Consiglio di Stato, Sez. V, 5 marzo 2020, n. 1606
MASSIMA
Consiglio di Stato, Sez. V, 5 marzo 2020, n. 1606
Consiglio di Stato, Sez. V, 5 marzo 2020, n. 1606
Il procedimento di cui all’art. 18 l. n. 689 del 1981 si riferisce alle sole sanzioni amministrative pecuniarie, per le quali la determinazione (mediante “ordinanza-ingiunzione”) della “somma dovuta per la violazione”, accompagnata dalla pedissequa “ingiunzione di pagamento”, avviene (comma 2) a valle della preventiva notifica della “contestazione” della accertata “violazione” (art. 18, comma 1, in relazione all’art. 14), previa concessione di un termine difensivo (eventualmente preordinato, a richiesta di parte, alla audizione personale) di trenta giorni (cfr. ex permultis Cass., I, 28 marzo 2006, n. 6997). Il procedimento di cui agli artt. 14 ss. della L. n. 689 del 1981 si applica invece alle sole “violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro” (cfr. art. 12), in tali casi dovendosi distinguere: a) la fase di contestazione (immediata ovvero affidata alla notificazione dell’atto di accertamento) della violazione del trasgressore (art. 14); b) l’eventuale estinzione per oblazione, mediante “pagamento di una somma in misura ridotta” (art. 13); c) l’adozione, a definizione e del procedimento e non prima dei trenta giorni concessi alla parte per la formulazione delle eventuali osservazioni difensive, dell’ordinanza-ingiunzione (art. 18), impugnabile dinanzi al giudice ordinario (art. 22 ss.)
Le misure sanzionatorie comminate nell’ambito dell’attività di vigilanza e controllo sulla congruità, appropriatezza, correttezza e legittimità delle modalità di erogazione di un servizio pubblico costituiscono (indipendentemente dalla sussistenza di un regime di matrice concessoria o, come nella specie, autorizzatoria) espressione di un autonomo potere regolatorio rimesso alla Autorità di amministrativa di settore, in ultimo inquadrabile nell’attività di amministrazione attiva (cioè di cura diretta e immediata dell’interesse pubblico), a fronte del quale le posizioni soggettive dei destinatari hanno, come in genere è a fronte dell’azione amministrativa in senso proprio, consistenza di interesse legittimo e perciò sono rimesse alla cognizione del giudice amministrativo (cfr., tra le molte, Cass., SS.UU., 24 luglio 2017, n. 18168), non trovando applicazione la richiamata L. n. 689 del 1981.
Come è noto, la Corte EDU ha da tempo (a partire dalla sentenza della Grande Camera 8 giugno 1976, Engel c. Paesi Bassi) elaborato una giurisprudenza per cui la natura formalmente amministrativa di un illecito non esclude che esso possa essere riconosciuto come intrinsecamente “penale”, al fine di evitare che la qualificazione interna sottragga la disciplina della relativa sanzione all’applicazione delle garanzie della CEDU che attengono alla materia penale (cfr. altresì Corte EDU, 27 settembre 2011, A. Menarini Diagnostici s.r.l. c. Italia e Id., 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia). Il discrimine è affidato ad un triplice ordine di criteri alternativi (c.d. Engel criteria), che fanno lega: a) sulla qualificazione giuridica formale di diritto nazionale (che qualifichi l’illecito come reato); b) sulla natura degli interessi tutelati, che assumano carattere general-preventivo ed orientino ad una funzione non meramente risarcitoria o compensativa, ma repressiva e punitiva della misura sanzionatoria; c) sulla significativa incidenza del massimo edittale prefigurato; l’esito di tale scrutinio induce senz’altro ad escludere che la sanzione della sospensione temporanea dell’autorizzazione all’esercizio dell’impresa funebre possa avere natura penale, in quanto: a) la norma che prefigura la condotta illecita esclude espressamente tale qualificazione, facendo espressamente salva la rilevanza penale del fatto; b) la misura afflittiva si giustifica non già in una logica della prevenzione generale delle condotte illecite, ma opera, nel contesto del rapporto amministrativo di matrice autorizzatoria, a fini di verifica e controllo del rispetto del quadro regolamentare di riferimento da parte degli operatori di settori; c) il trattamento edittale si appalesa, per quanto naturalmente afflittivo, non sproporzionato e significativamente incisivo.
Le misure sanzionatorie comminate nell’ambito dell’attività di vigilanza e controllo sulla congruità, appropriatezza, correttezza e legittimità delle modalità di erogazione di un servizio pubblico costituiscono (indipendentemente dalla sussistenza di un regime di matrice concessoria o, come nella specie, autorizzatoria) espressione di un autonomo potere regolatorio rimesso alla Autorità di amministrativa di settore, in ultimo inquadrabile nell’attività di amministrazione attiva (cioè di cura diretta e immediata dell’interesse pubblico), a fronte del quale le posizioni soggettive dei destinatari hanno, come in genere è a fronte dell’azione amministrativa in senso proprio, consistenza di interesse legittimo e perciò sono rimesse alla cognizione del giudice amministrativo (cfr., tra le molte, Cass., SS.UU., 24 luglio 2017, n. 18168), non trovando applicazione la richiamata L. n. 689 del 1981.
Come è noto, la Corte EDU ha da tempo (a partire dalla sentenza della Grande Camera 8 giugno 1976, Engel c. Paesi Bassi) elaborato una giurisprudenza per cui la natura formalmente amministrativa di un illecito non esclude che esso possa essere riconosciuto come intrinsecamente “penale”, al fine di evitare che la qualificazione interna sottragga la disciplina della relativa sanzione all’applicazione delle garanzie della CEDU che attengono alla materia penale (cfr. altresì Corte EDU, 27 settembre 2011, A. Menarini Diagnostici s.r.l. c. Italia e Id., 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia). Il discrimine è affidato ad un triplice ordine di criteri alternativi (c.d. Engel criteria), che fanno lega: a) sulla qualificazione giuridica formale di diritto nazionale (che qualifichi l’illecito come reato); b) sulla natura degli interessi tutelati, che assumano carattere general-preventivo ed orientino ad una funzione non meramente risarcitoria o compensativa, ma repressiva e punitiva della misura sanzionatoria; c) sulla significativa incidenza del massimo edittale prefigurato; l’esito di tale scrutinio induce senz’altro ad escludere che la sanzione della sospensione temporanea dell’autorizzazione all’esercizio dell’impresa funebre possa avere natura penale, in quanto: a) la norma che prefigura la condotta illecita esclude espressamente tale qualificazione, facendo espressamente salva la rilevanza penale del fatto; b) la misura afflittiva si giustifica non già in una logica della prevenzione generale delle condotte illecite, ma opera, nel contesto del rapporto amministrativo di matrice autorizzatoria, a fini di verifica e controllo del rispetto del quadro regolamentare di riferimento da parte degli operatori di settori; c) il trattamento edittale si appalesa, per quanto naturalmente afflittivo, non sproporzionato e significativamente incisivo.
