TAG: Attività funebre | casa funeraria /// Norme correlate: Art. 338 R. D. 27/7/1934, n. 1265
Massima
Copiosa giurisprudenza (anche riassunta in Cons. Stato sez. VI, n. 1164 del 2018; sez. IV, n. 5873 del 2017) ha affermato che: a) il vincolo cimiteriale determina una situazione di inedificabilità
Testo
Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 luglio 2024, n. 5825
Pubblicato il 02/07/2024
N. 05825/2024REG.PROV.COLL.
N. 08420/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8420 del 2020, proposto da
Girolamo R., < omssis > S.r.l., rappresentati e difesi dagli avvocati Nicolo’ Mastropasqua, Aristide Police, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Aristide Police in Roma, viale Liegi, 32;
contro
Comune di Bisceglie, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Amedeo Pisanti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda) n. 01033/2020, resa tra le parti, della sentenza n. 1033/2020 pubblicata il 21.07.2020 resa dal T.A.R. Puglia Bari sezione seconda (83/2020 RG.) e, per l’effetto, per l’annullamento degli atti impugnati in primo grado.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Bisceglie;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 giugno 2024 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Paul Simon Falzini per delega dell’avvocato Aristide Police e Loredana Tulino in dichiarata delega dell’avvocato Amedeo Pisanti.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’appello in esame l’odierna parte appellante impugnava la sentenza breve n. 1033 del 2020 con cui il Tar Bari aveva respinto l’originario gravame, proposto dalla medesima parte istante al fine di ottenere l’annullamento dell’ingiunzione di demolizione di un immobile a uso commerciale e di una tettoia n. 266 del 5.12.2019 a firma del Dirigente della Ripartizione tecnica del Comune di Bisceglie notificata in data 10.12.2019.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava, avverso la sentenza di rigetto, i seguenti motivi di appello:
– erronea valutazione in ordine alla sussistenza dell’eccesso di potere sotto i profili del difetto di istruttoria, dell’erronea considerazione dei presupposti, del difetto di motivazione per erronea identificazione delle particelle catastali, della contraddittorietà; nonché in ordine alla violazione dell’art. 3 L. 241/90, travisamento dei fatti di causa e delle risultanze della verificazione esperita, omessa pronuncia, in quanto la sentenza impugnata ha erroneamente rigettato il primo motivo del ricorso introduttivo, con il quale gli odierni appellanti avevano censurato l’illegittimità del provvedimento per carenza degli elementi essenziali ai fini dell’identificazione delle aree colpite dalla demolizione e dal contestato abuso;
– erronea valutazione in ordine alla sussistenza del vizio dell’eccesso di potere per ingiustizia manifesta e contraddittorietà con la delibera di G.M. n. 7 del 5.1.2006, con la deliberazione del C.C. n. 142 del 22.11.2007, con la delibera di G.M. n. 389 del 30.11.2009; con la delibera del C.C. n. 17 del 21.3.2011, con il contegno assunto nel giudizio TAR Puglia Bari n. 300/2007 RG, violazione del giudicato relativo alla sentenza TAR Puglia Bari n.1152/2012, eccesso di potere per erronea considerazione dei presupposti e mancata riadozione del diniego di sanatoria;
– mancata considerazione della sussistenza dei vizi di violazione dell’art. 97 Cost., violazione dei principi di buona amministrazione, correttezza e certezza dei rapporti con la Pubblica Amministrazione, di buona fede e del principio del legittimo affidamento, violazione degli artt. 1321 c.c. e 1375 c.c., difetto di motivazione, violazione dell’art. 3 L. 241/90;
– mancata considerazione del vizio dell’eccesso di potere per contraddittorietà, avvenuta ritipizzazione di aree limitrofe assoggettate al medesimo vincolo di inedificabilità.
La parte appellata si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.
Alla pubblica udienza del 27 giugno 2024 la causa passava in decisione.
DIRITTO
1. La presente controversia ha ad oggetto l’impugnazione dell’ordine di demolizione di cui alla narrativa in fatto, respinta dalla sentenza di prime cure qui impugnata.
