Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 giugno 2021, n. 4645

Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 giugno 2021, n. 4645

Pubblicato il 15/06/2021
N. 04645/2021REG.PROV.COLL.
N. 03063/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso NRG 3063/2019, proposto da -OMISSIS- e -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall’avv. Tommaso Millefiori, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, via B. Tortolini n. 30, presso l’avv. Placidi,
contro
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Misserini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, via B. Tortolini n. 30, presso l’avv. Placidi e
nei confronti
il Comune di -OMISSIS- (TA), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio,
per la riforma
della sentenza breve del TAR Puglia – Lecce, sez. II, n. -OMISSIS-/2019, resa tra le parti e concernente la realizzazione d’una struttura per il commiato dai defunti in -OMISSIS-;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della sola sig. -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore all’udienza pubblica del 10 giugno 2021 il Cons. Silvestro Maria Russo;
Dato atto che l’udienza si svolge ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e dell’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa 13 marzo 2020, n. 6305;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. – I sigg. -OMISSIS- (imprenditore nel settore delle pompe funebri) e -OMISSIS- dichiarano d’esser proprietari del locale deposito sito in -OMISSIS- (TA), all’angolo tra via -OMISSIS- e via -OMISSIS-, distinto in CF fg. 8, part. 251 (sub. 3) e ricadente in zona B1 del vigente PUG.
Con PDC n. 25 del 26 febbraio 2018, il Comune di -OMISSIS- ha autorizzato i sigg. -OMISSIS- e -OMISSIS- alla ristrutturazione di detto locale con cambio di destinazione d’uso da deposito a struttura per il commiato, di cui all’art. 4, co. 3 ed all’art. 17, commi 1 e 2 della l. reg. Puglia 15 dicembre 2008 n. 34, nel testo previgente alla novella recata dalla l.r. 7 luglio 2020 n. 16 (in vigore dal 9 luglio 2020).
La sig. -OMISSIS-, proprietaria esclusiva di (e residente stabilmente in) un edificio sito in -OMISSIS-, via -OMISSIS- n. 6 e posto dirimpetto a quello del sig. -OMISSIS- e consorte, rende noto d’aver appreso l’8 ottobre 2018 dallo stesso sig. -OMISSIS- che i lavori da lui intrapresi erano preordinati alla creazione d’una sala per il commiato dai defunti. Reputando che la realizzazione d’una tal struttura, oltre che lesiva dei di lei interessi, imprimesse alla piccola e centrale via -OMISSIS- ed al quartiere un’impronta di mestizia, il giorno dopo ha chiesto al Comune d’accedere agli atti inerenti al PDC n. 25/2018. Ella così ha appurato che il relativo rilascio era avvenuto in violazione dell’art. 4 della l.r. 34/2008 (per cui le strutture funerarie dovevano esser poste ad almeno m 200 dai centri abitati, salva eccezionale e motivata deroga) e dell’art. 14 del DPR 6 giugno 2001 n. 380 (PDC in deroga allo strumento urbanistico).
A seguito di segnalazione del legale della sig. -OMISSIS- e con ordinanza n. 6 del 25 ottobre 2018, il Comune ha ingiunto l’immediata sospensione dei lavori assentiti col predetto PDC e ha iniziato il procedimento repressivo dell’abuso, in quanto, alla luce di coeva giurisprudenza, l’attività svolta dalle case del commiato è funeraria e non commerciale, dunque incompatibile con la zona B1 del PUG, fermo in tal caso l’obbligo del Consiglio comunale di provvedere ai sensi dell’art. 14 del DPR 380/2001. Senonché lo stesso Ufficio comunale, con l’ordinanza n. 8 del 14 novembre 2018, ha revoca la sospensione dei lavori, perché: a) il regol reg. n. 8 dell’11 marzo 2015 non fissò limiti di distanze dove ubicare sale per il commiato rispetto a strutture socio-sanitarie o residenziali; b) le sale stesse son compatibili con l’attività terziaria e possono esser aperte in ogni locale commerciale.
