L’istituto della tumulazione privilegiata trova, attualmente, fonte normativa primaria nell’art. 341 TULLSS – R.D. n.1265/1934 – ed ha mantenuto, per la sua rarissima applicazione, un’essenza misteriosa, di spiccata eccezionalità, in quanto il suo stesso nomen juris introduce ad un privilegio per il post mortem (ossia ad uno status di cui altri, al pari, non possano legittimamente godere, pure in un assetto sociale di carattere democratico) in senso tecnico-giuridico, che forse sarebbe anche ora di rinverdire o attualizzare, senza, però, trasformarlo in uno sguaiato fenomeno di massa, magari per eccentrici milionari in cerca di emozioni forti e postume.
Le statuizioni di principio, implementate, poi, dell’art. 105 del D.P.R. 285/90 e, per la procedura di dettaglio, dalla Circ. Min. San. Dir. gen. Servizi igiene pubblica, n. 206 del 4 dicembre 1970, n. 400.5, furono pensate in un’organizzazione dello Stato centralistica e piramidale, (Il TULLSS è addirittura di epoca fascista!).
Oggi, allora, mutatis mutandis, esse debbono esser lette alla luce del D.P.C.M. 26 maggio 2000, con il quale sono state trasmesse alle Regioni le attribuzioni in materia di autorizzazioni contenute nello stesso D.P.R. 285/90.
De jure condito, il D.P.C.M. 26 maggio 2000 (in G.U. dell’11 ottobre 2000, n.238), con cui il Legislatore determina le risorse umane, finanziarie, strumentali ed organizzative da trasferire alle Regioni in materia di salute umana e sanità veterinaria ai sensi del titolo IV, capo I, del D.Lgs n.112/1998, ha disposto la destinazione alle Regioni, fra i tanti altri atti amministrativi, delle autorizzazioni, prima ministeriali, annoverate dal D.P.R. 285/90.
Il D.P.C.M. 26 maggio 2000 appartiene alla categoria delle misure contemplate dall’art. 7 del D.Lgs 112/1998. Ai termini della Tabella A, lettera c), le autorizzazioni, prima di inerenza statale, considerate dal D.P.R. 285/90 vengono assegnate alle Regioni a statuto ordinario a far tempo dall’01.01.2001.
Sul punto specifico si richiama anche la Circ. Min. (Min. Salute), del 21.05.2002 n. 400.VIII/9L/1924 secondo cui, dovendosi affrontare, il frangente, del tutto particolare, della c.d. “tumulazione privilegiata”, di cui all’’art. 105 del D.P.R. 285/90, sulla scorta dei principi desumibili dagli artt. 113 e 114 del D.Lgs n. 112/1998 sembra indubbio l’automatico conferimento, di volta in volta, alle Regioni dell’autorizzazione per la facoltà di tumulare cadaveri o resti mortali in luoghi diversi dai cimiteri, quando si verifichino determinate situazioni di altissimi riconoscimenti da tributare al de cuius.
Questo orientamento è confermato anche dalla Circ. Min. Interno n. 4 del 12.3.2003. Detta autorizzazione alla tumulazione privilegiata, un tempo statale e di pertinenza addirittura governativa ex art. 105 D.P.R 285/90 (quindi in capo al vertice gerarchico assoluto della Pubblica Amministrazione – superiorem non recognoscentes – poiché, in una Repubblica Parlamentare come la nostra, tra il Parlamento e l’Esecutivo il rapporto è basato sulla fiducia), tramite il faticoso processo di decentramento di poteri ed esercizio d’autorità, dallo Stato Centrale agli enti locali, sarebbe divenuta, ex D.P.C.M. 26 maggio 2000, almeno secondo parte della dottrina, nella progressiva graduazione dei trasferimenti giù “per li rami” ed i plessi della macchina amministrativa italiana, un atto prettamente gestionale, la cui titolarità generale, ed anche residuale, sarebbe da ascrivere ex art. 107 comma 3 Lett. f) T. U. Ordinamento Enti Locali – D.Lgs n. 267/2000 – alla persona del Dirigente; e per la dirigenza – oggi – la normativa di riferimento è (o almeno dovrebbe esser) il D.Lgs n.165/2001.
Da una piccola indagine tematica, condotta sul web, diversi Comuni, soprattutto di grandi dimensioni, paiono aderire a quest’interpretazione, almeno sulle loro pagine istituzionali, per quanto riguarda la modulistica.