2. Dall’analisi degli atti di causa emerge come la parte odierna appellate sia proprietaria di un suolo, sito in Bisceglie, ricadente in contrada “Carrara Bocchino”, identificato in catasto terreni al foglio 2, particelle 160 sub 4 (a seguito della variazione per unificazione delle particelle 160/1 e 169/2), 1473, 1474 e 1423, su cui aveva realizzato un immobile ad uso commerciale, privo delle necessarie autorizzazioni; con istanza datata 8 aprile 2004 (prot. n. 14825) richiedeva al Comune di Bisceglie il rilascio del condono edilizio, ai sensi e per gli effetti di cui al decreto-legge n. 269/2003, convertito con modificazioni dalla legge n. 326/2003 (c.d. terzo condono).
2.1 L’immobile ricade in una zona ampiamente urbanizzata e interessata da numerosi abusi edilizi situata nella fascia di 200 metri di rispetto cimiteriale ex art. 338 del regio decreto n. 1265/1934, collocata a ridosso del parcheggio pubblico realizzato dal Comune di Bisceglie ed è di fatto inglobata in una zona turistico – residenziale denominata “Salsello”.
2.2 Con nota del 7.6.2005 prot. n. 19471 numerosi proprietari di immobili interessati da abusi edilizi situati nella predetta area rappresentavano al Comune l’opportunità di prendere in esame, ai sensi dell’art. 29 della legge n. 47/1985, una proposta di variante al P.R.G. finalizzata ad attuare un recupero delle aree interessate, essendo le stesse in stretto rapporto con il tessuto urbano e dotate in buona parte di urbanizzazioni primarie quali le reti idrica, fognante ed elettrica. La predetta richiesta veniva considerata meritevole di attenzione con nota sindacale prot. n. 20948 del 9.6.2005, per cui si invitava il Dirigente della Ripartizione tecnica a sospendere la procedura relativa alle istanze di condono presentate, onde predisporre un provvedimento di giunta propedeutico alla redazione di un piano di recupero della zona. La Giunta municipale di Bisceglie con provvedimento n. 7 del 5.1.2006, reso nel procedimento relativo alla redazione di un piano di recupero dell’insediamento abusivo nella zona di rispetto cimiteriale, prendeva atto degli atti di intervento presentati dai proprietari ex artt. 9 e 10 della legge n. 241/1990, assegnando 180 giorni per proporre il suddetto piano. A ciò seguiva la nota prot. n. 5414 del 6.2.2006 del Dirigente della Ripartizione tecnica del Comune di Bisceglie diretta al. Ruggieri. I soggetti interessati costituivano il Comitato denominato “Il Recupero” e con nota del 7.7.2006 formulavano all’Ente un’istanza di proroga del termine rappresentando di aver conferito mandato per la redazione del piano e che vi erano oggettive difficoltà nel redigerlo nello stretto termine fissato.
2.3 Con nota del 7.11.2006 il Dirigente della Ripartizione tecnica del Comune di Bisceglie dichiarava di non concedere la proroga. Seguiva la nota prot. n. 474 del 2.2.2007 con la quale lo stesso Dirigente negava il permesso di sanatoria al ricorrente, impugnato dinanzi al Tar.
2.4 All’esito del relativo giudizio, con sentenza n. 1152 del 2012 il Tar dichiarava improcedibile il ricorso per sopravvenuto difetto d’interesse, sulla scorta di tali argomenti: “Con la produzione documentale del 17.5.2012, infatti, il difensore del ricorrente ha prodotto la delibera del Consiglio Comunale di Bisceglie n. 17 del 21.3.2011 con la quale è stato definitivamente approvato il Documento Programmatico per la Rigenerazione Urbana e la nota del 16.5.2012 del Dirigente della Ripartizione Tecnica nella quale si dà atto della vigenza dell’indirizzo politico amministrativo per l’adozione del piano di recupero della zona nonché della sospensione di tutti i procedimenti sanzionatori in corso. Conseguentemente, stante la dichiarata volontà del Comune di procedere al recupero della zona come richiesto dal ricorrente e da altri soggetti interessati con mantenimento dell’edificato esistente, deve ritenersi venuto meno ogni interesse alla favorevole decisione del ricorso avverso gli atti impugnati”. La sentenza passava in giudicato.
