Consiglio di Stato, Sez. II, 27 aprile 2020, n. 2670
MASSIMA
Consiglio di Stato, Sez. II, 27 aprile 2020, n. 2670
Consiglio di Stato, Sez. II, 27 aprile 2020, n. 2670
In materia di vincolo cimiteriale va evidenziato che l’opera edilizia abusiva vada identificata, ai fini della eventuale concessione in sanatoria, con riferimento all’unitarietà dell’edificio realizzato, restando irrilevante il suo preteso frazionamento in distinte porzioni: cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10 maggio 2013, n. 2541; id., sez. V, 3 luglio 2003, n. 3974).
Non può essere invocata a la vigente disposizione dell’art. 338, comma 5 R.D. n. 1265/1934 circa la derogabilità del vincolo cimiteriale per l’esecuzione di un’opera pubblica o l’attuazione di un intervento urbanistico, non solo ratione temporis, ma anche perché il motivo di tale derogabilità, che rende la stessa disposizione di stretta interpretazione, è costituita dalla sussistenza di interesse pubblico quando non ricorrente (cfr. Cons. St., IV, 23 aprile 2018 n. 2411; id., VI, 12 febbraio 2019 n. 1013, e 24 aprile 2019 n. 2622).
Non può essere invocata a la vigente disposizione dell’art. 338, comma 5 R.D. n. 1265/1934 circa la derogabilità del vincolo cimiteriale per l’esecuzione di un’opera pubblica o l’attuazione di un intervento urbanistico, non solo ratione temporis, ma anche perché il motivo di tale derogabilità, che rende la stessa disposizione di stretta interpretazione, è costituita dalla sussistenza di interesse pubblico quando non ricorrente (cfr. Cons. St., IV, 23 aprile 2018 n. 2411; id., VI, 12 febbraio 2019 n. 1013, e 24 aprile 2019 n. 2622).
NORME CORRELATE
Pubblicato il 27/04/2020
N. 02670/2020REG.PROV.COLL.
N. 03517/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3517 del 2010, proposto dai signori Romilda T. e Germano T., rappresentati e difesi dall’avv. Ercole Romano, domiciliato presso la Segreteria sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13, nonché dalle signore Anna Z. e Paola Z., quali eredi della signora Romilda T., rappresentate e difese dagli avvocati Ercole Romano e Giovanni Corbyons, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Cicerone n. 44,
contro
il Comune di Pescate, non costituito in giudizio,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta) n. 1755/2009, resa tra le parti, concernente diniego di condono edilizio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 21 aprile 2020, il Cons. Carla Ciuffetti, dati per presenti, ai sensi dell’articolo 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, i difensori delle parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La sentenza in epigrafe ha respinto il ricorso presentato in primo grado dall’originaria ricorrente, dante causa dei signori Romilda T. e Germano T., avverso il provvedimento del Comune di Pescate che ne aveva rigettato l’istanza di condono edilizio per opere abusive, site in zona di rispetto cimiteriale, in quanto non suscettibili di sanatoria ai sensi dell’art. 33 della l. n. 47/1985.