NORME CORRELATE
Pubblicato il 05/03/2020
N. 01606/2020REG.PROV.COLL.
N. 02842/2019 REG.RIC.
N. 01606/2020REG.PROV.COLL.
N. 02842/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2842 del 2019, proposto da
G. A. Agenzia Funebre di G. Vito & C. s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Aristide De Vivo, con domicilio digitale come da registri di Giustizia;
contro
Comune di Cava de’ Tirreni, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonino Cascone e Giuliana Senatore, con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alfredo Placidi in Roma, via Barnaba Tortolini, 30;
nei confronti
Regione Campania, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale per la Campania – sezione staccata di Salerno, sez. II, n. 513/2019, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Cava de’ Tirreni;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 novembre 2019 il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati Aristide De Vivo e Giuliana Senatore;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con rituale ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo per la Campania – Salerno, la G. A. – Agenzia Funebre di G. Vito & C. s.n.c. impugnava l’ordinanza n. 116 del 26 novembre 2018 del Comune di Cava de’ Tirreni che, dando seguito al verbale di contestazione della Polizia municipale n. 116 del 12 novembre 2018, aveva disposto la sospensione temporanea, per un mese, dell’attività di impresa funebre sul territorio regionale della Campania.
2.- La contestata sanzione era stata irrogata in base al rilievo che, all’ingresso della filiale della società, ubicata in Cava de’ Tirreni, corso Mazzini, 56, era stata collocata un’insegna accompagnata dalla dicitura: “Armando A. Direttore Tecnico della G. A. & C. s.n.c. Agenzia Funebre – Professionalità Esperienza e Qualità – Onoranze e trasporti funebri – < omissis > ” (con un risalto grafico del nominativo ‘Armando A.’, in caratteri alti circa 25 cm, e della qualifica “Direttore Tecnico della G. A. & C. s.n.c. Agenzia Funebre”, in caratteri alti circa 5 cm): ciò in ritenuta violazione dell’art. 8 bis, comma 2, lett. e), della l.r. Campania 24 novembre 2001, n. 12 (Disciplina ed armonizzazione delle attività funerarie), che sanzionava il ricorso a “forme pubblicitarie ingannevoli e disdicevoli”, in correlazione all’art. 4 dell’allegato A alla delibera della Giunta regionale della Campania n. 89 del 20 febbraio 2018 (Linee di programma per il rilascio dell’abilitazione all’esercizio delle attività funebri e per lo svolgimento dell’attività), che circoscriveva la pubblicità delle imprese funebri alle sole informazioni inerenti il logo, l’ubicazione, la descrizione dei servizi ed i recapiti telefonici.
3.- A sostegno del gravame, la società lamentava violazione degli artt. 16 ss. l. n. 689 del 1981, dell’art. 3 della l. n. 241del 1990, del citato art. 8-bis, comma 2, lett. e) l.r. Campania n. 12 del 2001 e dell’art. 4 dell’allegato A alla delibera della Giunta regionale della Campania n. 89/2018, oltre ad eccesso di potere sotto plurimo profilo.
4.- Con la sentenza in epigrafe, resa in forma semplificata nel rituale contraddittorio delle parti, il giudice adito respingeva il ricorso, sul complessivo assunto:
a) che, sotto il pregiudiziale profilo del rito, il contestato provvedimento sanzionatorio non costituisse espressione di astratta potestà punitiva, ma fosse correlato alla funzione di vigilanza e di controllo del corretto svolgimento del pubblico servizio funebre, essendo, con ciò, sindacabile – in presenza di situazioni soggettive di interesse legittimo – dal giudice amministrativo;
b) che, sotto il profilo formale, il termine di trenta giorni, concesso alla parte per la formulazione di eventuali deduzioni difensive, dovesse considerarsi, contrariamente all’assunto della ricorrente, perentorio e non dilatorio (discendendone la plausibile non valutabilità delle difese formulate post diem), non rilevando, sotto distinto profilo – sia in considerazione della natura doverosa e vincolata della misura adottata, sia soprattutto in considerazione che la parte era stata concretamente messa a conoscenza, con la previa notificazione del verbale di contestazione, dell’iniziativa sanzionatoria – la denunziata omissione delle garanzie partecipative endoprocedimentali;
c) che, sotto il profilo sostanziale, l’insegna oggetto di contestazione presentasse effettivamente carattere decettivo, nella misura in cui anteponeva e risaltava graficamente il nominativo del direttore tecnico rispetto alla qualifica dello stesso e, soprattutto, alla ragione sociale dell’impresa, per di più addirittura affiancandovi il ritratto fotografico della persona fisica;
d) che, per l’effetto, oltre a debordare dai limiti dei contenuti dell’informazione pubblicitaria consentita dall’art. 4 dell’allegato A alla delibera della Giunta regionale della Campania n. 89/2018, la stessa si rivelasse concretamente suscettiva di disorientamento nell’utenza circa l’identità dell’impresa contraente, erogatrice dei servizi funebri, palesandosi perciò – a fronte dell’art. 8-bis, comma 2, lett. e), della citata l.r. n. 12 del 2001 – obiettivamente ingannevole;
e) che, in definitiva, in rapporto ai valori giuridici presidiati (costituiti dalla tutela dei consumatori e dai principi di correttezza del confronto concorrenziale), il provvedimento risultasse risulta immune da vizi macroscopici di irragionevolezza o sproporzionalità, a fronte dell’ampia discrezionalità amministrazione nella predeterminazione normativa delle sanzioni irrogabili e dei corrispondenti limiti edittali.
4.- Con atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, la società impugna la ridetta statuizione, di cui lamenta la complessiva erroneità ed ingiustizia, invocandone l’integrale riforma.
Nella resistenza del Comune intimato, alla pubblica udienza del 28 novembre 2019, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa è stata riservata per la decisione.
DIRITTO
1.- L’appello non è fondato e va respinto.
