Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, Sez. Giurisd., 26 aprile 2019, n. 347

Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, Sez. Giurisd. 26 aprile 2019, n. 347

MASSIMA
Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, Sez. Giurisd., 26 aprile 2019, n. 347

Va osservato che il provvedimento dirigenziale di revoca della concessione cimiteriale, adottato ex art. 92 d.P.R. 10/9/1990, n. 285, costituisce una presa d’atto dell’avvenuto verificarsi delle condizioni di cui alla determinazione sindacale (cioè dell’atto generale con cui il Comune ha deciso di avvalersi della facoltà di cui al citato art. 92), con conseguente decadenza dal diritto all’utilizzo della sepoltura sin dal compimento del 50° anno dall’ultima tumulazione. La richiamata determinazione sindacale dispone in tal senso, in considerazione delle gravi difficoltà esistenti nei cimiteri comunali. Il generale provvedimento sindacale ha, dunque natura di atto di indirizzo dalla valenza sostanzialmente regolamentare ed evidenzia con sufficiente chiarezza le prevalenti ragioni di interesse pubblico sottese all’opzione di cui al più volte richiamato art. 92.

NORME CORRELATE

Art. 92 d.P.R. 10/9/1990, n. 285

Pubblicato il 26/04/2019
N. 00347/2019REG.PROV.COLL.
N. 00211/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
in sede giurisdizionale
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 211 del 2015, proposto dal Comune di Palermo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ezio Tomasello, con domicilio eletto presso il suo studio in Palermo, p.zza Marina, 39 (Avv. Palermo)
contro
M. Erika, rappresentata e difesa dall’avvocato Biagio Bruno, con domicilio eletto presso il suo studio in Palermo, via Nicolò Gallo 2/E
nei confronti
Maria Dorotea C. non costituita in giudizio
per la riforma della sentenza del T.A.R. della Sicilia, Sezione III, n. 2732/2014
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della signora Erika M.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 10 aprile 2019 il Pres. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati Ezio Tomasello e Biagio Bruno;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
FATTO
Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Sicilia e recante il n. 455/2012, la signora Erika M. – odierna appellata – esponeva di essere titolare del diritto d’uso della sepoltura gentilizia Ma. – Mg. sita nel cimitero dei Cappuccini a Palermo precedentemente intestata ai signori Giovanni Ma. e Vincenzo Mg..
Tale diritto era stato formalmente riconosciuto alla propria madre (Maria Mg.) con determinazione dirigenziale n. 119 del 23 dicembre 2002.
Accortasi della tumulazione nella propria sepoltura di salme di soggetti non appartenenti alla propria famiglia, con atto notificato il 18 novembre 2011, la signora M. aveva chiesto al Comune di accedere alla relativa documentazione.
In data 28 dicembre 2011 era pertanto venuta a conoscenza della determinazione dirigenziale n. 119/2002 con la quale, in attuazione della direttiva sindacale n. 123 del 28 giugno 2006, era stata revocata la sepoltura in questione ai sensi dell’art. 92 del regolamento di polizia mortuaria (d.P.R. n. 285 del 10 settembre 1990), in quanto nella stessa non sarebbero avvenute tumulazioni da più di cinquanta anni.
Con la sentenza n. 2732/2014 (oggetto del presente appello) il Tribunale amministrativo adìto accoglieva il ricorso della signora M. e, per l’effetto, annullava gli atti e i provvedimenti impugnati (e, in primis, la determinazione dirigenziale n. 747 dell’11 luglio 2007 con cui era stata disposta la revoca della concessione cimiteriale per cui è causa).
La sentenza in questione è stata impugnata in appello dal Comune di Palermo il quale ne ha chiesto la riforma articolando i seguenti motivi:
1) Erronea pronuncia circa la supposta violazione del principio dell’affidamento sul riconoscimento del diritto all’uso della sepoltura gentilizia fatto con determina dirigenziale n. 119 del 23 dicembre 2002;