2. – Contro tal provvedimento, il PDC n. 25/2018 e gli atti connessi son insorti la sig. -OMISSIS- ed il nipote ex sorore avv. -OMISSIS- avanti al TAR Lecce, con il ricorso NRG 1455/2018, deducendo: 1) – l’illegittimità della revoca e del PDC n. 25 per aver allocato la sala per il commiato a meno di m 200 dall’abitato, mentre il RUP avrebbe dovuto investire il Consiglio comunale della valutazione sulla reale necessità della deroga nella comparazione dei molteplici interessi coinvolti e contrapposti in zona, ferma la parificazione delle distanze fatta dalla l.r. 34/2008 tra dette sale ed i cimiteri ed i crematori; 2) – la necessità che il Consiglio comunale si pronunciasse sull’interesse pubblico al rilascio d’un PDC in deroga, visto che in zona B1 di PUG non erano ammesse attività funerarie e che l’art. 15 del regol. reg. n. 8/2015 impone a chi voglia attivare una qualunque sala per il commiato il possesso dei requisiti per la conduzione dell’attività funebre di cui al precedente art. 8; 3) – la violazione dell’art. 42 delle NTA del PUG, in virtù del quale in zona B 1 sono ammessi interventi con prevalente finalità d’insediamento residenziale, con esclusione di tutte le industrie e le attività artigianali ritenute incompatibili con la residenza perché generatrici di traffico o causa di problemi igienico-sanitari, com’è per le vie -OMISSIS- e -OMISSIS-, fisicamente inadeguate a reggere il carico di servizi funerari continui, tant’è che detta area sarebbe dovuta servire a parcheggio, donde l’irrazionalità della scelta.
L’adito TAR, con sentenza breve n. -OMISSIS- del 28 gennaio 2019 e disattese le questioni in rito (con esclusione dell’avv. De Ruggiero, che vantava solo un interesse di mero fatto), ha accolto la pretesa attorea, in ragione della vicinitas della sig. -OMISSIS- e della tempestività dell’impugnazione del PDC n. 25/2018 (avendo la ricorrente ottenuto la piena conoscenza dell’an e del quantum della lesione soltanto dall’8 ottobre 2018, mentre il ricorso è stato notificato il successivo 6 dicembre), poiché gli atti impugnati si pongono in patente contrasto con le norme primarie sulle distanze (m 200), né recano una specifica motivazione circa la “reale necessità” che avrebbe potuto giustificare una distanza inferiore.
3. – Appellano quindi il sig. -OMISSIS- e consorte, con il ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità di tale sentenza per:
I) – aver riconosciuto la tempestività del ricorso di primo grado, considerando quale dies a quo il termine di ultimazione delle opere (quale equipollente processuale della “conoscenza piena” del titolo edilizio) e non tenendo conto della ferma giurisprudenza sul momento in cui si forma la piena conoscenza dell’atto da impugnare, fermo restando che, grazie all’accesso dell’appellata (peraltro, con l’indicazione degli estremi del PDC impugnato), s’è resa nota l’avvenuta pubblicazione di esso all’albo pretorio fin dal 9 maggio 2018 (data d’inizio lavori), la possibilità di provare la conoscenza potendo avvenire anche mediante presunzioni semplici;
II) – l’omessa valutazione del TAR circa l’effettivo interesse azionato, poiché la mera vicinitas è un requisito in sé non sufficiente a giustificare l’impugnazione e le dedotte ripercussioni negative sulla qualità della vita discendendo non dall’opera in sé, ma dall’eventuale avvio dell’attività (ancora da richiedere al Comune);
III) – la falsa interpretazione dell’art. 4, co. 3 della l.r. 34/2008, poiché la fascia di rispetto di m 200 riguardò cimiteri e crematori e non anche le strutture del commiato, allocabili pure all’interno di tal fascia purché in presenza di una specifica necessità ad hoc, fermo restando che in realtà i ricorrenti avevano dedotto soltanto la necessità dell’intervento del Consiglio comunale nella specie (quindi, un vizio d’incompetenza, che avrebbe assorbito ogn’altra censura) e non il difetto di motivazione sulle reali necessità della deroga dalle distanze (affermato d’ufficio), donde l’ultrapetizione in cui è incorso il TAR.
Resiste in giudizio la sola sig. -OMISSIS-, concludendo per il rigetto dell’appello.