2.- Con i primi due motivi di censura, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente correlati, l’appellante assume che – argomentando dalla natura perentoria (ne post quem) e non dilatoria (ne ante quem) del termine di trenta giorni, indicato nel verbale di contestazione n. 116 del 12 novembre 2018 ai fini della presentazione di eventuali deduzioni difensive – il primo giudice avrebbe frainteso (e, perciò, erroneamente disatteso) le ragioni di doglianza, incentrate sulla prospettata violazione dell’art. 18 l. n. 689 del 1981, che non legittimerebbe l’irrogazione della sanzione prima del decorso del termine in questione, normativamente preordinato a conferire la necessaria definitività alla formalizzata “contestazione”.
2.1.- I motivi non sono fondati.
Il procedimento di cui all’art. 18 l. n. 689 del 1981 si riferisce alle sole sanzioni amministrative pecuniarie, per le quali la determinazione (mediante “ordinanza-ingiunzione”) della “somma dovuta per la violazione”, accompagnata dalla pedissequa “ingiunzione di pagamento”, avviene (comma 2) a valle della preventiva notifica della “contestazione” della accertata “violazione” (art. 18, comma 1, in relazione all’art. 14), previa concessione di un termine difensivo (eventualmente preordinato, a richiesta di parte, alla audizione personale) di trenta giorni (cfr. ex permultis Cass., I, 28 marzo 2006, n. 6997).
È, in effetti, solo all’esito del contraddittorio attivato con la partecipazione dell’addebito, che l’Amministrazione procedente può, alternativamente, ritenere “fondato l’accertamento” (ordinando il versamento delle somme dovute) ovvero emettere “ordinanza motivata di archiviazione”.
Per contro, nel caso in esame, la misura irrogata, pur avendo contenuto afflittivo, costituisce espressione di un distinto potere sanzionatorio, preordinato – nei termini di cui alla normativa regionale di riferimento – alla repressione delle condotte pubblicitarie scorrette ed ingannevoli. Ad essa, specie in difetto di un espresso richiamo da parte della detta legge regionale, non si applica il procedimento di accertamento e irrogazione della legge n. 689 del 1981, che concerne le sanzioni pecuniarie strettamente punitive degli illeciti amministrativi.
Invero, l’art. 8-bis della l.r. Campania 24 novembre 2001, n. 12 – che attribuisce al Comune i poteri di controllo e di vigilanza in ordine al rispetto della disciplina dell’attività funeraria (comma 1) – prefigura, per le violazioni tipizzate alle lettere da a) ad f) del comma 2, la duplice e concorrente sanzione: a) della sospensione temporanea “dall’esercizio dell’attività e del trasporto funebre da uno a sei mesi” (suscettibile di diventare definitiva, con revoca del titolo abilitante, in caso di recidiva reiterata infrabiennale: cfr. comma 4); b) della “sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000,00 a euro 15.000,00”.
Il procedimento di cui agli artt. 14 ss. della l. n. 689 del 1981 si applica invece alle sole “violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro” (cfr. art. 12), in tali casi dovendosi distinguere: a) la fase di contestazione (immediata ovvero affidata alla notificazione dell’atto di accertamento) della violazione del trasgressore (art. 14); b) l’eventuale estinzione per oblazione, mediante “pagamento di una somma in misura ridotta” (art. 13); c) l’adozione, a definizione e del procedimento e non prima dei trenta giorni concessi alla parte per la formulazione delle eventuali osservazioni difensive, dell’ordinanza-ingiunzione (art. 18), impugnabile dinanzi al giudice ordinario (art. 22 ss.)
Per contro, le misure sanzionatorie comminate nell’ambito dell’attività di vigilanza e controllo sulla congruità, appropriatezza, correttezza e legittimità delle modalità di erogazione di un servizio pubblico costituiscono (indipendentemente dalla sussistenza di un regime di matrice concessoria o, come nella specie, autorizzatoria) espressione di un autonomo potere regolatorio rimesso alla Autorità di amministrativa di settore, in ultimo inquadrabile nell’attività di amministrazione attiva (cioè di cura diretta e immediata dell’interesse pubblico), a fronte del quale le posizioni soggettive dei destinatari hanno, come in genere è a fronte dell’azione amministrativa in senso proprio, consistenza di interesse legittimo e perciò sono rimesse alla cognizione del giudice amministrativo (cfr., tra le molte, Cass., SS.UU., 24 luglio 2017, n. 18168), non trovando applicazione la richiamata l. n. 689 del 1981.
È, del resto, in coerenza con tale distinzione (che discende dalla normativa primaria e trae conforto dai principi generali) che la competenza alla adozione delle due misure è stata attribuita (dalla delibera n. 731/2017, di approvazione delle Linee guida per il rilascio dell’abilitazione all’esercizio delle attività funerare, di cui si dirà infra) a diversi soggetti (rispettivamente, il Comando di Polizia locale, quanto alla sanzione pecuniaria, e il responsabile dell’Ufficio SUAP, quanto alla sospensione temporanea e definitiva (cfr. art. 5, comma 2).
Ne discende, con riguardo alla vicenda in esame: a) che, elevato e ritualmente notificato il verbale di contravvenzione n.116 del 12 novembre 2018, il successivo termine di trenta giorni, invocato dall’appellante, era riferito esclusivamente (come, peraltro, espressamente testualizzato nel corpo del provvedimento) alla (possibile) irrogazione di sanzione amministrativa di carattere pecuniario (in concreto non adottata); b) che nessun termine a difesa andava concesso, in relazione alla sanzione accessoria della sospensione temporanea dell’attività.
3.- Con il terzo motivo di gravame, l’appellante lamenta difetto di motivazione, sul rilievo che l’utilizzo di caratteri di differente altezza non integrerebbe alcuna violazione dell’art. 4 della d.G.R. n. 731/2017, in relazione al disposto dell’art. 8 bis, lett. e) della citata l.r n. 12 del 2001 e che, in particolare, alcuna disposizione regionale recherebbe “<i>direttive tecniche sui caratteri da utilizzare nelle insegne pubblicitarie delle imprese funebri</i>”.
3.1.- Il motivo non persuade.
L’esercizio dei servizi funerari è, allo stato, disciplinato – sulla base della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 (Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie) e d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 (Approvazione del regolamento di polizia mortuaria) – dalla normativa regionale che, in Campania, fa capo alla l.r. 24 novembre 2001, n.12.