2. Gli odierni appellanti, eredi della ricorrente in primo grado, deducono:
a) in merito al motivo di ricorso di primo grado, relativo alla pretermissione del parere della Commissione edilizia, che il primo giudice si sarebbe limitato ad affermare che la disciplina condonistica non ne prevede l’obbligatoria acquisizione, omettendo sostanzialmente di pronunciarsi sulla questione; ai fini della legittimità dell’atto impugnato, tale parere avrebbe dovuto invece essere acquisito dall’Amministrazione comunale, per effetto del disposto dell’art. 220 del R.D. n. 1265/1934 e dell’art. 33 della l. n. 1150/ 1942;
b) quanto al motivo del ricorso di primo grado, sulla base del quale si asseriva che il Comune avrebbe dovuto valutare la derogabilità del vincolo cimiteriale ai sensi dell’art. 338 del R.D. n. 1265/1934, previo parere favorevole della competente ASL, che il Tar si sarebbe limitato a rilevare che i ricorrenti non avevano fornito la prova che l’immobile ricadesse nella parte della fascia di rispetto posta tra 50 e 200 mt. dal cimitero; poiché la richiesta di condono riguardava due immobili e la soprelevazione di un edificio esistente, del quale non sarebbe mai stata posta in dubbio la legittimità, il diniego di condono non avrebbe potuto essere motivato dall’inedificabilità assoluta dell’area in questione e il Comune avrebbe potuto disporre almeno un condono parziale; a tal fine, non poteva considerarsi ostativo il parere contrario espresso dalla competente ASL nell’ambito del procedimento di condono edilizio, in quanto la medesima ASL non era stata chiamata a pronunciarsi sull’eventualità di una deroga al vincolo di inedificabilità nella fascia di rispetto cimiteriale tra i 50 e i 200 mt dal cimitero;
c) il difetto o l’insufficienza di motivazione della sentenza impugnata, quanto al motivo del ricorso di primo grado con cui si prospettava il dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 33 della l. n. 47/1985, alla luce degli artt. 25, secondo comma, e 97 della Costituzione, sotto il profilo della sanzionabilità in via retroattiva di fatti posti in essere prima della data di entrata in vigore della stessa legge, in conseguenza dell’autodenuncia dell’abuso derivante dalla presentazione della domanda di condono edilizio.
3. Si sono costituite in giudizio, con atto depositato in data 27 luglio 2015, le signore Anna Z. e Paola Z., eredi dell’appellante Romilda Z., dando atto della sua scomparsa e riportandosi alle conclusioni contenute nell’atto di appello, ribadite con memoria depositata in data 19 marzo 2020.
4. L’appello è infondato.
4.1. Il Collegio osserva che è consolidato l’indirizzo giurisprudenziale, cui si è attenuto il primo giudice, per cui “nel procedimento di rilascio della concessione edilizia in sanatoria, il parere della Commissione edilizia comunale, considerata la mancanza di espressa previsione normativa e la specialità del procedimento, deve essere considerato facoltativo (cfr. Consiglio Stato sez. IV, 2 novembre 2009, n. 6784)” (Cons. Stato, sez. IV, 9 maggio 2013, n. 2513; ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 12 novembre 2018, n. 6338; id., 12 ottobre 2016, n. 4208; id., 12 maggio 2016, n. 1913; id., sez. V, 29 ottobre 2014, n. 5336; id., sez. VI, 17 dicembre 2013, n. 6042).
Pertanto, in conformità a tale indirizzo, cui si intende dare continuità, il motivo di appello sub a) va rigettato.
4.2. Anche il motivo sub b), relativo ad una pretesa derogabilità della fascia di rispetto cimiteriale è infondato.
In primo luogo, il Collegio constata che gli appellanti non negano che le opere di cui alla domanda di sanatoria ricadessero almeno in parte nella fascia dei 50 mt caratterizzata da vincolo di inedificabilità assoluta. In proposito, va evidenziato che l’opera edilizia abusiva va identificata, ai fini della concessione in sanatoria, con riferimento all’unitarietà dell’edificio realizzato, restando irrilevante il suo preteso frazionamento in distinte porzioni: cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10 maggio 2013, n. 2541; id., sez. V, 3 luglio 2003, n. 3974).