Al di là del giudizio di merito sulla biografia dell’estinto e sull’osservanza delle prescrizioni tecniche o igienico-sanitarie seguite nella realizzazione del sepolcro, aspetti entrambi rimessi all’accorto esame delle Autorità preposte a pronunciarsi; si vera sunt ea quae complexa es, ossia se ragioniamo eminentemente sul punto di diritto, in tema di legittimazione a rilasciare la prefata autorizzazione (vero nodo da sciogliere!) dopo il D.P.C.M. 26 maggio 2000, da una breve ricerca risulta che alcuni Comuni, investiti, ormai, di tale incombenza, attraverso sub-delega regionale, ex art. 3 comma 5 D.Lgs n. 267/2000, identifichino tale spettanza negli organi di governo a rilevanza politica (sindaco?); altri, invece, designano di tale titolarità il semplice dirigente di settore, come per quasi tutte le autorizzazioni amministrative di polizia mortuaria, laddove il Sindaco non sia chiamato ad agire in veste di Ufficiale di Governo o Autorità Sanitaria Locale (vedasi, ad es., l’art. 10 D.P.R. 285/90).
Le Regioni spesso definiscono la competenza geografica per l’assunzione del provvedimento (infatti, a predisporre tutti gli incartamenti e, soprattutto, ad autorizzare è il Comune nella cui circoscrizione amministrativa insiste l’edificio sede della sepoltura privilegiata), ma non quella funzionale, limitandosi ad un riferimento generico alla potestà autorizzativa del Comune (ossia all’Autorità Comunale in toto) e senza indicare quale organo (collegiale, monocratico, o semplicemente burocratico?) interessare della questione.
Tutta la documentazione da produrre agli atti, secondo molte Regioni, non differisce molto dal protocollo ministeriale, approntato nei primissimi anni ’70, Con la Circ. Min. San. 400.5/1970, segno che le Regioni, nel solco di una prudente e pavida continuità, senza alcun spirito critico di vera riforma, hanno preferito recepire passivamente, al massimo con qualche semplificazione e sfrondatura, le allora indicazioni del Consiglio Superiore di Sanità, per poi comunicarle direttamente ai Comuni, i quali, forse, negli ultimi 200 anni, rispetto ad enti relativamente “giovani” come, appunto, le Regioni, hanno maturato maggior esperienza nelle conduzione della polizia mortuaria, anche in termini di risposte tangibili da offrire alla cittadinanza.
L’operazione è stata – oserei dire, “pilatesca” (menzione liberamente ispirata all’episodio evangelico di Ponzio-Pilato: un noto ed inguaribile ”igienista”, che di fronte ai problemi di giustizia cristologica… si lavava frequentemente le mani!), così, a causa di questa poco onorevole trasfusione figurata, all’insegna dello spudorato “copia-incolla”, tra le suggestioni del Dicastero e le odierne direttive regionali, si ravvisano subito una palese incongruenza ed un “cortocircuito”, laddove si esige il parere del Comune, come quando l’autorizzazione era ministeriale (ed era “stranamente” il sindaco ad esprimersi, in modo dettagliato, per perorare o meno la causa di tumulazione privilegiata), mentre l’autorizzazione stessa deve esser rilasciata proprio dal Comune medesimo; con una singolare sovrapposizione di ruoli.
Mancherebbe, allora, l’elemento della terzietà, dell’opinione enunciata in un momento esterno, rispetto alla sequenza endogena (o solo sub-procedimentale?) degli atti, in una veste non solo meramente consultiva, ma pure di confronto dialettico, a meno che non siano coinvolti diversi organi ed uffici del medesimo Ente, però con diversa posizione prospettica ed angolazione.
Tale soluzione tuttavia risulterebbe piuttosto peregrina, farraginosa e distaccata dalla realtà, in quanto, potenzialmente, solo foriera di contraddizioni o striscianti conflitti da risolvere, forse, in via gerarchica o secondo criterio di specialità: insomma, alla fine: “chi fa che cosa?” nell’organigramma comunale?
In ogni caso, per questi pareri, resi da interfacce tecnico-strumentali come Comune (solamente “quando” e “se” ancora fattibile), Sovrintendenza e dipartimento prevenzione dell’AUSL, si veda l’art. 16 comma 3 L. n. 241/1990, importante anche per la tempistica della loro formulazione nell’economia complessiva della pratica.
A quest’ultimi, forse, sarebbe anche possibile non conformarsi, qualora essi siano intesi quale obbligatori nella loro acquisizione, ma non vincolanti, per l’esito del processo autorizzativo.
Il condizionale, come sempre, è di rigore, siccome ci muoviamo in uno spazio giuridico dai contorni incerti, quasi fosse in una “terra di mezzo” del “caro estinto” senza troppi punti di riferimento, con cui orientarsi, nel caos anarcoide ed impazzito di una legislazione funeraria incompiuta, in quanto sospesa e disarticolata su più livelli, per di più tra loro scoordinati e sconnessi.