2) Erronea pronuncia circa il supposto contrasto del provvedimento di revoca impugnato [con la] determina dirigenziale n. 119 del 23 dicembre 2002, nonché con la nota del 9 luglio 2007, nella quale il responsabile del servizio aveva evidenziato l’impossibilità di procedere al ritiro.
Si è costituita in giudizio la signora M. la quale ha concluso nel senso dell’infondatezza dell’appello.
Alla pubblica udienza del giorno 10 aprile 2019 il ricorso è stato trattenuto in decisione
DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal Comune di Palermo avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Sicilia n. 2732/2014 con cui è stato accolto il ricorso proposto dalla signora Erika M. e, per l’effetto, è stato annullato il provvedimento n. 747/2007 con cui il competente dirigente comunale aveva disposto la revoca della concessione cimiteriale perpetua di cui la stessa era titolare, ai sensi dell’articolo 92 del d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 (recante ‘<i>Approvazione del regolamento di polizia mortuaria’</i>).
2. Deve in primo luogo essere esaminata la deduzione (formulata con memoria in data 8 marzo 2019) con cui l’appellata signora Erika M. rileva l’acquiescenza che sarebbe stata prestata dal Comune in ordine alle statuizioni rese dal T.A.R. con la sentenza appellata.
La signora M. osserva al riguardo che, all’indomani della pubblicazione della sentenza in questione, il Comune avrebbe adottato atti e tenuto comportamenti incompatibili con la volontà di coltivare ulteriormente l’appello (ci si riferisce, in particolare: i) all’estumulazione di una salma estranea al nucleo dei titolari della concessione perpetua per cui è causa; ii) alla tumulazione – avvenuta nel corso del 2006 – di due congiunti dell’odierna appellata nella cappella in questione).
2.1. L’argomento non può essere condiviso.
Il Collegio si limita qui a richiamare il consolidato orientamento secondo cui l’esecuzione di una sentenza di primo grado da parte dell’amministrazione soccombente non comporta acquiescenza, salvo che emerga una volontà chiara e univoca di accettare l’assetto di interessi che la sentenza stessa ha creato (in tal senso: Cons. Stato, VI, 9 ottobre 2018, n. 5808; id., VI, 11 giugno 2018, n. 3542)
Del resto, l’adozione da parte dell’amministrazione di atti conformi all’assetto di interessi delineato dalla sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva non costituisce espressione di un rinnovato apprezzamento della situazione dedotta in giudizio, ovvero autonoma manifestazione di volontà provvedimentale, ma rappresenta la mera (quanto doverosa) ottemperanza a un ordine giudiziale provvisoriamente esecutivo. Ne consegue che gli atti in tal modo adottati non potrebbero sopravvivere a un’eventuale riforma di tale ordine giudiziale in virtù dell’effetto espansivo esterno della sentenza di riforma in appello ai sensi dell’art. 336, secondo comma, c.p.c. (reso applicabili al giudizio amministrativo in ragione del rinvio operato dall’articolo 39 del c.p.a.).
Riconducendo i princìpi appena richiamati alle peculiarità della vicenda per cui è causa, non emerge in atti alcun elemento il quale deponga nel senso che gli atti adottati dal Comune in esecuzione del dictum di cui alla sentenza di primo grado (e puntualmente richiamati dall’appellata con la memoria in data 8 marzo 2019) sottendessero la volontà di prestare acquiescenza alla decisione impugnata e non anche la semplice (quanto doverosa) intenzione di dare attuazione a prescrizioni giudiziali provvisoriamente esecutive.
3. Venendo al merito della res controversa, occorre domandarsi se l’adozione della direttiva sindacale n. 123/2006 (e la conseguente adozione del provvedimento dirigenziale di revoca n. 747/2007) risultino conformi alle previsioni di cui all’articolo 92 del d.P.R. 285 del 1990, ovvero se – come ritenuto dal primo Giudice – l’adozione del provvedimento di revoca restasse nel caso in esame precluso per effetto dell’atto con cui, nel corso del 2002, il Comune aveva ammesso il subentro dell’appellata nell’ambito della concessione cimiteriale.