2.5 Successivamente il Comune adottava una nuova ingiunzione di demolizione dell’immobile ad uso commerciale e della tettoia (n. 266 del 5.12.2019), oggetto del ricorso deciso dalla sentenza qui impugnata.
2.6 Nelle more, in data 30 marzo 2009 la parte odierna appellante chiedeva il rilascio di un permesso per la realizzazione di interventi di ristrutturazione edilizia degli immobili in questione, consistenti nella modifica del prospetto, il cui varco di accesso si prevedeva venisse trasformato in due accessi indipendenti. Il Comune rilasciava il permesso di costruire n. 24/2009 per la realizzazione del secondo accesso, come riportato negli elaborati tecnici. Successivamente lo stesso odierno appellante, ad «integrazione dei lavori di cui al P.d.C.» in data 09/09/2009, comunicava la realizzazione di ulteriori interventi edilizi consistenti in una diversa distribuzione interna (demolizioni di alcune tramezzature interne e realizzazione di altre), nonché la realizzazione/manutenzione degli impianti interni all’immobile.
2.7 L’ipotesi di un Piano di recupero Urbano per la zona in questione non giungeva a positiva conclusione, in quanto alle predette deliberazioni non è mai seguita la redazione degli ipotizzati piani e non vi è stata adesione all’atto d’obbligo approvato con la delibera di G.M. n. 389/2009; ciò in considerazione del carattere assoluto del vincolo d’inedificabilità nella zona di rispetto cimiteriale ai sensi dell’art. 338 r.d. n. 1265/1934, come statuito da questo Consiglio di Stato i numerosi precedenti resi su immobili ricadenti nella stessa area (cfr. in particolare le sentenze nn. 2407, 2408, 2409, 2410, 2411, 2412, 2413, 2414, 2415, 2416, 2417 del 2018); pertanto, il Comune adottava a carico dei sigg.ri Ruggieri Girolamo e Monopoli Domenico l’ingiunzione di demolizione n. 266/2019, impugnata dal solo Ruggieri davanti al Tar Puglia – Bari con il giudizio concluso negativamente dalla sentenza impugnata.
3. Così riassunta la fattispecie, l’appello è infondato sotto tutti i profili dedotti.
4. In relazione al primo motivo di appello, concernente la riproposizione della prima censura del ricorso introduttivo in ordine alla carenza degli elementi essenziali ai fini dell’identificazione delle aree colpite dalla demolizione e dal contestato abuso, assumono rilievo dirimente le seguenti considerazioni.
4.1 In linea di diritto, va ribadito che, se per un verso, nell’ordine di demolizione di un’opera abusiva, in generale, non è necessario che vengano individuati tutti gli elementi compresa l’area di sedime da acquisire gratuitamente al patrimonio comunale per il caso di inerzia, potendo tale individuazione avvenire col successivo atto con cui si accerta l’inottemperanza all’ordine impartito (cfr. ad es. Consiglio di Stato , sez. VI , 18/10/2022 , n. 8846), per un altro verso i dati catastali non possono costituire un elemento indefettibile per l’individuazione di un abuso (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. VI, 13 giugno 2023 n. 5764), specie laddove – come nel caso di specie – lo stesso risulti commesso in difformità dalla situazione preesistente e sia oggetto di una domanda di condono da parte dello stesso interessato, con conseguente identificazione in parte qua.
4.2 In termini dirimenti, peraltro, nel caso di specie l’immobile è con chiarezza individuato sia dall’atto impugnato che dalle parti, anche alla luce delle questioni urbanistiche evocate con gli altri motivi di appello.
