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Massima
Testo
Consiglio di Stato, Sez. VII, 17 giugno 2024, n. 5432
Pubblicato il 17/06/2024
N. 05432/2024REG.PROV.COLL.
N. 02969/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2969 del 2022, proposto dal Comune di Vaprio d’Adda (MI), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Carlo Orlandi e con domicilio digitale come da P.E.C. da Registri di Giustizia;
contro
sigg.ri -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall’avv. Alessandro Tozzi e con domicilio eletto presso lo studio dello stesso, in Roma, largo Messico, n. 7;
per la riforma
previa sospensione dell’esecutività,
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Milano, Sezione Quarta, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, con cui è stato accolto il ricorso R.G. n. -OMISSIS-.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza appellata, presentata in via incidentale dal Comune appellante;
Vista la memoria di costituzione e difensiva degli appellati;
Vista l’ordinanza n. -OMISSIS-, con cui è stata respinta l’istanza cautelare;
Vista l’ordinanza collegiale n. -OMISSIS- con cui, in accoglimento delle istanze delle parti, è stato disposto il rinvio della trattazione della causa;
Visti le memorie, i documenti e le repliche delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 aprile 2024 il Cons. Pietro De Berardinis e uditi per le parti l’avv. Giuseppe Pinto in sostituzione dell’avv. Carlo Orlandi e l’avv. Alessandro Tozzi;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso indicato in epigrafe il Comune di Vaprio d’Adda (MI) ha impugnato la sentenza del T.A.R. Lombardia – Milano, Sez. IV, n. -OMISSIS-, chiedendone la riforma, previa sospensione dell’efficacia.
1.1. La sentenza appellata ha accolto la domanda dei sigg.ri -OMISSIS- di condanna del Comune di Vaprio d’Adda al risarcimento dei danni da essi subiti in conseguenza del provvedimento di decadenza della concessione cimiteriale intestata alla famiglia -OMISSIS-(di cui i ricorrenti assumono di essere discendenti), emanato da detto Comune nel 2016, che ha comportato la traslazione di alcune delle salme dei loro congiunti altrove e la perdita di altre salme.
1.2. Dalla ricostruzione della vicenda svolta dalle parti del giudizio è emerso quanto segue: nel 2019 il sig. -OMISSIS-, recatosi al cimitero di Vaprio d’Adda, non vi trovava più la tomba di famiglia (una cappella gentilizia del 1940 contenente dodici loculi) e dopo alcune ricerche appurava che la tomba della madre e quelle di altri due familiari erano state spostate nel c.d. campo di consunzione, mentre la tomba del padre era stata spostata direttamente nell’ossario comune, come quella degli altri defunti della cappella, e non era più rintracciabile. La cappella recava ora l’intestazione di un’altra famiglia.
1.3. Al riguardo si era verificato che il Comune di Vaprio d’Adda, avendo accertato uno stato di abbandono della cappella gentilizia per degrado delle sue parti in muratura, aveva affisso in data 18 marzo 2014 un cartello sulla predetta cappella, nel quale si avvertiva che, in mancanza di interventi di ripristino, sarebbe stata pronunciata la decadenza della concessione cimiteriale, che sarebbe stata riassegnata ad altri. Non essendo stato eseguito alcun intervento, con provvedimento del -OMISSIS- il Comune dichiarava lo stato di abbandono della cappella e la decadenza della concessione cimiteriale. L’estumulazione delle salme non veniva verbalizzata e il loro trasferimento in altra parte del cimitero si verificava solo per alcune delle bare e in via di fatto.
2. I sigg.ri -OMISSIS-, agendo in qualità di eredi della famiglia -OMISSIS—OMISSIS-, proponevano innanzi al T.A.R. Lombardia un’azione di risarcimento dei danni patiti per l’illegittima decadenza della concessione cimiteriale, la traslazione delle salme e la perdita di alcune di esse. Lamentavano, in proposito, di non essere stati avvisati dal Comune, che non avrebbe neppure pubblicato su internet la comunicazione dello stato di abbandono, in violazione dell’art. 71 bis del regolamento comunale di polizia mortuaria e cimiteriale. Contestavano, inoltre, la sussistenza dello stato di abbandono della cappella, come dimostrato dall’esiguità dei lavori di manutenzione affidati d’urgenza al gestore dei lavori cimiteriali e da costui fatturati in € 11.000,00 per ben cinque cappelle decadute.