4. – L’appello è manifestamente infondato e va respinto, anzitutto con riguardo alla conoscenza del vero oggetto della vicenda e, quindi, del contenuto del titolo edilizio oggetto d’impugnazione, in relazione sia all’assenza (documentata) del cartello di cantiere (nonostante fosse obbligo di legge), sia alla genericità dei lavori intrapresi dagli appellanti, di per sé soli non connotanti una struttura funeraria per il commiato, non esistendo nei fatti una categoria tipologica edilizia predefinita o comunque immediatamente riconoscibile ab initio per tali edifici e non essendo evidente neanche se quella in esame fosse davvero in deroga allo strumento urbanistico.
Vani sono i tentativi dell’appellante di dimostrare il contrario, a fronte dell’esatta descrizione resa dal TAR sul punto. È stato infatti precisato che la piena conoscenza sull’oggetto dell’intervento de quo è avvenuta l’8 ottobre 2018, data del colloquio informale tra l’appellata ed il sig. -OMISSIS-, da cui l’appellata ha potuto apprendere come gli anonimi lavori edili sul vecchio deposito fossero rivolti alla costruzione d’una struttura per il commiato dai defunti. A stretto rigore, pare al Collegio che tal conoscenza si sia formata e formalizzata solo il giorno successivo, quando la sig. -OMISSIS- ha presentato l’istanza d’accesso al PDC ed alla relativa pratica (indicata nei suoi estremi), nonché con l’affermazione, in quella sede d’accesso, del requisito legittimante della vicinitas (correlato alla circostanza d’esser ella dirimpettaia all’area d’intervento), ma poco cambia. Ogni illazione sul come e sul perché la relativa domanda abbia recato tal indicazione non dimostra alcunché di significativo, in assenza d’un indizio contrario a favore della tesi attorea. Per vero, ai fini della piena conoscenza d’un provvedimento edilizio lesivo agli interessi del vicino, non basta la presa visione, da parte di questi, di un’attività edilizia purchessia, che sarebbe potuta esser pure lecita. In zona B1 del PUG di -OMISSIS- non era vietata una ristrutturazione, anche con cambio di destinazione d’uso, da deposito ad attività commerciale propriamente detta, ma non certo ad una funeraria (ratione temporis, assai conformata dalla fonte primaria), donde l’irriconoscibilità prima facie dell’effetto lesivo dei relativi lavori, specie in assenza del cartello di cantiere.
Occorre dunque che si abbia la consapevolezza del contenuto specifico del progetto edilizio, cioè che la costruzione realizzata o in corso di realizzazione riveli in modo ragionevolmente certo e univoco le proprie essenziali caratteristiche. Infatti, nella specie, solo l’accesso ha disvelato la realtà giuridica dell’intervento attoreo, fino a quel momento ancora amorfo sotto il profilo fattuale e, ad avviso del Collegio, neppure congruente col combinato disposto degli artt. 4 e 17 della l.r. 34/2008. Prova ne sia l’ordine comunale di sospensione lavori, poi revocato, che ha dimostrato come nei fatti l’intervento non fosse definito neppure il 22 ottobre 2018. Peraltro, gli appellanti non considerano che, nell’arco temporale del termine di decadenza, era intervenuta, più che l’ordine di sospensione dei lavori —atto cautelare ed interinale, di per sé inidoneo a definire ed a consolidare le posizioni delle parti—, la revoca di tal sospensione alla luce d’una rinnovata, sia pur succinta istruttoria da parte del Comune, quindi un atto non meramente confermativo, ma di secondo grado con esito di conferma del PDC, che ha riattualizzato l’interesse della sig. -OMISSIS- al riguardo, tant’è che ella ha impugnato per prima la revoca e poi il PDC confermato.
Pretestuosa appare la doglianza in appello, per cui il TAR non avrebbe risposto alla questione circa l’interesse concreto ed attuale della sig. -OMISSIS-, oltre alla vicinitas.
Ora, ai fini della sussistenza delle condizioni dell’azione contro provvedimenti edilizi, il criterio della c. d. vicinitas, intesa qual situazione di stabile collegamento giuridico col terreno oggetto di un intervento costruttivo altrui, sia già in sé una dimostrazione di legittimazione al ricorso, senza che occorra effettuare indagini in ordine al concreto pregiudizio che i lavori assentiti siano in grado di produrre per il soggetto ricorrente (cfr., di recente, Cons. St., IV, 24 dicembre 2020 n. 8313). Per vero, già di per sé la portata delle possibili esternalità negative, connesse ad un tipo d’intervento edilizio particolare rappresenta un elemento qualificante dell’interesse a ricorrere. E di tali negative esternalità, probabili ed assai plausibili nella specie, la sig. -OMISSIS- ha dato seria contezza, con riguardo sia all’evidente carico urbanistico improprio che una sala per il commiato implica in un contesto edilizio raccolto in una zona urbanistica di completamento, sia per il sovraccarico di mestizia che un’attività funeraria reca con sé in un’area a prevalente vocazione residenziale, che è stata poi la ratio normativa della distanza di m 200 dai centri abitati, ove allocare tal struttura.