Tale normativa prevede, in particolare: a) che l’esercizio delle attività funerarie va autorizzato, nel rispetto delle “linee di programma adottate dalla Giunta regionale” dal Comune interessato (artt. 2, comma 3 e 8 quater, comma 1), al quale competono altresì le funzioni di vigilanza e controllo; b) che l’inosservanza delle prescrizioni normative, quali previste dalla legge e dall’allegato “Codice delle attività e delle imprese funebri” (art. 8), costituisce fatto “illecito” sanzionato, nei casi tipizzati dall’art. 8-bis, comma 2 e fatta salva la rilevanza penale della condotta, dalla concorrente sanzione inibitoria (temporanea o, nei casi più gravi, definitivamente interdittiva) e pecuniaria; c) che, in particolare, costituisce illecito il “ricorso a forme pubblicitarie ingannevoli e disdicevoli”.
Con deliberazione di Giunta regionale 27 novembre 2017, n. 731, in parte qua modificata dalla deliberazione 20 febbraio 2018, n. 89, la Regione ha approvato le “Linee di programma per il rilascio dell’abilitazione all’esercizio delle attività funebri e per il relativo svolgimento”, con le quali – relativamente alle forme e modalità pubblicitarie (art. 4) – ha stabilito (nella formulazione vigente tempore acti) che alle imprese autorizzate è consentita “la pubblicità, in ogni forma e con ogni mezzo, dell’attività funebre, di trasporto funebre, di onoranze funebri, di pompe funebri, di agenzia funebre, filiali o diversamente denominata”, espressamente e rigorosamente circoscrivendone il contenuto alle “seguenti informazioni: Logo – Ubicazione – Descrizione servizi – Recapiti telefonici” e non ammettendo “altre forme di pubblicità tout court che non sono [sic!] quelle sopra descritte”.
La disposizione in parola è, con evidenza, preordinata ad integrare e completare, sul piano prefigurativo della regolazione amministrativa, il concetto giuridico indeterminato del carattere “ingannevole” o “disdicevole” del messaggio pubblicitario interdetto e sanzionato, in un settore in cui risulta notoriamente necessaria la rigorosa prevenzione di forme di concorrenza non leali la tutela della correttezza e della trasparenza nei confronti dell’utenza.
Risultava, per l’effetto, chiaramente preclusa la possibilità di includere nella pubblicità il nominativo (per giunta significativamente evidenziato dall’uso di caratteri cubitali) e perfino dell’immagine (fotografica) del direttore tecnico.
A diversa conclusione non può indurre il parere reso, nella seduta del 22 febbraio 2019, dalla Consulta regionale delle attività funerarie e cimiteriali (istituita, per finalità consultive, dall’art. 3 l.r. n. 12 del 2001 cit.), che – pur ribadendo evidenziando che “qualsiasi altra dicitura, tra cui il nominativo del direttore tecnico, non è ammesso” – ha, non senza contraddizione, ventilato la non plausibile eventualità di una “interpretazione estensiva” della norma, per l’ipotesi in cui il nominativo del direttore tecnico “faccia parte” dello stesso logo dell’impresa. Invero, in disparte ogni altro profilo, il parere risulta disatteso dalla stessa Regione Campania, con nota del 9 ottobre 2019, a riscontro della richiesta di chiarimenti sollecitata proprio dal Comune.
3.2.- Importa, peraltro, evidenziare che l’art. 1, comma 55, lettera c) della l.r. 30 dicembre 2019, n. 27 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione finanziario per il triennio 2020-2022 della Regione Campania – Legge di stabilità regionale per il 2020) ha significativamente riformulato l’art. 4 l.r. n. 12 del 2001, il quale ora prevede: a) che “la pubblicità delle imprese funebri sui servizi che queste sono in grado di offrire deve essere chiara e semplice” (comma 1); b) che “non sono ammesse forme pubblicitarie sensazionali, mendaci o indecorose” (comma 2); c) che è consentita, in aggiunta ai già previsti elementi informativi (logo, ubicazione, descrizione dei servizi e recapiti telefonici) l’indicazione del “direttore tecnico” (comma 2 bis).
Osserva, tuttavia, il Collegio che – in disparte l’incidenza della innovazione normativa sulla possibilità di accompagnare alla indicazione nominativa del direttore tecnico anche l’evidenziazione della sua immagine nel corpo del logo – la disposizione in questione esibisce evidente carattere innovativo e trova applicazione (ai sensi di quanto stabilito dall’art. 1, comma 76, della medesima legge) solo a decorrere dal 1° gennaio 2020, non potendo incidere, ratione temporis, sui provvedimenti adottati anteriormente.
Non può, invero, invocarsi, nel caso di specie, il principio di applicazione della disciplina sopravvenuta più favorevole agli autori di illeciti amministrativi (c.d. favor rei), che si riferisce alle sole sanzioni amministrative strettamente punitive, vale a dire qualificabili come matière pénale nella prospettiva della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (cfr. Corte cost., 21 marzo 2019, n. 63 e Cass., II, 24 settembre 2019, n. 23814).
Come è noto, la Corte EDU ha da tempo (a partire dalla sentenza della Grande Camera 8 giugno 1976, Engel c. Paesi Bassi) elaborato una giurisprudenza per cui la natura formalmente amministrativa di un illecito non esclude che esso possa essere riconosciuto come intrinsecamente “penale”, al fine di evitare che la qualificazione interna sottragga la disciplina della relativa sanzione all’applicazione delle garanzie della CEDU che attengono alla materia penale (cfr. altresì Corte EDU, 27 settembre 2011, A. Menarini Diagnostici s.r.l. c. Italia e Id., 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia).
Il discrimine è affidato ad un triplice ordine di criteri alternativi (c.d. Engel criteria), che fanno lega: a) sulla qualificazione giuridica formale di diritto nazionale (che qualifichi l’illecito come reato); b) sulla natura degli interessi tutelati, che assumano carattere general-preventivo ed orientino ad una funzione non meramente risarcitoria o compensativa, ma repressiva e punitiva della misura sanzionatoria; c) sulla significativa incidenza del massimo edittale prefigurato.
Nel caso di specie, l’esito di tale scrutinio induce senz’altro ad escludere che la sanzione della sospensione temporanea dell’autorizzazione all’esercizio dell’impresa funebre possa avere natura penale, in quanto: a) la norma che prefigura la condotta illecita esclude espressamente tale qualificazione, facendo espressamente salva la rilevanza penale del fatto; b) la misura afflittiva si giustifica non già in una logica della prevenzione generale delle condotte illecite, ma opera, nel contesto del rapporto amministrativo di matrice autorizzatoria, a fini di verifica e controllo del rispetto del quadro regolamentare di riferimento da parte degli operatori di settori; c) il trattamento edittale si appalesa, per quanto naturalmente afflittivo, non sproporzionato e significativamente incisivo.