3.1. Ad avviso del Collegio, dall’esame del pertinente dato normativo e della documentazione in atti emerge la complessiva legittimità dell’operato del Comune.
3.1.1. Per quanto riguarda la normativa applicabile al caso in esame, viene in rilievo l’articolo 92 del ‘Regolamento di polizia mortuaria’ del 1990, secondo cui “1. Le concessioni [cimiteriali] previste dall’art. 90 sono a tempo determinato e di durata non superiore a 99 anni, salvo rinnovo.
2. Le concessioni a tempo determinato di durata eventualmente eccedente i 99 anni, rilasciate anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica 21 ottobre 1975, n. 803, possono essere revocate, quando siano trascorsi 50 anni dalla tumulazione dell’ultima salma, ove si verifichi una grave situazione di insufficienza del cimitero rispetto al fabbisogno del comune e non sia possibile provvedere tempestivamente all’ampliamento o alla costruzione di nuovo cimitero. Tutte le concessioni si estinguono con la soppressione del cimitero, salvo quando disposto nell’art. 98. (…)”.
3.1.2. La disposizione da ultimo richiamata riconosce quindi ai Comuni la facoltà di procedere alla revoca delle concessioni demaniali laddove si verifichino due condizioni:
– la prima (di carattere oggettivo) rappresentata dal decorso di un cinquantennio dalla tumulazione dell’ultima salma;
– la seconda (cui è sotteso un apprezzamento discrezionale, sia pure ancorato a dati oggettivi) rappresentata dall’esistenza di una grave situazione di insufficienza del cimitero rispetto al fabbisogno del Comune, così come dall’impossibilità di provvedere in tempi celeri all’ampliamento del cimitero esistente ovvero alla costruzione di uno nuovo.
Ora, in disparte la ricorrenza della seconda di tali condizioni (che non risulta comunque contestata in atti), una volta che il Comune si sia avvalso della facoltà normativamente prevista di disporre la revoca delle concessioni per decorso del termine normativamente previsto, tale circostanza determina ipso facto l’effetto decadenziale, in tal modo annettendo valenza meramente ricognitiva all’atto comunale che abbia rilevato il decorso del cinquantennio.
3.1.3. Il Collegio ritiene qui di conformarsi (non emergendo ragioni per discostarsene) alle statuizioni recentemente rese con la sentenza 28 gennaio 2019, n. 62.
Si è in tal occasione osservato che il provvedimento dirigenziale di revoca della concessione cimiteriale costituisce una presa d’atto dell’avvenuto verificarsi delle condizioni di cui alla D.S. n. 123 del 28/06/2006 (i.e.: dell’atto generale con cui il Comune di Palermo ha deciso di avvalersi della facoltà di cui all’articolo 92, cit.), con conseguente decadenza dal diritto all’utilizzo della sepoltura sin dal compimento del cinquantesimo anno dall’ultima tumulazione (e, nel caso in esame, è pacifico che l’ultima tumulazione fosse avvenuta oltre cinquanta anni prima dell’adozione del provvedimento comunale di revoca).
La richiamata deliberazione sindacale, assunta in riferimento all’art. 92, comma 2, del regolamento di cui al d.P.R. n. 285 del 1990, cit. dispone, appunto, in tal senso, in considerazione delle gravi difficoltà esistenti nei cimiteri comunali.
Il generale provvedimento sindacale del 2006 ha, dunque natura di atto di indirizzo dalla valenza sostanzialmente regolamentare ed evidenzia con sufficiente chiarezza le prevalenti ragioni di interesse pubblico sottese all’opzione di cui al più volte richiamato articolo 92.
Il provvedimento impugnato in primo grado integra quindi un mero atto esecutivo e vincolato, basato sul puro riscontro del dato obiettivo (incontestato) dell’inutilizzo ultracinquantennale della sepoltura.
Al riguardo (e per quanto riguarda le lamentate violazioni delle prerogative partecipative), l’odierna appellata non ha fornito elementi atti a dimostrare che, se debitamente preavvertita, la stessa potuto fornire elementi utili a condurre a una diversa conclusione.