4.3 In proposito, se in generale ai fini della legittimità dell’ingiunzione demolitoria è sufficiente l’affermazione della accertata abusività dell’opera, mediante la descrizione della stessa (anche attraverso i riferimenti catastali), la constatazione dell’esecuzione in assenza del necessario titolo abilitativo e l’individuazione della norma applicata, nel caso di specie l’individuazione appare compiutamente posta a base del provvedimento impugnato in prime cure, anche sulla scorta della relazione acquisita in giudizio dinanzi al Tar in via istruttoria (cfr. in specie nota del Comune di Bisceglie del 10.3.2020 redatta successivamente al sopralluogo effettuato in data 27.2.2020 a seguito dell’ordinanza collegiale istruttoria n. 82 del 2020 del Tar stesso), senza che le affermazioni appellanti siano accompagnate da elementi tecnici adeguati alla contestazione, al di là dei principi predetti in tema di presupposti e contenuto dell’ordine di demolizione; trattasi dell’immobile ad uso commerciale di circa 490,00 mq, censito in catasto al fg. 2 p.lla. 2065 subb. 2-3 (ex fg. p.lla 1473-14741423-160 subb 4-5) di proprietà del sig. Ruggieri Girolamo.
5. In relazione al secondo motivo di appello, assumono rilievo preminente e dirimente le indicazioni, rese su immobili limitrofi con sentenze passate in giudicato di questo Consiglio, a mente delle quali nessun affidamento poteva più ritenersi sussistente in merito ad una positiva conclusione di un iter che, peraltro, era stato solo avviato, rinviando a verifiche successive che, anche all’esito dei giudizi definiti da questo Consiglio, non hanno trovato positivi sbocchi.
5.1 Nei richiamati precedenti, passati in giudicato, si è così precisato:
“- a) non è controverso il carattere abusivo degli interventi edilizi e la loro realizzazione nella zona di rispetto cimiteriale in epoca successiva al vincolo legale; – b) è irrilevante la diversa epoca di presentazione delle domande di condono rispetto ai singoli richiedenti, i quali hanno proposto istanza sulla base dei tre condoni che si sono succeduti nel tempo; infatti l’art. 33 della l. n. 47 del 1985 è richiamato dall’art. 39, co. 1, della l. n. 724 del 1994 ed è fatto salvo dall’art. 32, co. 27 del d.l. n. 269 del 2003, conv. nella l. n. 326 del 2003.
8. La prima questione all’attenzione del Collegio concerne la natura del vincolo di inedificabilità previsto dall’art. 338 cit. e posto alla base dei provvedimenti impugnati.
8.1. Copiosa giurisprudenza (da ultimo riassunta in Cons. Stato sez. VI, n. 1164 del 2018; sez. IV, n. 5873 del 2017) ha affermato che:
a) il vincolo cimiteriale determina una situazione di inedificabilità ex lege e integra una limitazione legale della proprietà a carattere assoluto, direttamente incidente sul valore del bene e non suscettibile di deroghe di fatto, tale da configurare in maniera obbiettiva e rispetto alla totalità dei soggetti il regime di appartenenza di una pluralità indifferenziata di immobili che si trovino in un particolare rapporto di vicinanza o contiguità con i suddetti beni pubblici;
b) il vincolo ha carattere assoluto e non consente in alcun modo l’allocazione sia di edifici, sia di opere incompatibili con il vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che la fascia di rispetto intende tutelare, quali le esigenze di natura igienico sanitaria, la salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati alla inumazione e alla sepoltura, il mantenimento di un’area di possibile espansione della cinta cimiteriale;
c) il vincolo, d’indole conformativa, è sganciato dalle esigenze immediate della pianificazione urbanistica, esso si impone di per sé, con efficacia diretta, indipendentemente da qualsiasi recepimento in strumenti urbanistici, i quali non sono idonei, proprio per la loro natura, ad incidere sulla sua esistenza o sui suoi limiti.
8.2. Pure numerose sono le pronunce intervenute a individuare portata e limiti delle modifiche apportate all’art. 338 cit. dalla novella del 2002, rispetto a richieste di privati (Cons. Stato sez. IV n. 4656 del 2017; sez. VI, n. 3667 del 2015; nn. 3410 e 1317 del 2014).