Ne discende l’applicazione dell’ordinario canone del tempus regit actum, che impedisce di applicare, nella specie, la normativa entrata in vigore successivamente alla commissione dei fatti ed alla pedissequa irrogazione della sanzione (cfr. Cons. Stato, VI, 4 aprile 2017, n. 1566).
4.- Con distinto motivo di gravame, l’appellante contesta, sotto più generale profilo, che l’art. 4 della deliberazione di Giunta regionale 27 novembre 2017, n. 731, recante la rammentate prescrizioni in tema di limiti alla pubblicità, fosse presidiato dalla sanzione di cui all’art. 8-bis.
4.1.- L’assunto non è fondato.
Come si è diffusamente posto in evidenza, l’art. 8-<i>bis</i> individua quale ipotesi di illecito il “ricorso a forme pubblicitarie ingannevoli e disdicevoli”, mentre la deliberazione approvativa delle Linee guida appare finalizzata ad integrare il carattere relativamente indeterminato del requisito di “ingannevolezza”, individuando le modalità esclusive di formalizzazione del messaggio pubblicitario. La saldatura tra le due norme legittima l’assunto che la violazione delle modalità pubblicitarie fosse presidiata (come, del resto è logico) dai corrispondenti poteri di controllo, verifica e sanzione.
Deve, per giunta, convenirsi con l’appellata sentenza, che bene ha evidenziato che il comportamento dell’appellante, oltre a debordare dai limiti contenuti dell’informazione pubblicitaria consentita dall’art. 4 cit., era oggettivamente suscettivo di disorientamento nell’utenza circa l’identità dell’impresa contraente, erogatrice di servizi funebri (se cioè la G. o piuttosto Armando A.).
Le esposte considerazioni valgono anche a dimostrare l’infondatezza dell’ulteriore motivo di gravame, con il quale l’appellante ha ventilato l’irragionevolezza (e la possibile illegittimità costituzionale) della norma violata, in quanto prefigurativa di una sanzione sproporzionata per una condotta esauritasi della mera indicazione di un elemento informativo non previsto.
Si deve, piuttosto, evidenziare che la sanzione della temporanea sospensione dell’attività appare coerente corollario della violazione di un preciso limite alle modalità di predisposizione del messaggio pubblicitario, giustificato dalla più volte evidenziata delicatezza del settore.
5.- Infondato è, infine, l’ultimo motivo di doglianza, con il quale l’appellante si duole della omissione delle necessarie garanzie partecipative, non essendo stato il provvedimento impugnato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento.
In effetti, nella specie l’attività accertativa risulta svolta alla presenza e con la partecipazione del direttore tecnico, il quale ha concretamente fornito documentazione allegata al verbale di sopralluogo, provvedendo anche alla relativa sottoscrizione, congiuntamente agli ufficiali accertatori: il che è sufficiente ad escludere la rilevanza della omissione del formale adempimento partecipativo (cfr. Cons. Stato, VI, 29 novembre 2002, n. 6568).
6.- Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante alla refusione delle spese di lite a favore del Comune di Cava de’ Tirreni, che liquida in complessivi € 4.000,00, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Raffaele Prosperi, Consigliere
Valerio Perotti, Consigliere
Giovanni Grasso, Consigliere, Estensore
Alberto Urso, Consigliere
L’ESTENSORE (Giovanni Grasso)
IL PRESIDENTE (Giuseppe Severini)
IL SEGRETARIO
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2842 del 2019, proposto da
G. A. Agenzia Funebre di G. Vito & C. s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Aristide De Vivo, con domicilio digitale come da registri di Giustizia;
contro
Comune di Cava de’ Tirreni, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonino Cascone e Giuliana Senatore, con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alfredo Placidi in Roma, via Barnaba Tortolini, 30;
nei confronti
Regione Campania, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale per la Campania – sezione staccata di Salerno, sez. II, n. 513/2019, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Cava de’ Tirreni;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 novembre 2019 il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati Aristide De Vivo e Giuliana Senatore;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con rituale ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo per la Campania – Salerno, la G. A. – Agenzia Funebre di G. Vito & C. s.n.c. impugnava l’ordinanza n. 116 del 26 novembre 2018 del Comune di Cava de’ Tirreni che, dando seguito al verbale di contestazione della Polizia municipale n. 116 del 12 novembre 2018, aveva disposto la sospensione temporanea, per un mese, dell’attività di impresa funebre sul territorio regionale della Campania.
2.- La contestata sanzione era stata irrogata in base al rilievo che, all’ingresso della filiale della società, ubicata in Cava de’ Tirreni, corso Mazzini, 56, era stata collocata un’insegna accompagnata dalla dicitura: “Armando A. Direttore Tecnico della G. A. & C. s.n.c. Agenzia Funebre – Professionalità Esperienza e Qualità – Onoranze e trasporti funebri – < omissis > ” (con un risalto grafico del nominativo ‘Armando A.’, in caratteri alti circa 25 cm, e della qualifica “Direttore Tecnico della G. A. & C. s.n.c. Agenzia Funebre”, in caratteri alti circa 5 cm): ciò in ritenuta violazione dell’art. 8 bis, comma 2, lett. e), della l.r. Campania 24 novembre 2001, n. 12 (Disciplina ed armonizzazione delle attività funerarie), che sanzionava il ricorso a “forme pubblicitarie ingannevoli e disdicevoli”, in correlazione all’art. 4 dell’allegato A alla delibera della Giunta regionale della Campania n. 89 del 20 febbraio 2018 (Linee di programma per il rilascio dell’abilitazione all’esercizio delle attività funebri e per lo svolgimento dell’attività), che circoscriveva la pubblicità delle imprese funebri alle sole informazioni inerenti il logo, l’ubicazione, la descrizione dei servizi ed i recapiti telefonici.
3.- A sostegno del gravame, la società lamentava violazione degli artt. 16 ss. l. n. 689 del 1981, dell’art. 3 della l. n. 241del 1990, del citato art. 8-bis, comma 2, lett. e) l.r. Campania n. 12 del 2001 e dell’art. 4 dell’allegato A alla delibera della Giunta regionale della Campania n. 89/2018, oltre ad eccesso di potere sotto plurimo profilo.