2.1. L’adito T.A.R., dopo aver svolto istruttoria, con la sentenza appellata ha accolto la domanda di risarcimento dei danni formulata dai ricorrenti.
2.2. In sintesi, la sentenza, dopo aver disatteso l’eccezione del Comune di carenza di legittimazione dei ricorrenti per carenza della prova del rapporto di parentela con i titolari della concessione (sigg.re -OMISSIS–OMISSIS-in -OMISSIS- ed -OMISSIS- -OMISSIS-), ha ritenuto fondate le censure dei predetti ricorrenti in ordine alla responsabilità colpevole del Comune per la mancata esecuzione, da parte dello stesso, di una ricerca anagrafica: la P.A., infatti, non si è neppure preoccupata di verificare l’autorizzazione al trasporto dell’ultima salma tumulata nella cappella prima della decadenza, da cui – nota il primo giudice – si sarebbe potuto risalire agli attuali titolari del diritto di sepolcro. La sentenza ha ritenuto fondato, altresì, il motivo avente a oggetto l’inidoneità delle condizioni della cappella a giustificare una misura grave come la decadenza della concessione cimiteriale, poiché la somma impegnata per i lavori (€ 11.000,00 per cinque cappelle) prova che si trattava di opere davvero ridotte.
2.3. Per l’effetto, il T.A.R. ha condannato il Comune a risarcire ai ricorrenti € 43.000,00 per la lesione del diritto di sepolcro in senso stretto (riguardante l’edificio sepolcrale e i suoi accessori), € 5.000,00 per ogni defunto (per un totale di n. 9 defunti) per la lesione del diritto secondario di sepolcro (facoltà di accedere al luogo di sepoltura dei defunti per compiervi gli atti di pietas), infine € 30.000,00 per la lesione del diritto all’intestazione del sepolcro e il danno conseguente alle spese di trasferimento delle salme presso altro cimitero.
3. Nell’appello il Comune di Vaprio d’Adda contesta il percorso argomentativo e le statuizioni della sentenza impugnata, deducendo i seguenti motivi:
I) difetto di istruttoria ed erronea valutazione dei presupposti di fatto, erroneo accertamento della qualità di titolari del diritto di sepolcro in capo ai ricorrenti, violazione per erronea e/o mancata applicazione dell’art. 71 bis del regolamento cimiteriale, poiché i ricorrenti non avrebbero dimostrato di essere i discendenti delle originarie titolari della concessione cimiteriale, cosicché l’adito T.A.R. avrebbe errato nel respingere l’eccezione di difetto di legittimazione formulata dal Comune (e che è riproposta nell’appello). Inoltre, l’art. 71 bis cit. non avrebbe previsto l’invio dell’avviso circa lo stato di abbandono della cappella ai concessionari e ai loro eventuali eredi, ma solo la collocazione di detto avviso nella cappella o tomba e sul sito web del Comune;
II) erroneità della sentenza per insufficiente e/o erronea motivazione, vizio di extrapetizione, perché il primo giudice avrebbe utilizzato considerazioni (sulla distinzione tra diritto al sepolcro primario, secondario e in senso stretto) che i ricorrenti non avrebbero svolto nel ricorso e successive difese e su cui, pertanto, non vi sarebbe stato contraddittorio;
III) eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti di fatto, nonché violazione per mancata applicazione dell’art. 2700 c.c., in quanto il T.A.R. sarebbe incorso in errore nel respingere la richiesta di ammissione di prova testimoniale formulata dal Comune per dimostrare la condizione di degrado della cappella, nonché nel non considerare la pubblica fede che assiste, ai sensi dell’art. 2700 c.c., il provvedimento che ha dichiarato lo stato di abbandono (e la contestuale decadenza della concessione cimiteriale);
IV) violazione per mancata applicazione dell’art. 2700 c.c. relativamente alla prova dell’affissione dell’avviso ad eliminare lo stato di abbandono e di degrado della cappella e della sua pubblicazione sul sito web del Comune, poiché il Tribunale non avrebbe considerato che il provvedimento che ha dichiarato la decadenza della concessione farebbe piena prova: a) dell’avvenuta affissione dell’avviso all’interno della cappella, b) della sua pubblicazione sul sito web del Comune, c) dell’impossibilità di rintracciare alcun discendente della famiglia, Né la sentenza avrebbe considerato la condotta dei privati – dichiaratisi solo a quattro anni di distanza – ai sensi e per gli effetti dell’art. 1227, secondo comma, c.c.;
