La famiglia XXX possiede da circa 100 anni una cappella nel cimitero del Comune di …. Alcune settimane fa il Comune suddetto ha richiesto a tutti e 4 i proprietari delle cappelle del piccolo cimitero (tra cui la famiglia XXX) di fornire la documentazione della concessione edilizia, in quanto non presente nell’archivio comunale, comunicando che in caso di mancata presentazione della documentazione i proprietari sarebbero costretti a dover ripagare il terreno e perdere il diritto di perpetuità. La famiglia XXX, premesso che i documenti in questione, risalenti a circa un secolo fa, sono introvabili, domanda se una tale richiesta possa essere considerata legittima e se il terreno sul quale insiste la cappella non può ritenersi usocapito.
Risposta:
Trattandosi il cimitero di bene demaniale (art. 823 e art. 824 c.c.) gli eventuali diritti sono regolati dalle norme speciali su questi beni ed in particolare, se vi sono, da quelle del regolamento di polizia mortuaria del Comune e dal contratto di concessione. Ecco perché sarebbe stato utile disporre assieme al quesito copia della lettera con la quale il Comune ha richiesto alla famiglia la produzione della documentazione che comprova la originaria cessione della area su cui si è costruita la cappella. Inoltre sarebbe stato utile pure il testo del regolamento di polizia mortuaria comunale (o almeno degli articoli che interessano questo caso). In realtà è possibile che la Cappella sia pervenuta alla famiglia o a suoi ascendenti (occorre ricostruire la discendenza) non solo attraverso concessione del Comune diretta, ma anche per atto inter vivos (compravendita) o mortis causa (successione). Difatti, una vecchia legislazione dell’epoca consentiva la compravendita fra privati di manufatti cimiteriali (art. 71 del R.D. 21.12.1942, n. 1880). Ora ciò non è più consentito. Ciò premesso, si è del parere che debba essere il privato cittadino a dover esibire il titolo che comprova la concessione comunale nell’epoca in cui avvenne. Purtroppo talvolta i contratti originali sono andati perduti, vuoi a causa della guerra, di incendi, furti o semplice disattenzione. Per cui la famiglia dovrebbe effettuare una ricerca approfondita di come le sia realmente pervenuta la cappella, attraverso anche degli incontri con suoi familiari. Si consiglia di richiedere una ricerca approfondita al Comune, il quale deve mantenere traccia nei propri archivi delle concessioni effettuate. In caso di assenza di contratto originario di concessione (attenzione un Comune può essere anche frutto di separazione da un Comune preesistente e quindi la documentazione originaria potrebbe essere all’archivio del Comune padre) o almeno della prova del pagamento dell’area, o ancora del rilascio della autorizzazione alla costruzione, chieda al Comune di verificare che vi sia stato un uso continuativo della Cappella da parte della sua famiglia nel tempo (è provabile facendo la ricerca nei registri delle sepolture cimiteriali che sono in archivio comunale, producendo anche l’elenco con fotografia, delle iscrizioni tombali). Se si ottiene la prova della sepoltura continuativa nella Cappella e non si trova invece niente altro è possibile avviare una procedura per riconoscere egualmente il diritto attraverso l’istituto dell’immemoriale. L’immemoriale (altrimenti noto anche come immemorabile) è un istituto che secondo parte della dottrina è andato in prescrizione, secondo altri no. Si aderisce alla seconda ipotesi e cioè, che se il Comune lo riconosce valido, è l’istituto utile a risolvere il caso dalla famiglia prospettato. La scelta per questa seconda ipotesi è dettata non solo da una valutazione di merito (l’istituto prende atto dell’esercizio fatto di un diritto, pur in assenza di titolo), ma anche perché in questo modo se ne agevola l’applicazione. In linea generale, l’istituto opera indipendentemente da un suo recepimento in norme regolamentari e la funzione proposta è, per questo, “neutra”. Il regolamento comunale di polizia mortuaria potrebbe peraltro individuare procedimenti di concreta attuazione dell’istituto dell’immemoriale più dettagliati, fermi restandone tuttavia gli elementi sostanziali (ecco perché era utile valutare il regolamento). La caratteristica dell’istituto consiste nell’esercizio di un diritto che si presume legittimo in quanto fondato sulla vetustas, senza che ne sussista un titolo. In altri termini, si presume che sussista, o sia sussistito, un titolo di possesso del diritto, e che la situazione di fatto ne sia la conseguenza. Il problema, a questo punto, si sposta sulla prova di legittimità del possesso del diritto. Poiché la natura medesima dell’istituto dell’immemoriale richiede la vetustas, cioè il decorso di un periodo di tempo non determinato nel corso del quale il possesso del diritto è stato costante e pacifico, analogamente all’usucapione (e di qui nascerebbero le tesi favorevoli alla prescrizione acquisitiva), viene ammesso ogni mezzo di prova, ivi compreso quello testimoniale (che il nostro sistema giuridico considera sempre mezzo di prova residuale). Ma proprio per la sua caratteristica, la prova testimoniale richiede alcune connotazioni che sono anche la conseguenza della natura dell’istituto. Dovendosi provare la vetustas, la conoscenza asserita dai testimoni richiede una particolare “qualificazione”, cioè che questi abbiano una conoscenza che riguardi non solo il fatto, ma altresì che la conoscenza sia particolarmente fondata, secondo termini temporali che la prassi, la dottrina e la giurisprudenza concordano nel determinare nel fatto che i testimoni abbiano almeno compiuto 50 di età, in modo da “qualificare” i testimoni stessi; la stessa età viene poi a dover essere ulteriormente qualificata nel senso che la conoscenza che i testimoni hanno, ad essere personale e diretta, deve stendersi alla conoscenza della generazione ascendente precedete (cioè, il testimone ultracinquantenne deve essere personalmente a conoscenza del fatto ed essere a conoscenza che i suoi genitori ne erano parimenti a conoscenza). Questo per l’esigenza che la memoria con cui si suffraga la carenza del titolo sia tale da indurre ad una positiva valutazione della sussistenza della vetustas. Va ora posta l’ulteriore questione che porta dallo stato di fatto, attraverso la prova, all’acclarazione della sussistenza del diritto preteso/presunto legittimo. Qui non vi sono dubbi che laddove si voglia far valere il diritto trovi applicazione l’articolo 2697 C.C.. Si tratta, in altri termini, di ricorrere alle usuali procedure di accertamento del diritto. L’immemoriale è l’istituto che svolge la funzione di reintegrazione, di surrogazione di un titolo che non sussiste al momento attuale in cui il giudice dichiara l’accertamento della sussistenza del diritto, ma che si presume sussistesse, o comunque fornisce un diritto sussistente di un titolo idoneo. Nel caso in specie, provando l’uso continuativo del sepolcro o ricercando altri elementi che possano avvalorare nel tempo il concreto utilizzo dello stesso, pur non sussistendo atti formali, e se il Comune aderisce a tale impostazione, si può avviare la procedura dell’immemoriale. Resta ora la questione della procedura per potervi pervenire. Tale procedura è quella generale, cioè la sentenza del giudice che affermi la sussistenza del diritto, essendo la via amministrativa percorribile solo ove sia operante una normativa regolamentare (e in base a quanto da lei comunicatoci ciò non è presente nel suo Comune) che ne regoli la procedura e l’organo competente.
Norme correlate:
Art 823 di Regio Decreto n. 262 del 1942
Art 824 di Regio Decreto n. 262 del 19
Riferimenti:
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