4.- Con la sentenza in epigrafe, resa in forma semplificata nel rituale contraddittorio delle parti, il giudice adito respingeva il ricorso, sul complessivo assunto:
a) che, sotto il pregiudiziale profilo del rito, il contestato provvedimento sanzionatorio non costituisse espressione di astratta potestà punitiva, ma fosse correlato alla funzione di vigilanza e di controllo del corretto svolgimento del pubblico servizio funebre, essendo, con ciò, sindacabile – in presenza di situazioni soggettive di interesse legittimo – dal giudice amministrativo;
b) che, sotto il profilo formale, il termine di trenta giorni, concesso alla parte per la formulazione di eventuali deduzioni difensive, dovesse considerarsi, contrariamente all’assunto della ricorrente, perentorio e non dilatorio (discendendone la plausibile non valutabilità delle difese formulate post diem), non rilevando, sotto distinto profilo – sia in considerazione della natura doverosa e vincolata della misura adottata, sia soprattutto in considerazione che la parte era stata concretamente messa a conoscenza, con la previa notificazione del verbale di contestazione, dell’iniziativa sanzionatoria – la denunziata omissione delle garanzie partecipative endoprocedimentali;
c) che, sotto il profilo sostanziale, l’insegna oggetto di contestazione presentasse effettivamente carattere decettivo, nella misura in cui anteponeva e risaltava graficamente il nominativo del direttore tecnico rispetto alla qualifica dello stesso e, soprattutto, alla ragione sociale dell’impresa, per di più addirittura affiancandovi il ritratto fotografico della persona fisica;
d) che, per l’effetto, oltre a debordare dai limiti dei contenuti dell’informazione pubblicitaria consentita dall’art. 4 dell’allegato A alla delibera della Giunta regionale della Campania n. 89/2018, la stessa si rivelasse concretamente suscettiva di disorientamento nell’utenza circa l’identità dell’impresa contraente, erogatrice dei servizi funebri, palesandosi perciò – a fronte dell’art. 8-bis, comma 2, lett. e), della citata l.r. n. 12 del 2001 – obiettivamente ingannevole;
e) che, in definitiva, in rapporto ai valori giuridici presidiati (costituiti dalla tutela dei consumatori e dai principi di correttezza del confronto concorrenziale), il provvedimento risultasse risulta immune da vizi macroscopici di irragionevolezza o sproporzionalità, a fronte dell’ampia discrezionalità amministrazione nella predeterminazione normativa delle sanzioni irrogabili e dei corrispondenti limiti edittali.
4.- Con atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, la società impugna la ridetta statuizione, di cui lamenta la complessiva erroneità ed ingiustizia, invocandone l’integrale riforma.
Nella resistenza del Comune intimato, alla pubblica udienza del 28 novembre 2019, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa è stata riservata per la decisione.
DIRITTO
1.- L’appello non è fondato e va respinto.
2.- Con i primi due motivi di censura, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente correlati, l’appellante assume che – argomentando dalla natura perentoria (ne post quem) e non dilatoria (ne ante quem) del termine di trenta giorni, indicato nel verbale di contestazione n. 116 del 12 novembre 2018 ai fini della presentazione di eventuali deduzioni difensive – il primo giudice avrebbe frainteso (e, perciò, erroneamente disatteso) le ragioni di doglianza, incentrate sulla prospettata violazione dell’art. 18 l. n. 689 del 1981, che non legittimerebbe l’irrogazione della sanzione prima del decorso del termine in questione, normativamente preordinato a conferire la necessaria definitività alla formalizzata “contestazione”.
2.1.- I motivi non sono fondati.
Il procedimento di cui all’art. 18 l. n. 689 del 1981 si riferisce alle sole sanzioni amministrative pecuniarie, per le quali la determinazione (mediante “ordinanza-ingiunzione”) della “somma dovuta per la violazione”, accompagnata dalla pedissequa “ingiunzione di pagamento”, avviene (comma 2) a valle della preventiva notifica della “contestazione” della accertata “violazione” (art. 18, comma 1, in relazione all’art. 14), previa concessione di un termine difensivo (eventualmente preordinato, a richiesta di parte, alla audizione personale) di trenta giorni (cfr. ex permultis Cass., I, 28 marzo 2006, n. 6997).
È, in effetti, solo all’esito del contraddittorio attivato con la partecipazione dell’addebito, che l’Amministrazione procedente può, alternativamente, ritenere “fondato l’accertamento” (ordinando il versamento delle somme dovute) ovvero emettere “ordinanza motivata di archiviazione”.
Per contro, nel caso in esame, la misura irrogata, pur avendo contenuto afflittivo, costituisce espressione di un distinto potere sanzionatorio, preordinato – nei termini di cui alla normativa regionale di riferimento – alla repressione delle condotte pubblicitarie scorrette ed ingannevoli. Ad essa, specie in difetto di un espresso richiamo da parte della detta legge regionale, non si applica il procedimento di accertamento e irrogazione della legge n. 689 del 1981, che concerne le sanzioni pecuniarie strettamente punitive degli illeciti amministrativi.
Invero, l’art. 8-bis della l.r. Campania 24 novembre 2001, n. 12 – che attribuisce al Comune i poteri di controllo e di vigilanza in ordine al rispetto della disciplina dell’attività funeraria (comma 1) – prefigura, per le violazioni tipizzate alle lettere da a) ad f) del comma 2, la duplice e concorrente sanzione: a) della sospensione temporanea “dall’esercizio dell’attività e del trasporto funebre da uno a sei mesi” (suscettibile di diventare definitiva, con revoca del titolo abilitante, in caso di recidiva reiterata infrabiennale: cfr. comma 4); b) della “sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000,00 a euro 15.000,00”.
Il procedimento di cui agli artt. 14 ss. della l. n. 689 del 1981 si applica invece alle sole “violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro” (cfr. art. 12), in tali casi dovendosi distinguere: a) la fase di contestazione (immediata ovvero affidata alla notificazione dell’atto di accertamento) della violazione del trasgressore (art. 14); b) l’eventuale estinzione per oblazione, mediante “pagamento di una somma in misura ridotta” (art. 13); c) l’adozione, a definizione e del procedimento e non prima dei trenta giorni concessi alla parte per la formulazione delle eventuali osservazioni difensive, dell’ordinanza-ingiunzione (art. 18), impugnabile dinanzi al giudice ordinario (art. 22 ss.)