V) violazione per mancata applicazione dell’art. 71 bis del regolamento cimiteriale riferita allo stato della cappella quale presupposto dell’avvio del procedimento per la dichiarazione dello stato di abbandono e di decadenza della concessione, in quanto il primo giudice avrebbe errato nel ritenere insufficiente la motivazione del “ridotto decoro della cappella” per giustificare il provvedimento di decadenza della concessione cimiteriale;
VI) violazione per erronea applicazione dell’art. 30 c.p.a., giacché nella vicenda in esame il danno ex adverso lamentato avrebbe potuto essere evitato se i ricorrenti avessero usato l’ordinaria diligenza, procedendo a mantenere la cappella in condizioni decorose, mentre gli stessi non avrebbero mai fatto visita alla cappella dal marzo 2014 (data di affissione dell’avviso) all’ottobre 2019;
VII) difetto di istruttoria, mancanza di prova e in ogni caso erroneità nella quantificazione dei danni per difetto di motivazione e genericità, in quanto – in via subordinata rispetto alle altre doglianze – il Comune appellante ritiene che il T.A.R. avrebbe errato nel quantificare i danni liquidati a favore dei ricorrenti.
3.1. Si sono costituiti in giudizio i sigg.ri -OMISSIS- con comparsa di costituzione e difesa, eccependo l’infondatezza dei motivi di appello e concludendo per il suo rigetto, previo rigetto, altresì, dell’istanza cautelare.
3.2. Con ordinanza n. -OMISSIS- il Collegio ha respinto l’istanza cautelare del Comune, in quanto non assistita dal fumus boni iuris.
3.3. Successivamente le parti hanno presentato istanze di cancellazione della causa dal ruolo, nonché istanze di rinvio della sua trattazione, vista la pendenza tra le parti di trattative per una composizione bonaria della controversia.
3.4. Con ordinanza n. -OMISSIS- il Collegio, preso atto delle istanze ora riferite, ha respinto, ai sensi dell’art. 73, comma 1-bis, c.p.a., quelle di cancellazione della causa del ruolo, accogliendo, invece, quelle di rinvio della trattazione della stessa.
3.5. Di seguito le parti hanno depositato memorie, documenti e repliche, controdeducendo alle altrui eccezioni e insistendo nelle rispettive conclusioni. In aggiunta, il Comune ha eccepito l’assenza in atti della fattura dell’intervento manutentivo delle cappelle cimiteriali (per un totale di € 11.000,00). Gli appellati dal canto loro, dopo avere ricordato l’esito negativo delle trattative per una soluzione conciliativa, hanno lamentato che il Comune ha pagato loro le somme liquidate dal T.A.R. senza corrispondere gli interessi legali. Sul punto la difesa comunale ha replicato eccependo la non debenza degli interessi su dette somme, in mancanza di una specifica statuizioni sugli stessi nella sentenza di prime cure e tenuto conto che il ritardo nel pagamento sarebbe dipeso dall’impossibilità di eseguirlo per fatto proprio degli appellati (v. art. 1206 c.c.).
3.6. All’udienza pubblica del 23 aprile 2024 il Collegio, sentiti i difensori comparsi delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.
4. L’appello proposto dall’amministrazione comunale è infondato.
4.1. È, anzitutto, infondato il primo motivo di ricorso, dovendo ritenersi la documentazione in atti più che sufficiente a comprovare la discendenza dei sigg.ri -OMISSIS- dalle sigg.re -OMISSIS- -OMISSIS-in -OMISSIS- e -OMISSIS–OMISSIS-, titolari originarie della concessione, tenuto anche conto del fatto che la stessa concessione qualifica la sig.ra -OMISSIS–OMISSIS-come “vedova -OMISSIS-”. Detta qualificazione della sig.ra -OMISSIS–OMISSIS-si rinviene, del resto, anche nell’atto di appello (cfr. pag. 6). Giustamente, perciò, il T.A.R. ha respinto l’eccezione di legittimazione attiva dei ricorrenti sollevata dal Comune, che quest’ultimo ripropone, in modo invero pretestuoso, in secondo grado.