Si è condivisibilmente affermato che:
a) la situazione di inedificabilità prodotta dal vincolo è suscettibile di venire rimossa solo in ipotesi eccezionali e comunque solo per considerazioni di interesse pubblico, in presenza delle condizioni specificate nell’art. 338, quinto comma, essendo norma eccezionale e di stretta interpretazione non posta a presidio di interessi privati; con la conseguenza che la procedura di riduzione della fascia inedificabile resta attivabile nel solo interesse pubblico, come valutato dal legislatore nell’elencazione delle opere ammissibili;
b) il procedimento attivabile dai singoli proprietari all’interno della zona di rispetto è soltanto quello finalizzato agli interventi di cui al settimo comma dell’art. 338, (recupero o cambio di destinazione d’uso di edificazioni preesistenti).
9. La seconda questione all’attenzione del Collegio concerne l’esclusione di ogni condono in presenza di vincolo che comporti l’inedificabilità delle aree, ai sensi dell’art. 33, co. 1, lett. d) della l. n. 47 del 1985.
La giurisprudenza è univoca in tal senso per i vincoli riconducibili alla suddetta disposizione (tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, n. 3860 del 2017, n. 4564 del 2015), tra i quali, in particolare, il vincolo cimiteriale, (Cons. Stato, sez. VI, n. 3410 del 2014; sez. IV, n. 6547 del 2009; sez. IV, n. 1185 del 2007).
Infatti, secondo i principi enucleati dalla suddetta giurisprudenza, l’esistenza del vincolo cimiteriale nell’area nella quale è stato realizzato un manufatto abusivo, comportando l’inedificabilità assoluta, impedisce il rilascio della concessione in sanatoria ai sensi dell’art. 33, l. n. 47 del 1985, senza necessità di compiere valutazioni in ordine alla concreta compatibilità dell’opera con i valori tutelati dal vincolo.
10. La terza questione attiene al rilievo dell’affidamento ingenerato nei privati:
a) per via del ritardo nell’avvio del procedimento e nella decisione di diniego di condono;
b) per via delle scelte di segno diverso del Comune con l’apertura alla valutazione di una variante al PRG mediante l’approvazione di un PdR ai sensi dell’art. 29 della l. n. 47 del 1985, in considerazione della novella dell’art. 338 cit.
10.1. Il problema della rilevanza dell’affidamento presuppone una posizione favorevole all’intervento riconosciuta da un atto in tesi illegittimo, poi successivamente oggetto di autotutela.
Nel caso di ritiro tardivo in autotutela di un atto amministrativo illegittimo ma favorevole al proprietario, si radica comunque un affidamento in capo al privato beneficiato dall’atto in questione e ciò giustifica una scelta normativa (quale quella trasfusa nell’articolo 21-nonies della l. 241 del 1990) volta a rafforzare l’onere motivazionale gravante in capo all’amministrazione. Salvo a stabilire sino a che punto e in che termini l’ordinamento si debba far carico di tutelare un siffatto stato di legittimo affidamento.
Al contrario, quando l’edificazione sia avvenuta nella totale assenza di un provvedimento legittimante e l’amministrazione si sia tardivamente attivata ed abbia tardivamente provveduto all’adozione di un provvedimento di rigetto e/o di demolizione, la mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può radicare un affidamento di carattere “legittimo” in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata.
Non si può, infatti, applicare a un fatto illecito (l’abuso edilizio) il complesso di acquisizioni che, in tema di valutazione dell’interesse pubblico, è stato enucleato per la diversa ipotesi dell’autotutela decisoria. Ragionare altrimenti, significherebbe connettere al decorso del tempo e all’inerzia dell’amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare il grave fenomeno dell’abusivismo edilizio, ovvero di legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta – e inammissibile – forma di sanatoria automatica o praeter legem.