Va poi considerato che l’art. 338 del R.D. n. 1265/1934, nel testo vigente alla data di adozione del diniego di condono (27 novembre 1987) stabiliva che “I cimiteri debbono essere collocati alla distanza di almeno duecento metri dai centri abitati. E’ vietato di costruire intorno agli stessi nuovi edifici e ampliare quelli preesistenti entro il raggio di duecento metri” (primo comma) con obbligo di demolizione e pagamento di sanzione amministrativa da parte del contravventore (terzo comma); solo in caso di gravi e giustificati motivi, su conforme parere dell’organo all’epoca competente in materia sanitaria, poteva essere ridotta la fascia di rispetto cimiteriale fino o a 50 mt nei Comuni con popolazione fino a 20 mila abitanti (quinto comma). Il medesimo articolo, nel testo vigente all’epoca della realizzazione degli interventi edilizi in questione, che l’originaria ricorrente attestava risalire agli anni 1963-1964, prevedeva anche che “<i>Il prefetto inoltre, sentito il medico provinciale e il podestà, per gravi e giustificati motivi e quando per le condizioni locali non si oppongano ragioni igieniche, può autorizzare, di volta in volta, l’ampliamento degli edifici preesistenti nella zona di rispetto dei cimiteri</i>” (quinto comma). Quindi, in entrambe le riportate formulazioni del citato art. 338, la riduzione della fascia di rispetto cimiteriale era subordinata alla sussistenza di gravi e giustificati motivi, non ricorrenti nella fattispecie, e al parere favorevole dell’autorità competente per i profili sanitari.
Né potrebbe essere invocata a sostegno della pretesa dei ricorrenti la vigente disposizione dell’art. 338, quinto comma, del R.D. n. 1265/1934 circa la derogabilità del vincolo cimiteriale per l’esecuzione di un’opera pubblica o l’attuazione di un intervento urbanistico, non solo ratione temporis, ma anche perché il motivo di tale derogabilità, che rende la stessa disposizione di stretta interpretazione, è costituita dalla sussistenza di interesse pubblico che non ricorre nella fattispecie (cfr. Cons. St., IV, 23 aprile 2018 n. 2411; id., VI, 12 febbraio 2019 n. 1013, e 24 aprile 2019 n. 2622).
Dunque, non sussistevano i presupposti per una valutazione da parte del Comune della derogabilità del vincolo per la fascia tra 50 e 200 mt dal cimitero. Né sussistevano i presupposti per un intervento a tal fine della competente ASL, che, comunque aveva già espresso parere contrario nel procedimento di condono, data l’incompatibilità delle opere con il vincolo cimiteriale; perciò la pretesa di un nuovo intervento della stessa ASL, nel presupposto – infondato – dell’asserita derogabilità della fascia di rispetto cimiteriale, pare di natura esclusivamente formale.
Inoltre l’estensione al parere espresso dalla ASL delle stesse censure proposte da parte degli appellanti contro il diniego di condono edilizio pare priva di specifica motivazione.
Infine, priva di rilievo è la tesi che il condono avrebbe dovuto essere rilasciato per l’intervento edilizio di soprelevazione, riguardante “edificio esistente, del quale alcuno ha mai messo in dubbio la legittimità”, in quanto tale argomento non esclude che l’opera ricada nella fascia di rispetto cimiteriale e non ne dimostra il contrario.
4.3. Il Collegio ritiene infondato il motivo di appello <i>sub c)</i> ed esclude che si possa formulare un giudizio di fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma terzo, della l. n. 47/1985, adombrata dai ricorrenti alla luce dei parametri costituzionali da essi invocati.
Nella giurisprudenza amministrativa è “principio consolidato che il potere repressivo delle violazioni in materia edilizia, non essendo in quanto tale sottoposto a termini di decadenza né di prescrizione, sia esercitabile in ogni tempo (anche per il carattere permanente degli illeciti edilizi, o per lo meno dei loro effetti)” (Cons. Stato, sez. V, 24 ottobre 2013, n. 5158), in quanto essi producono “una compromissione del bene giuridico tutelato che dura nel tempo e che può esser fatta venir meno dalla volontà dell’agente” (Cons. Stato, sez. VI, 26 luglio 2018, n. 4565). Dunque, la richiesta di condono edilizio costituisce una mera occasione per il Comune per attivare i propri poteri repressivi – nell’ambito della vigilanza sugli illeciti edilizi attribuita, prima al Sindaco, ai sensi dell’art. 3 della stessa l. n. 47/1985 e poi agli uffici comunali ai sensi dell’art. 27 del d.P.R. n. 380/2001 – ed è infondata la tesi della portata retroattiva dell’art. 33, comma terzo, della l. n. 47/1985 che dispone l’applicazione di sanzioni per le opere non suscettibili di sanatoria.