4.2. Del pari infondata è inoltre la censura, dedotta anch’essa con il primo motivo di appello, secondo cui il Comune avrebbe avuto solo l’obbligo, ai sensi dell’art. 71 bis del regolamento cimiteriale, di apporre nella cappella l’avviso sullo stato di abbandono di questa e di pubblicarlo nel sito web dello stesso Comune, senza doverlo inviare ai concessionari o ai loro eredi e senza essere tenuto a effettuare al riguardo ricerche anagrafiche. In contrario, infatti è agevole evidenziare che il secondo comma del citato art. 71 bis subordina la declaratoria di decadenza della concessione alla circostanza che non vi sia comunque modo di rintracciare alcun discendente a cui ingiungere il ripristino della cappella o tomba di famiglia in condizioni di degrado: tale disposizione, dunque, sottende in modo inequivoco la necessità della previa ricerca dei discendenti dei defunti tumulati nella cappella o tomba, che però il Comune appellante ammette esplicitamente di non aver svolto.
4.3. Altrettanto infondato è poi il secondo motivo, con cui è stato dedotto a carico della sentenza di prime cure il vizio di extrapetizione, poiché in realtà, del tutto logicamente, il Tribunale si è limitato a distinguere le diverse componenti del diritto al sepolcro al fine di individuare, nell’ambito della domanda di risarcimento del danno presentata dai ricorrenti, i pregiudizi da ristorare.
4.3.1. Al riguardo, infatti, il T.A.R. ha distinto in linea generale, nell’ambito del diritto al sepolcro: un diritto primario al sepolcro, consistente nel diritto di essere seppelliti o di seppellire altri in un dato sepolcro; un diritto secondario al sepolcro, rappresentato dalla facoltà di accedere a un sepolcro per compiervi atti di pietas e opporsi ad ogni atto comportante violazione od oltraggio di quella tomba; un diritto al sepolcro in senso stretto, avente a oggetto l’edificio sepolcrale e gli eventuali accessori; infine, il diritto all’intestazione del sepolcro, consistente nel diritto di apporre il proprio nome sul sepolcro da parte del fondatore e degli aventi diritto tumulati nello stesso.
4.3.2. Muovendo da tale inquadramento generale, il T.A.R., dopo aver escluso che nel caso di specie i ricorrenti abbiano esercitato il diritto primario al sepolcro (infatti non hanno chiesto la tumulazione di una salma), con conseguente esclusione di lesioni di tale diritto, ha invece riconosciuto che gli altri diritti sono stati ingiustamente lesi dal Comune. In particolare la sentenza ha riconosciuto la lesione: del diritto al sepolcro in senso stretto (al manufatto e ai materiali da cui è composto), pervenendo a quantificare il danno in € 43.000,00, oltre oneri fiscali; del diritto secondario al sepolcro, con danno quantificato in € 5.000,00, oltre oneri fiscali, per ciascuno dei nove defunti, considerato anche “che le tumulazioni alternative non sono di pari livello rispetto alle precedenti, la salma del padre dei due ricorrenti è stata gettata nell’ossario comune, altre salme di avi risultano disperse ed i trasferimenti, effettuati dall’acquirente della cappella, non sono stati in alcun modo registrati, cosicché non esiste alcuna certezza delle operazioni svolte, di cui il Comune si è completamente disinteressato”; e del diritto all’intestazione del sepolcro, per il quale l’importo liquidato a titolo di pregiudizio da risarcire (unitamente alle spese di trasferimento delle salme presso altro cimitero) è stato di € 30.000,00 oltre oneri fiscali, in ragione dell’alto numero di salme da trasferire.
4.4. Orbene, per giurisprudenza consolidata il vizio di extrapetizione si configura quando il giudice esorbita dalle proprie funzioni, pronunciando oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti e attribuendo un’utilità o un bene della vita non richiesto (cfr., ex multis, Cass. civ., Sez. II, 28 settembre 2022, n. 28181; Sez. lav., 24 luglio 2012, n. 12943; id., 19 gennaio 2002, n. 572; Sez. III, 6 giugno 2002, n. 8218; C.d.S., Sez. IV, 31 maggio 2007, n. 2793; id., 10 giugno 2004, n. 3730). Nella vicenda in esame, invece, il T.A.R. si è pronunciato sulla domanda di risarcimento dei danni presentata dai ricorrenti, circoscrivendo il perimetro dei danni risarcibili, e dunque è rimasto nei limiti delle pretese fatte valere da costoro, sicché – diversamente da quanto si sostiene nell’appello – non è configurabile a carico della sentenza gravata il vizio di extrapetizione.