10.2. Di recente, la demarcazione dell’ambito di rilievo dell’autotutela è stata ben posta in luce da due contemporanee decisioni della Adunanza Plenaria (nn. 8 e 9 del 2017) le quali, risolvendo orientamenti divergenti emersi in sede giurisprudenziale: a) da un lato, hanno operato una complessiva rilettura dello statuto del potere di autotutela in materia edilizia in relazione al tempo, alla luce delle norme sancite dall’art. 21- nonies della legge n. 241 del 1990, come modificata dalla legge n. 15 del 2015, richiedendo la motivazione – ma graduandone limiti e confini – in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione dell’atto, tenendo altresì conto dell’interesse del destinatario al mantenimento dei relativi effetti (A.P. n. 8 cit.); b) dall’altro, in riferimento al provvedimento di demolizione (con argomentazioni generali valevoli anche per il provvedimento di rigetto del condono) hanno escluso qualunque rilievo all’affidamento, con conseguente esclusione della motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione di un immobile abusivo mai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto; escludendo, poi, deroghe anche nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino (A.P. n. 9 cit.).
10.3. Le considerazioni che precedono valgono ad escludere la fondatezza di ogni profilo di affidamento dedotto dall’appellante, posto che rispetto ad opere realizzate abusivamente in zona soggetta a vincolo assoluto di inedificabilità, il diniego di condono e la demolizione costituiscono comportamenti doverosi per l’amministrazione, non venendo in rilievo, neppure ai fini motivazionali, le categorie tipiche dell’autotutela decisoria, quanto – piuttosto – il diverso tema del tardivo esercizio di un’attività repressiva che è e resta doverosa indipendentemente dal decorso del tempo e dalla valutazione dei diversi interessi in gioco. Non potendo la situazione di chi abbia fatto affidamento su un titolo abilitativo, benché illegittimo, essere ritenuta equivalente a quella di chi abbia meramente usufruito, avendone consapevolezza, di una carenza di controllo del territorio da parte della medesima Amministrazione.
11. Né la sospensione del procedimento di diniego del condono e la possibilità, avvalorata dall’amministrazione, di poter precedere alla sanatoria di tutto l’insediamento abusivo mediante un PdR, ritenuto possibile ai sensi dell’art. 29 l. n. 47 del 1095 e del novellato art. 338, può essere ritenuta equivalente all’affidamento ingenerato da un titolo abilitativo.
11.1. In tale direzione rileva, innanzitutto, la circostanza che la procedura per la sanatoria generalizzata non è mai arrivata a conclusione; così come non si è mai conclusa quella analoga avviata dopo l’emissione dell’ordinanza di demolizione di cui si è detto (§ 5.4.2.). Né la stessa, come rilevato dallo stesso giudice di primo grado, è stata oggetto di impugnazione; tanto anche in riferimento al carattere del termine ivi previsto, in collegamento con l’incidenza sulla ripresa della procedura di diniego.
11.2. Peraltro, potrebbe seriamente dubitarsi, come prospettato anche dal primo giudice, della legittimità di un PdR ai sensi dell’art. 29 cit. in riferimento ad una zona di rispetto cimiteriale, per come ora regolata dall’art. 338 cit.
Infatti, l’art. 338, co. 4, 5, come modificato nel 2002, prevede deroghe ad iniziativa del Consiglio Comunale, e consente la riduzione, a determinate condizioni, della zona di rispetto per scelta dell’amministrazione:
a) per la costruzione di nuovi cimiteri o per l’ampliamento di cimiteri esistenti (co. 4);
b) per la costruzione di opere pubbliche o per un intervento urbanistico, ai fini di ampliamento di edifici preesistenti (ragionevolmente fuori dalla fascia o dentro la fascia ma non abusivi, per esempio per essere stati costruiti prima del vincolo) o per la costruzione di nuovi edifici (co. 5).
Inoltre, dice consentiti, all’interno della zona di rispetto, interventi per edifici esistenti, dentro la fascia (ma ragionevolmente non abusivi, per esempio per essere stati costruiti prima del vincolo) per ampliamento, cambio di destinazione d’uso ecc. (co. 7).