5. Per quanto sopra esposto l’appello deve essere respinto in quanto infondato.
Non si fa luogo a pronuncia sulle spese non essendosi costituito il Comune appellato.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla sulle spese del grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Sezione Seconda del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2020, convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Raffaele Greco, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere
Giancarlo Luttazi, Consigliere
Italo Volpe, Consigliere
Carla Ciuffetti, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE (Carla Ciuffetti)
IL PRESIDENTE (Raffaele Greco)
IL SEGRETARIO
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3517 del 2010, proposto dai signori Romilda T. e Germano T., rappresentati e difesi dall’avv. Ercole Romano, domiciliato presso la Segreteria sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13, nonché dalle signore Anna Z. e Paola Z., quali eredi della signora Romilda T., rappresentate e difese dagli avvocati Ercole Romano e Giovanni Corbyons, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Cicerone n. 44,
contro
il Comune di Pescate, non costituito in giudizio,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta) n. 1755/2009, resa tra le parti, concernente diniego di condono edilizio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 21 aprile 2020, il Cons. Carla Ciuffetti, dati per presenti, ai sensi dell’articolo 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, i difensori delle parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La sentenza in epigrafe ha respinto il ricorso presentato in primo grado dall’originaria ricorrente, dante causa dei signori Romilda T. e Germano T., avverso il provvedimento del Comune di Pescate che ne aveva rigettato l’istanza di condono edilizio per opere abusive, site in zona di rispetto cimiteriale, in quanto non suscettibili di sanatoria ai sensi dell’art. 33 della l. n. 47/1985.
2. Gli odierni appellanti, eredi della ricorrente in primo grado, deducono:
a) in merito al motivo di ricorso di primo grado, relativo alla pretermissione del parere della Commissione edilizia, che il primo giudice si sarebbe limitato ad affermare che la disciplina condonistica non ne prevede l’obbligatoria acquisizione, omettendo sostanzialmente di pronunciarsi sulla questione; ai fini della legittimità dell’atto impugnato, tale parere avrebbe dovuto invece essere acquisito dall’Amministrazione comunale, per effetto del disposto dell’art. 220 del R.D. n. 1265/1934 e dell’art. 33 della l. n. 1150/ 1942;
b) quanto al motivo del ricorso di primo grado, sulla base del quale si asseriva che il Comune avrebbe dovuto valutare la derogabilità del vincolo cimiteriale ai sensi dell’art. 338 del R.D. n. 1265/1934, previo parere favorevole della competente ASL, che il Tar si sarebbe limitato a rilevare che i ricorrenti non avevano fornito la prova che l’immobile ricadesse nella parte della fascia di rispetto posta tra 50 e 200 mt. dal cimitero; poiché la richiesta di condono riguardava due immobili e la soprelevazione di un edificio esistente, del quale non sarebbe mai stata posta in dubbio la legittimità, il diniego di condono non avrebbe potuto essere motivato dall’inedificabilità assoluta dell’area in questione e il Comune avrebbe potuto disporre almeno un condono parziale; a tal fine, non poteva considerarsi ostativo il parere contrario espresso dalla competente ASL nell’ambito del procedimento di condono edilizio, in quanto la medesima ASL non era stata chiamata a pronunciarsi sull’eventualità di una deroga al vincolo di inedificabilità nella fascia di rispetto cimiteriale tra i 50 e i 200 mt dal cimitero;
c) il difetto o l’insufficienza di motivazione della sentenza impugnata, quanto al motivo del ricorso di primo grado con cui si prospettava il dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 33 della l. n. 47/1985, alla luce degli artt. 25, secondo comma, e 97 della Costituzione, sotto il profilo della sanzionabilità in via retroattiva di fatti posti in essere prima della data di entrata in vigore della stessa legge, in conseguenza dell’autodenuncia dell’abuso derivante dalla presentazione della domanda di condono edilizio.