5. Venendo al terzo e al quarto motivo di appello, che è necessario trattare congiuntamente siccome strettamente connessi sul piano logico-giuridico, con gli stessi il Comune contesta la sentenza per non aver ammesso la prova testimoniale in ordine allo stato di abbandono della cappella e invoca, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2700 c.c., la natura di atto pubblico del provvedimento che ha dichiarato lo stato di abbandono e la contestuale decadenza della concessione cimiteriale. Da tali censure emerge, tuttavia, l’equivoco in cui è incorsa l’Amministrazione appellante circa il ragionamento seguito sul punto dalla sentenza impugnata. Questa, infatti, non ha negato che la cappella versasse in condizioni di degrado, ma ha ritenuto – ad avviso di questo giudice di appello: giustamente – che il degrado non fosse tale da giustificare una misura grave come la decadenza della concessione, desumendolo da un elemento oggettivo e cioè dal modesto ammontare (€ 11.000,00) delle spese sopportate dal Comune per il ripristino di tutte le cappelle (cinque) in presunte condizioni precarie.
5.1. Il punto necessita di una precisazione.
5.2. Nella memoria finale la difesa comunale ha eccepito il mancato versamento in atti di copia della fattura dell’intervento manutentivo, da cui si ricaverebbe il ridotto importo di questo (€ 11.000,00). Tuttavia, il suddetto importo è indicato al parag. 4), lett. b), della convenzione stipulata tra lo stesso Comune di Vaprio d’Adda e il sig. -OMISSIS- il 28 gennaio 2016 (doc. 10 del Comune nel giudizio di primo grado), mediante cui è stata attribuita a costui la concessione cimiteriale avente a oggetto la cappella gentilizia già intestata alle famiglie -OMISSIS-e -OMISSIS-. Si legge, infatti, al citato parag. 4 della convenzione che il concessionario si impegna ad effettuare, a titolo di pagamento, alcuni lavori presso il cimitero comunale, tra cui, alla lett. b), n. 1, sono elencati quelli di “rifacimento copertura, con sistemazione lattoneria e rifacimento guaina sui capitelli delle Cappelle -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-”, per un “valore stimato lavori voce b1” pari ad € 11.000,00. Ed è indubbio che tale indicazione ha un valore probatorio superiore anche rispetto alla fattura dei lavori in questione, perché essa è contenuta in un atto sottoscritto dal medesimo Comune ed ha, perciò, una valenza latamente confessoria del ridotto “peso” di tali lavori (di analogo tenore, a quanto si legge, per le cinque cappelle su cui sono ugualmente “spalmati”).
5.3. Ancora, il Comune sottolinea ai sensi dell’art. 1227, secondo comma c.c. – e la censura ritorna nel sesto motivo – la lunga assenza dal cimitero dei ricorrenti, i quali, rispetto a fatti verificatisi nel 2014/2015 (periodo dell’avviso e poi della declaratoria di decadenza), ne sono venuti a conoscenza solo nell’ottobre 2019. Ciò proverebbe, da un lato, la mancanza in capo agli stessi di quella pietas per i defunti che il T.A.R. ha posto a fondamento del risarcimento, dall’altro la loro negligenza (per non essersi tempestivamente attivati al fine di rimediare allo stato di incuria in cui versava la cappella), con il corollario che dovrebbe escludersi la responsabilità della P.A.: infatti, il danno avrebbe potuto essere evitato o contenuto dai danneggiati, usando l’ordinaria diligenza.
5.4. In contrario, tuttavia, va evidenziato, da una parte, che gli eredi risiedono a grande distanza da Vaprio d’Adda; dall’altra, che la tardività nel loro attivarsi non elide in alcuna maniera la grossolana negligenza e superficialità insite nella condotta del Comune, dimostrate sia dall’omissione di qualsiasi tentativo di individuare eventuali discendenti delle originarie concessionarie, in palese violazione del disposto dell’art. 71 bis, secondo comma, del regolamento cimiteriale, sia ancor di più dalle modalità con cui si è proceduto allo spostamento delle salme, che hanno determinato la dispersione di alcune di queste (tra cui la salma del padre e nonno dei ricorrenti).