Per contro, le misure sanzionatorie comminate nell’ambito dell’attività di vigilanza e controllo sulla congruità, appropriatezza, correttezza e legittimità delle modalità di erogazione di un servizio pubblico costituiscono (indipendentemente dalla sussistenza di un regime di matrice concessoria o, come nella specie, autorizzatoria) espressione di un autonomo potere regolatorio rimesso alla Autorità di amministrativa di settore, in ultimo inquadrabile nell’attività di amministrazione attiva (cioè di cura diretta e immediata dell’interesse pubblico), a fronte del quale le posizioni soggettive dei destinatari hanno, come in genere è a fronte dell’azione amministrativa in senso proprio, consistenza di interesse legittimo e perciò sono rimesse alla cognizione del giudice amministrativo (cfr., tra le molte, Cass., SS.UU., 24 luglio 2017, n. 18168), non trovando applicazione la richiamata l. n. 689 del 1981.
È, del resto, in coerenza con tale distinzione (che discende dalla normativa primaria e trae conforto dai principi generali) che la competenza alla adozione delle due misure è stata attribuita (dalla delibera n. 731/2017, di approvazione delle Linee guida per il rilascio dell’abilitazione all’esercizio delle attività funerare, di cui si dirà infra) a diversi soggetti (rispettivamente, il Comando di Polizia locale, quanto alla sanzione pecuniaria, e il responsabile dell’Ufficio SUAP, quanto alla sospensione temporanea e definitiva (cfr. art. 5, comma 2).
Ne discende, con riguardo alla vicenda in esame: a) che, elevato e ritualmente notificato il verbale di contravvenzione n.116 del 12 novembre 2018, il successivo termine di trenta giorni, invocato dall’appellante, era riferito esclusivamente (come, peraltro, espressamente testualizzato nel corpo del provvedimento) alla (possibile) irrogazione di sanzione amministrativa di carattere pecuniario (in concreto non adottata); b) che nessun termine a difesa andava concesso, in relazione alla sanzione accessoria della sospensione temporanea dell’attività.
3.- Con il terzo motivo di gravame, l’appellante lamenta difetto di motivazione, sul rilievo che l’utilizzo di caratteri di differente altezza non integrerebbe alcuna violazione dell’art. 4 della d.G.R. n. 731/2017, in relazione al disposto dell’art. 8 bis, lett. e) della citata l.r n. 12 del 2001 e che, in particolare, alcuna disposizione regionale recherebbe “<i>direttive tecniche sui caratteri da utilizzare nelle insegne pubblicitarie delle imprese funebri</i>”.
3.1.- Il motivo non persuade.
L’esercizio dei servizi funerari è, allo stato, disciplinato – sulla base della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 (Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie) e d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 (Approvazione del regolamento di polizia mortuaria) – dalla normativa regionale che, in Campania, fa capo alla l.r. 24 novembre 2001, n.12.
Tale normativa prevede, in particolare: a) che l’esercizio delle attività funerarie va autorizzato, nel rispetto delle “linee di programma adottate dalla Giunta regionale” dal Comune interessato (artt. 2, comma 3 e 8 quater, comma 1), al quale competono altresì le funzioni di vigilanza e controllo; b) che l’inosservanza delle prescrizioni normative, quali previste dalla legge e dall’allegato “Codice delle attività e delle imprese funebri” (art. 8), costituisce fatto “illecito” sanzionato, nei casi tipizzati dall’art. 8-bis, comma 2 e fatta salva la rilevanza penale della condotta, dalla concorrente sanzione inibitoria (temporanea o, nei casi più gravi, definitivamente interdittiva) e pecuniaria; c) che, in particolare, costituisce illecito il “ricorso a forme pubblicitarie ingannevoli e disdicevoli”.
Con deliberazione di Giunta regionale 27 novembre 2017, n. 731, in parte qua modificata dalla deliberazione 20 febbraio 2018, n. 89, la Regione ha approvato le “Linee di programma per il rilascio dell’abilitazione all’esercizio delle attività funebri e per il relativo svolgimento”, con le quali – relativamente alle forme e modalità pubblicitarie (art. 4) – ha stabilito (nella formulazione vigente tempore acti) che alle imprese autorizzate è consentita “la pubblicità, in ogni forma e con ogni mezzo, dell’attività funebre, di trasporto funebre, di onoranze funebri, di pompe funebri, di agenzia funebre, filiali o diversamente denominata”, espressamente e rigorosamente circoscrivendone il contenuto alle “seguenti informazioni: Logo – Ubicazione – Descrizione servizi – Recapiti telefonici” e non ammettendo “altre forme di pubblicità tout court che non sono [sic!] quelle sopra descritte”.
La disposizione in parola è, con evidenza, preordinata ad integrare e completare, sul piano prefigurativo della regolazione amministrativa, il concetto giuridico indeterminato del carattere “ingannevole” o “disdicevole” del messaggio pubblicitario interdetto e sanzionato, in un settore in cui risulta notoriamente necessaria la rigorosa prevenzione di forme di concorrenza non leali la tutela della correttezza e della trasparenza nei confronti dell’utenza.
Risultava, per l’effetto, chiaramente preclusa la possibilità di includere nella pubblicità il nominativo (per giunta significativamente evidenziato dall’uso di caratteri cubitali) e perfino dell’immagine (fotografica) del direttore tecnico.
A diversa conclusione non può indurre il parere reso, nella seduta del 22 febbraio 2019, dalla Consulta regionale delle attività funerarie e cimiteriali (istituita, per finalità consultive, dall’art. 3 l.r. n. 12 del 2001 cit.), che – pur ribadendo evidenziando che “qualsiasi altra dicitura, tra cui il nominativo del direttore tecnico, non è ammesso” – ha, non senza contraddizione, ventilato la non plausibile eventualità di una “interpretazione estensiva” della norma, per l’ipotesi in cui il nominativo del direttore tecnico “faccia parte” dello stesso logo dell’impresa. Invero, in disparte ogni altro profilo, il parere risulta disatteso dalla stessa Regione Campania, con nota del 9 ottobre 2019, a riscontro della richiesta di chiarimenti sollecitata proprio dal Comune.
3.2.- Importa, peraltro, evidenziare che l’art. 1, comma 55, lettera c) della l.r. 30 dicembre 2019, n. 27 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione finanziario per il triennio 2020-2022 della Regione Campania – Legge di stabilità regionale per il 2020) ha significativamente riformulato l’art. 4 l.r. n. 12 del 2001, il quale ora prevede: a) che “la pubblicità delle imprese funebri sui servizi che queste sono in grado di offrire deve essere chiara e semplice” (comma 1); b) che “non sono ammesse forme pubblicitarie sensazionali, mendaci o indecorose” (comma 2); c) che è consentita, in aggiunta ai già previsti elementi informativi (logo, ubicazione, descrizione dei servizi e recapiti telefonici) l’indicazione del “direttore tecnico” (comma 2 bis).
