblica amministrazione, pagando un corrispettivo all’epoca elevato per una concessione perpetua e, pur nella consapevolezza delle sopra descritte caratteristiche del rapporto concessorio, affidamento che risulterebbe inevitabilmente leso se si consentisse oggi, così come preteso dal Comune, di imporre, per effetto di un regolamento sopravvenuto, il pagamento immediato di ingenti somme per mantenere la concessione cimiteriale già utilizzata per la sepoltura dei propri parenti.
Tale affidamento è invece salvaguardato dalla soluzione qui raggiunta che, pur consentendo all’amministrazione di incidere sulle concessioni in essere, ne vieta un effetto retroattivo e rende efficaci le modifiche e il limite dei 75 anni di tutte le concessioni solo pro futuro, nel rispetto del principio secondo cui i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede (oggi codificato dall’art. 1, comma 2-bis, della legge n. 241/1990, che costituisce disposizione di natura interpretativa rispetto a un principio già presente nell’ordinamento, come affermato da Cons. Stato, VII, n. 8545/2023).
5. Nei sensi di cui in premessa va conclusivamente accolto il gravame.
Alla soccombenza del Comune seguono le spese del doppio grado di giudizio nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado nei sensi di cui in parte motiva.
Condanna il Comune appellato a rifondere all’appellante le spese del doppio grado del giudizio, liquidate nella complessiva somma di € 8.000,00 (di cui € 3.000,00 per il primo grado ed € 5.000,00 per il secondo grado), oltre gli accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2023 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Chieppa, Presidente
Fabio Franconiero, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere
Raffaello Sestini, Consigliere
Sergio Zeuli, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE (Sergio Zeuli)
IL PRESIDENTE (Roberto Chieppa)
IL SEGRETARIO