5.5. La mancata esecuzione di ricerche anagrafiche, invero tutt’altro che complesse per la P.A., si è tradotta nell’omissione di qualsiasi forma di comunicazione procedimentale e provvedimentale, il che ha precluso ai sigg.ri -OMISSIS- la possibilità di attivare tempestivamente rimedi giudiziali a carattere demolitorio, lasciando ad essi il solo rimedio risarcitorio.
6. Quanto appena esposto dà conto, altresì, dell’infondatezza del quinto motivo di appello, poiché la gravità della misura adottata (decadenza della concessione) – su cui giustamente ha posto l’accento il T.A.R. – avrebbe richiesto una condotta molto diversa da parte dell’Amministrazione, e cioè una verifica ben più attenta sia delle effettive condizioni di degrado della cappella, sia della mancanza di interessati in grado di occuparsene, nonché una ben diversa attenzione alle garanzie di partecipazione procedimentale. In altri termini, il giudizio sulla responsabilità della P.A. nel caso di specie è motivato congruamente e sfugge alle censure dell’appellante.
7. Da ultimo, è infondato il settimo motivo di appello, mediante il quale il Comune si duole della quantificazione del risarcimento effettuata dal T.A.R.: il relativo computo, infatti, si rivela accurato e scrupoloso, avendo il giudice di prime cure, come si è visto sopra, distinto partitamente le singole “poste” risarcibili, di natura patrimoniale e non, e liquidato motivatamente gli importi per ciascuna di esse.
7.1. È necessaria, però, un’avvertenza.
7.2. Non è ammissibile una revisione in melius per i sigg.ri -OMISSIS- della somma ad essi liquidata dal T.A.R., non avendo gli stessi proposto appello incidentale, come sarebbe stato necessario a tal fine. Per la stessa ragione, il Collegio non può neppure pronunciarsi sulla doglianza contenuta negli scritti difensivi degli appellati, con cui questi lamentano che il Comune, nell’effettuare il pagamento delle somme ad essi dovute, non gli ha corrisposto gli interessi: la mancata statuizione del T.A.R. in punto di interessi avrebbe dovuto, infatti, formare oggetto di appello incidentale. La lettura del ricorso di primo grado, peraltro, non fa emergere che i ricorrenti li abbiano richiesti, come avrebbero dovuto fare (C.d.S., Sez. VII, 6 giugno 2023, n. 5547; Sez. VI, 12 dicembre 2011, n. 6504), cosicché in proposito non si registra nessuna omissione di pronuncia da parte del primo giudice. Da ultimo, non è neppure possibile liquidare alcunché per i danni (presuntivamente) patiti dagli appellati nelle more del giudizio, come essi propongono nella memoria finale, essendo ciò precluso dal divieto dei “nova” ex art. 104, comma 1, c.p.a..
8. In conclusione, l’appello è complessivamente infondato, attesa l’infondatezza di tutti i motivi con esso dedotti, e deve essere, pertanto, essere respinto, meritando la sentenza di primo grado di essere confermata, con l’avvertenza di cui al parag. 7.2.
9. La liquidazione delle spese effettuata nel giudizio di appello in fase cautelare a favore dei privati appellati appare idonea a ristorare questi ultimi, sicché, tenendo ferma la stessa, le spese della fase di merito del predetto giudizio possono essere compensate, anche alla luce del mancato raggiungimento tra le parti di un accordo per una composizione amichevole della lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Settima (VII), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese della fase di merito del giudizio di appello, tenendo ferma la liquidazione delle spese effettuata in fase cautelare.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Dispone la trasmissione della presente decisione e del relativo fascicolo alla competente Procura della Corte dei conti, per ogni eventuale valutazione.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (ed agli artt. 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti e della dignità degli interessati, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato idoneo a consentire l’identificazione delle persone fisiche menzionate in sentenza.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2024, con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina, Presidente
Fabio Franconiero, Consigliere
Angela Rotondano, Consigliere
Raffaello Sestini, Consigliere
Pietro De Berardinis, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE (Pietro De Berardinis)
IL PRESIDENTE (Fabio Taormina)
IL SEGRETARIO