Come si vede, la controversia è solo edilizia, non commerciale, come vorrebbero gli appellanti, in quanto, in disparte la natura funeraria e non meramente commerciale del servizio per il commiato (a differenza delle imprese di pompe funebri), nessun vantaggio conservativo deriverebbe all’appellata da un gravame contro l’autorizzazione allo svolgimento dell’attività funeraria, impossibilitata a modificare il consolidato cambio di destinazione d’uso.
5. – Nel merito, l’appello non è fondato, in quanto il testo vigente ratione temporis dell’art. 4, co. 3 della l.r. 34/ 2008 vieta l’allocazione di strutture per il commiato ad una distanza inferiore a m 200 dai centri abitati, salva la ricorrenza di reali necessità, che comunque darebbero luogo ad un PDC in deroga al PUG ai sensi dell’art. 14 del DPR 380/2001.
Non v’è né contraddizione, né ultrapetizione nella lettura data dal TAR delle norme citate. Per vero, giova anzitutto rammentare che le strutture per il commiato possono esser sì collocate nella fascia di rispetto cimiteriale (m 200), ma sempre fuori dal centro abitato e non all’interno di esso, nel qual caso occorre comunque la giustificazione della deroga. In ogni caso ed a fronte delle doglianze racchiuse nel 1° motivo (obbligo del RUP d’investire il Consiglio comunale della valutazione sulla reale necessità della deroga nella comparazione dei molteplici interessi, a causa dell’allocazione della struttura a meno di m 200 dall’abitato) e nel 2° motivo (necessità che il Consiglio si pronunci sull’interesse pubblico al rilascio d’un PDC in deroga, in relazione alla zona B1), il TAR ha ritenuto al contempo la violazione dell’art. 4, co. 3 della l.r. 34/2008 (risposta al 1° motivo) e sull’obbligo di dar contezza della deroga (2° motivo).
Ma, a tutto concedere, l’appellata ha riproposto tutt’e tre i motivi assorbiti, per cui reputa opportuno il Collegio riprenderli e integrare la motivazione di primo grado, ribadendo, come s’è accennato poc’anzi, che l’art. 4, co. 3 della l.r. 34/2008 consente ai Comuni di «… approvare, sentita l’ASL competente…, …la costruzione di crematori e di strutture per il commiato di cui all’articolo 17, a una distanza inferiore ai 200 metri dai centri abitati …». Ciò vuol dire che il Comune è tenuto a dar specifica giustificazione «…. in deroga a quanto previsto…, nei casi di reale necessità…» della facoltà che intende esercitare nell’allocare dette strutture fuori dalla zona di rispetto cimiteriale, pure ai fini del rilascio del relativo titolo edilizio.
6. – In definitiva, l’appello va integralmente rigettato. Tutte le questioni testé vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all’esame della Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c. e gli argomenti di doglianza non esaminati espressamente sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.
Le spese del presente giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo a favore della sola appellata resistente e costituita.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. VI), definitivamente pronunciando sull’appello (ricorso NRG 3063/2019 in epigrafe), lo respinge.
Condanna gli appellanti al pagamento, a favore della sola appellata sig. -OMISSIS-, delle spese del presente giudizio, che sono nel complesso liquidate in € 4.000,00 (Euro quattromila/00), oltre IVA, CPA ed accessori come per legge. Nulla per le spese nei confronti del Comune di -OMISSIS-.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità ministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità di tutte le parti.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 10 giugno 2021, con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice, Presidente
Hadrian Simonetti, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore
Oreste Mario Caputo, Consigliere
Dario Simeoli, Consigliere
L’ESTENSORE (Silvestro Maria Russo)
IL PRESIDENTE (Sergio De Felice)
IL SEGRETARIO
[ In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati. ]

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Sereno Scolaro

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