Osserva, tuttavia, il Collegio che – in disparte l’incidenza della innovazione normativa sulla possibilità di accompagnare alla indicazione nominativa del direttore tecnico anche l’evidenziazione della sua immagine nel corpo del logo – la disposizione in questione esibisce evidente carattere innovativo e trova applicazione (ai sensi di quanto stabilito dall’art. 1, comma 76, della medesima legge) solo a decorrere dal 1° gennaio 2020, non potendo incidere, ratione temporis, sui provvedimenti adottati anteriormente.
Non può, invero, invocarsi, nel caso di specie, il principio di applicazione della disciplina sopravvenuta più favorevole agli autori di illeciti amministrativi (c.d. favor rei), che si riferisce alle sole sanzioni amministrative strettamente punitive, vale a dire qualificabili come matière pénale nella prospettiva della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (cfr. Corte cost., 21 marzo 2019, n. 63 e Cass., II, 24 settembre 2019, n. 23814).
Come è noto, la Corte EDU ha da tempo (a partire dalla sentenza della Grande Camera 8 giugno 1976, Engel c. Paesi Bassi) elaborato una giurisprudenza per cui la natura formalmente amministrativa di un illecito non esclude che esso possa essere riconosciuto come intrinsecamente “penale”, al fine di evitare che la qualificazione interna sottragga la disciplina della relativa sanzione all’applicazione delle garanzie della CEDU che attengono alla materia penale (cfr. altresì Corte EDU, 27 settembre 2011, A. Menarini Diagnostici s.r.l. c. Italia e Id., 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia).
Il discrimine è affidato ad un triplice ordine di criteri alternativi (c.d. Engel criteria), che fanno lega: a) sulla qualificazione giuridica formale di diritto nazionale (che qualifichi l’illecito come reato); b) sulla natura degli interessi tutelati, che assumano carattere general-preventivo ed orientino ad una funzione non meramente risarcitoria o compensativa, ma repressiva e punitiva della misura sanzionatoria; c) sulla significativa incidenza del massimo edittale prefigurato.
Nel caso di specie, l’esito di tale scrutinio induce senz’altro ad escludere che la sanzione della sospensione temporanea dell’autorizzazione all’esercizio dell’impresa funebre possa avere natura penale, in quanto: a) la norma che prefigura la condotta illecita esclude espressamente tale qualificazione, facendo espressamente salva la rilevanza penale del fatto; b) la misura afflittiva si giustifica non già in una logica della prevenzione generale delle condotte illecite, ma opera, nel contesto del rapporto amministrativo di matrice autorizzatoria, a fini di verifica e controllo del rispetto del quadro regolamentare di riferimento da parte degli operatori di settori; c) il trattamento edittale si appalesa, per quanto naturalmente afflittivo, non sproporzionato e significativamente incisivo.
Ne discende l’applicazione dell’ordinario canone del tempus regit actum, che impedisce di applicare, nella specie, la normativa entrata in vigore successivamente alla commissione dei fatti ed alla pedissequa irrogazione della sanzione (cfr. Cons. Stato, VI, 4 aprile 2017, n. 1566).
4.- Con distinto motivo di gravame, l’appellante contesta, sotto più generale profilo, che l’art. 4 della deliberazione di Giunta regionale 27 novembre 2017, n. 731, recante la rammentate prescrizioni in tema di limiti alla pubblicità, fosse presidiato dalla sanzione di cui all’art. 8-bis.
4.1.- L’assunto non è fondato.
Come si è diffusamente posto in evidenza, l’art. 8-<i>bis</i> individua quale ipotesi di illecito il “ricorso a forme pubblicitarie ingannevoli e disdicevoli”, mentre la deliberazione approvativa delle Linee guida appare finalizzata ad integrare il carattere relativamente indeterminato del requisito di “ingannevolezza”, individuando le modalità esclusive di formalizzazione del messaggio pubblicitario. La saldatura tra le due norme legittima l’assunto che la violazione delle modalità pubblicitarie fosse presidiata (come, del resto è logico) dai corrispondenti poteri di controllo, verifica e sanzione.
Deve, per giunta, convenirsi con l’appellata sentenza, che bene ha evidenziato che il comportamento dell’appellante, oltre a debordare dai limiti contenuti dell’informazione pubblicitaria consentita dall’art. 4 cit., era oggettivamente suscettivo di disorientamento nell’utenza circa l’identità dell’impresa contraente, erogatrice di servizi funebri (se cioè la G. o piuttosto Armando A.).
Le esposte considerazioni valgono anche a dimostrare l’infondatezza dell’ulteriore motivo di gravame, con il quale l’appellante ha ventilato l’irragionevolezza (e la possibile illegittimità costituzionale) della norma violata, in quanto prefigurativa di una sanzione sproporzionata per una condotta esauritasi della mera indicazione di un elemento informativo non previsto.
Si deve, piuttosto, evidenziare che la sanzione della temporanea sospensione dell’attività appare coerente corollario della violazione di un preciso limite alle modalità di predisposizione del messaggio pubblicitario, giustificato dalla più volte evidenziata delicatezza del settore.
5.- Infondato è, infine, l’ultimo motivo di doglianza, con il quale l’appellante si duole della omissione delle necessarie garanzie partecipative, non essendo stato il provvedimento impugnato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento.
In effetti, nella specie l’attività accertativa risulta svolta alla presenza e con la partecipazione del direttore tecnico, il quale ha concretamente fornito documentazione allegata al verbale di sopralluogo, provvedendo anche alla relativa sottoscrizione, congiuntamente agli ufficiali accertatori: il che è sufficiente ad escludere la rilevanza della omissione del formale adempimento partecipativo (cfr. Cons. Stato, VI, 29 novembre 2002, n. 6568).
6.- Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante alla refusione delle spese di lite a favore del Comune di Cava de’ Tirreni, che liquida in complessivi € 4.000,00, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Raffaele Prosperi, Consigliere
Valerio Perotti, Consigliere
Giovanni Grasso, Consigliere, Estensore
Alberto Urso, Consigliere
L’ESTENSORE (Giovanni Grasso)
IL PRESIDENTE (Giuseppe Severini)
IL SEGRETARIO