Osta in ogni caso all’accoglimento delle tesi dell’appellata il carattere vincolato dell’atto di revoca, nonché la previsione di cui all’articolo 21-octies, comma 2 della l. 241 del 1990 secondo cui il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione di avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto dello stesso non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
E, per le ragioni dinanzi esposte (nonché per le ulteriori che fra breve si esporranno) il contenuto del provvedimento di revoca non avrebbe in effetti potuto essere diverso da quello adottato.
3.2. Né può condurre a conclusioni diverse da quelle sin qui esposte la circostanza per cui, nel corso del 2002, l’appellata aveva ottenuto dal Comune di Palermo il subentro nella concessione demaniale per cui è causa.
Non può infatti ritenersi che tale circostanza avesse sortito un effetto sostanzialmente novativo nell’ambito della fattispecie, dovendo piuttosto ritenersi che il subentro fosse avvenuto nello stato di fatto e di diritto già esistente (e quindi, senza esenzione alcuna rispetto alle preclusioni e alle decadenze già intervenute).
Il Comune di Palermo ha condivisibilmente osservato al riguardo che, laddove si accedesse alla tesi proposta dalla ricorrente in primo grado (e sostanzialmente condivisa dal T.A.R.), potrebbe pervenirsi alla conseguenza paradossale per cui, pure in assenza di utilizzo concreto della sepoltura per oltre cinquanta anni, l’adozione di più atti di subentro potrebbe determinare una proroga sostanzialmente sine die del titolo, con evidente violazione della litera e della ratio del più volte richiamato articolo 92 del Regolamento di polizia mortuaria.
3.3. In base a quanto già esposto, la scelta del Comune di avvalersi della facoltà contemplata dall’articolo 92, cit. determinava – al verificarsi delle condizioni ivi contemplate – l’automatica decadenza dal titolo.
Fermo restando quanto già esposto retro, sub 3.2, non può quindi ritenersi che l’appellata potesse aver maturato un affidamento alla permanenza dello stesso sulla base del solo contenuto della nota comunale in data 23 dicembre 2002.
3.4. Allo stesso modo non assume rilievo dirimente ai fini del decidere la nota in data 9 luglio 2007 con cui l’Ufficio Gestione Impianti Cimiteriali del Comun aveva rappresentato la propria opinione circa l’impossibilità di revocare il titolo concessorio.
Ed infatti la nota in questione (il cui contenuto tecnico-giuridico non può essere condiviso per le ragioni in precedenza esposte) non risultava di per sé idonea a determinare la reviviscenza del titolo, ovvero a radicare uno stato di affidamento legittimo in ordine a un assetto oggettivamente contrastante con le pertinenti disposizioni normative.
3.5. Né a conclusioni diverse può giungersi in relazione alla circostanza (pure, enfatizzata dall’appellata) secondo cui, nel corso del 1998, sarebbe stata avanzata una richiesta volta ad ottenere la tumulazione di due salme nella cappella per cui è causa (istanza che, tuttavia, non era stata accolta dal Comune).
Si osserva al riguardo che, secondo quanto eccepito dal Comune (e non confutato in punto di fatto dall’appellata) le istanza di cui sopra non erano riferite alla cappella per cui è causa, ma a un diverso sepolcro, nel quale le tumulazioni risultano in concreto avvenute.
4. Per le ragioni esposte l’appello in epigrafe deve essere accolto e conseguentemente, in riforma della sentenza impugnata, deve essere disposta la reiezione del ricorso di primo grado.
Il Collegio ravvisa giusti ed eccezionali motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese fra le parti per il doppio grado di giudizio, anche in ragione della peculiarità e parziale novità della res controversa.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 10 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:
Claudio Contessa, Presidente, Estensore
Nicola Gaviano, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Giambattista Bufardeci, Consigliere
Elisa Maria Antonia Nuara, Consigliere
IL PRESIDENTE, ESTENSORE (Claudio Contessa)
IL SEGRETARIO

 

Written by:

Sereno Scolaro

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