3. Si sono costituite in giudizio, con atto depositato in data 27 luglio 2015, le signore Anna Z. e Paola Z., eredi dell’appellante Romilda Z., dando atto della sua scomparsa e riportandosi alle conclusioni contenute nell’atto di appello, ribadite con memoria depositata in data 19 marzo 2020.
4. L’appello è infondato.
4.1. Il Collegio osserva che è consolidato l’indirizzo giurisprudenziale, cui si è attenuto il primo giudice, per cui “nel procedimento di rilascio della concessione edilizia in sanatoria, il parere della Commissione edilizia comunale, considerata la mancanza di espressa previsione normativa e la specialità del procedimento, deve essere considerato facoltativo (cfr. Consiglio Stato sez. IV, 2 novembre 2009, n. 6784)” (Cons. Stato, sez. IV, 9 maggio 2013, n. 2513; ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 12 novembre 2018, n. 6338; id., 12 ottobre 2016, n. 4208; id., 12 maggio 2016, n. 1913; id., sez. V, 29 ottobre 2014, n. 5336; id., sez. VI, 17 dicembre 2013, n. 6042).
Pertanto, in conformità a tale indirizzo, cui si intende dare continuità, il motivo di appello sub a) va rigettato.
4.2. Anche il motivo sub b), relativo ad una pretesa derogabilità della fascia di rispetto cimiteriale è infondato.
In primo luogo, il Collegio constata che gli appellanti non negano che le opere di cui alla domanda di sanatoria ricadessero almeno in parte nella fascia dei 50 mt caratterizzata da vincolo di inedificabilità assoluta. In proposito, va evidenziato che l’opera edilizia abusiva va identificata, ai fini della concessione in sanatoria, con riferimento all’unitarietà dell’edificio realizzato, restando irrilevante il suo preteso frazionamento in distinte porzioni: cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10 maggio 2013, n. 2541; id., sez. V, 3 luglio 2003, n. 3974).
Va poi considerato che l’art. 338 del R.D. n. 1265/1934, nel testo vigente alla data di adozione del diniego di condono (27 novembre 1987) stabiliva che “I cimiteri debbono essere collocati alla distanza di almeno duecento metri dai centri abitati. E’ vietato di costruire intorno agli stessi nuovi edifici e ampliare quelli preesistenti entro il raggio di duecento metri” (primo comma) con obbligo di demolizione e pagamento di sanzione amministrativa da parte del contravventore (terzo comma); solo in caso di gravi e giustificati motivi, su conforme parere dell’organo all’epoca competente in materia sanitaria, poteva essere ridotta la fascia di rispetto cimiteriale fino o a 50 mt nei Comuni con popolazione fino a 20 mila abitanti (quinto comma). Il medesimo articolo, nel testo vigente all’epoca della realizzazione degli interventi edilizi in questione, che l’originaria ricorrente attestava risalire agli anni 1963-1964, prevedeva anche che “<i>Il prefetto inoltre, sentito il medico provinciale e il podestà, per gravi e giustificati motivi e quando per le condizioni locali non si oppongano ragioni igieniche, può autorizzare, di volta in volta, l’ampliamento degli edifici preesistenti nella zona di rispetto dei cimiteri</i>” (quinto comma). Quindi, in entrambe le riportate formulazioni del citato art. 338, la riduzione della fascia di rispetto cimiteriale era subordinata alla sussistenza di gravi e giustificati motivi, non ricorrenti nella fattispecie, e al parere favorevole dell’autorità competente per i profili sanitari.