Tutte ipotesi incompatibili con una sanatoria, mediante variante al PRG, di un intero insediamento abusivo dentro la fascia.
D’altra parte, una diversa interpretazione sembrerebbe incompatibile con l’assolutezza del vincolo e con la non derogabilità dello stesso e appare confermata dalla legge della Regione Puglia (art. 3, co. 5, l. r n. 26 del 1985), secondo la quale nella variante di recupero ex art. 29 della l. n. 47 del 1985, possono essere previsti solo gli edifici ammissibili alla sanatoria.
12. Pure infondata è la censura che concerne il contrarius actus.
Come correttamente rilevato dal primo giudice, per escludere la violazione del principio vale la considerazione assorbente che i provvedimenti impugnati sono stati fondati sul carattere abusivo delle opere ricadenti in zona di inedificabilità assoluta e sono stati emessi dal dirigente tecnico comunale competente. Deve aggiungersi che le stesse delibere che prevedevano l’avvio di un PdR facevano salve le sanzioni in caso di non adesione e, quindi, di non completamento della procedura; così facendo rivivere il procedimento originario”.
5.2 Le considerazioni appena richiamate, oltre ad essere del tutto condivise dal Collegio, assumono rilievo dirimente anche nella presente fattispecie, coinvolta nel medesimo complesso ter relativo alla zona in questione, caratterizzata dal medesimo vincolo di rispetto cimiteriale.
5.3 Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione al terzo motivo di appello, in specie a fronte della rilevata insussistenza dei presupposti per l’evocato affidamento ( non essendovi concreti elementi che potessero far ragionevolmente ipotizzare la legittimità del manufatto realizzato specie a fronte del mancato avvio delle procedure del piano di recupero peraltro ostacolato dall’esistenza del vincolo cimiteriale e dalla ormai risalente mancata adesione all’atto d’obbligo).
6. Infine, parimenti destituito di fondamento è il quarto motivo di appello, con cui si lamenta in sostanza la difforme statuizione resa in una diversa fattispecie, in cui il medesimo Comune starebbe autorizzando la realizzazione di una palazzina ad uso abitativo ed un parcheggio pubblico e privato adiacente al Viale Camposanto in deroga alla distanza di rispetto cimiteriale.
6.1 Oltre alle considerazioni dirimenti sopra svolte in merito alla presente fattispecie, la sostanziale disparità di trattamento evocata non assume i connotati evocati.
6.2 In generale, il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento si può configurare solo sul presupposto, di cui l’interessato deve dare la prova rigorosa, dell’identità assoluta della situazione considerata (cfr. ad es. Cons. Stato, Sez. VII, 14/03/2024, n. 2493). Né analoga contestazione può mutarsi in difetto di motivazione. Come noto, i provvedimenti repressivi di abusi edilizi costituiscono espressione di potere vincolato rispetto ai presupposti normativi richiesti e dei quali deve farsi applicazione, con la conseguenza che in ordine al medesimo non possono venire in rilievo profili di eccesso di potere quali la disparità di trattamento, propri dell’esercizio del potere discrezionale; in relazione al diverso ambito urbanistico, di natura discrezionale, invece la evocata disparità presuppone una identità di situazione di fatto, non dimostrata nel caso di specie. Ne consegue che l’eventuale diversa valutazione registratasi in relazione a diversi progetti non può di per sé legittimare la pretesa a identico trattamento. A tacer d’altro nel caso di specie neppure risultata dimostrata l’analogia di partenza, stante la pacifica abusività dei manufatti dell’odierna parte appellante.
7. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va pertanto respinto.
Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna parte appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore di parte appellata, liquidate in complessivi euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori dovuti per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 giugno 2024 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro, Presidente
Giordano Lamberti, Consigliere
Davide Ponte, Consigliere, Estensore
Lorenzo Cordi’, Consigliere
Marco Poppi, Consigliere
L’ESTENSORE (Davide Ponte)
IL PRESIDENTE (Giancarlo Montedoro)
IL SEGRETARIO