Né potrebbe essere invocata a sostegno della pretesa dei ricorrenti la vigente disposizione dell’art. 338, quinto comma, del R.D. n. 1265/1934 circa la derogabilità del vincolo cimiteriale per l’esecuzione di un’opera pubblica o l’attuazione di un intervento urbanistico, non solo ratione temporis, ma anche perché il motivo di tale derogabilità, che rende la stessa disposizione di stretta interpretazione, è costituita dalla sussistenza di interesse pubblico che non ricorre nella fattispecie (cfr. Cons. St., IV, 23 aprile 2018 n. 2411; id., VI, 12 febbraio 2019 n. 1013, e 24 aprile 2019 n. 2622).
Dunque, non sussistevano i presupposti per una valutazione da parte del Comune della derogabilità del vincolo per la fascia tra 50 e 200 mt dal cimitero. Né sussistevano i presupposti per un intervento a tal fine della competente ASL, che, comunque aveva già espresso parere contrario nel procedimento di condono, data l’incompatibilità delle opere con il vincolo cimiteriale; perciò la pretesa di un nuovo intervento della stessa ASL, nel presupposto – infondato – dell’asserita derogabilità della fascia di rispetto cimiteriale, pare di natura esclusivamente formale.
Inoltre l’estensione al parere espresso dalla ASL delle stesse censure proposte da parte degli appellanti contro il diniego di condono edilizio pare priva di specifica motivazione.
Infine, priva di rilievo è la tesi che il condono avrebbe dovuto essere rilasciato per l’intervento edilizio di soprelevazione, riguardante “edificio esistente, del quale alcuno ha mai messo in dubbio la legittimità”, in quanto tale argomento non esclude che l’opera ricada nella fascia di rispetto cimiteriale e non ne dimostra il contrario.
4.3. Il Collegio ritiene infondato il motivo di appello <i>sub c)</i> ed esclude che si possa formulare un giudizio di fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma terzo, della l. n. 47/1985, adombrata dai ricorrenti alla luce dei parametri costituzionali da essi invocati.
Nella giurisprudenza amministrativa è “principio consolidato che il potere repressivo delle violazioni in materia edilizia, non essendo in quanto tale sottoposto a termini di decadenza né di prescrizione, sia esercitabile in ogni tempo (anche per il carattere permanente degli illeciti edilizi, o per lo meno dei loro effetti)” (Cons. Stato, sez. V, 24 ottobre 2013, n. 5158), in quanto essi producono “una compromissione del bene giuridico tutelato che dura nel tempo e che può esser fatta venir meno dalla volontà dell’agente” (Cons. Stato, sez. VI, 26 luglio 2018, n. 4565). Dunque, la richiesta di condono edilizio costituisce una mera occasione per il Comune per attivare i propri poteri repressivi – nell’ambito della vigilanza sugli illeciti edilizi attribuita, prima al Sindaco, ai sensi dell’art. 3 della stessa l. n. 47/1985 e poi agli uffici comunali ai sensi dell’art. 27 del d.P.R. n. 380/2001 – ed è infondata la tesi della portata retroattiva dell’art. 33, comma terzo, della l. n. 47/1985 che dispone l’applicazione di sanzioni per le opere non suscettibili di sanatoria.
5. Per quanto sopra esposto l’appello deve essere respinto in quanto infondato.
Non si fa luogo a pronuncia sulle spese non essendosi costituito il Comune appellato.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla sulle spese del grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Sezione Seconda del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2020, convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Raffaele Greco, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere
Giancarlo Luttazi, Consigliere
Italo Volpe, Consigliere
Carla Ciuffetti, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE (Carla Ciuffetti)
IL PRESIDENTE (Raffaele Greco)
IL SEGRETARIO