Altro fattore importante è quello cronologico, per evitare un inutile dilatarsi a dismisura dei tempi, magari nelle spire dilatorie di qualche ufficio: s’impone, pertanto, il principio dell’autonomia organizzativa per l’Ente Locale sancito sia dal D.Lgs n.267/2000 sia dalla L. n. 241/1990. Tramite il suo art. 29 la L. n. 241/1990 fissa, poi, le garanzie nazionali minime, addirittura citando l’art. 117, secondo comma lett. m) Cost., da estendere anche al procedimento proprio dell’Autorità Comunale, quale ormai è divenuta l’autorizzazione alla tumulazione privilegiata, attraverso un suo apposito regolamento.
Prima, quando l’autorizzazione era statale, la tempistica (max. 180 Giorni, ma oggi potrebbe esser diversa: anche maggiormente compressa) era regolata dal D.M. 18.11.1998, n. 514, in esecuzione degli artt. 2 e 4 L. 241/1990 le cui tabelle sono state recentemente abrogate dal D.P.C.M. 31.07.2014, n. 151.
Ben inteso: per la Legge Italiana, almeno, non sussiste alcun diritto soggettivo “naturale” (…et si Deus non daretur), né interesse legittimo a che una richiesta di tumulazione privilegiata sia per forza accolta, come se, dinanzi a requisiti putativamente oggettivi ed incontrovertibili, fossimo dinanzi ad un atto quasi dovuto.
Al contrario, si tratta pur sempre di un atto ottriato e concesso da parte di quell’Autorità depositaria della potere di autorizzazione, in ambito locale, sulla polizia mortuaria (la quale è attività “comunale” a far data ”solo”… dal R.D. n. 2322/1865, ossia dall’alba dell’Unità d’Italia).
Lo Jus Sepulchri in chiesa (o in altro sito, oppure fabbricato di solito pubblici, ma non cimiteriali), infatti, origina e sorge da un particolarissimo decreto autorizzativo che ha in sé valore costitutivo (in dottrina si ragiona di una manifestazione di volontà unilaterale, da parte dell’Amministrazione, per certi versi, più simile alla concessione), poiché, ipso jure, fonda lo stesso diritto di sepolcro, superando quel limite “invalicabile” posto erga omnes dal Legislatore, con norma tassativa e categorica di ordine pubblico, seppur una tantum e solo per quel determinato defunto (restano, pertanto proibite le sepolture massive negli edifici di culto), e non, quindi, semplicemente ricognitivo come accade, invece, per quasi tutte le altre autorizzazioni amministrative di polizia mortuaria le quali, accertati i soli titoli formali di Legge (es. art. 102 D.P.R. 285/90 sempre in tema di Jus Sepulchri e diritto d’accoglimento in sepolcro privato extra moenia), debbono sempre, necessariamente, esser date, sulla base, magari, quel pre-esistente rapporto concessorio richiamato dall’art. 50 comma 1 lett.) c) D.P.R. 285/90, come accade per le normali tumulazioni tutte.
Qui, questa volta, si tratta di una peculiare autorizzazione “ad sustantiam”, e di effetto ampliativo, in grado di generare nuovi diritti nella sfera giuridica di chi sia destinatario del provvedimento.
Proprio per tali argomentazioni io propenderei sinceramente, ed in modo convinto, per la prima ipotesi precedentemente prospettata (chiara identificazione della prerogativa in capo al Sindaco), poiché la tumulazione privilegiata si configura come una deroga, (una “trasgressione calcolata”?) ad alto contenuto opzionale (è pur sempre una altissima facoltà e non un atto obbligatorio!).
Essa, quindi, si profila quale atto di tipo “politico”, del tutto eccezionale, rispetto all’assioma generalissimo che proibisce la sepoltura di cadaveri, o loro trasformazioni di stato, extra moenia coemiterialia, cioè fuori del perimetro cimiteriale, ex art. 340 TULLSS (norma sì – questa vigente – antico retaggio dell’Editto Napoleonico di Saint Cloud del 1804, primo vero testo unico della moderna polizia mortuaria), soprattutto per le persone allo stato laicale.
È fatta salva, ad ogni modo, la normativa ecclesiastica di cui all’art. 1242 Codex Juris Canonici, per Abati e Vescovi (anche emeriti) in particolare.
Anche il Codex Juris Canonici nella sua ultima versione del 1983, pare implicitamente ricondurre (o… dequotare?) la tumulazione privilegiata ad un’ “anomalia” funeraria, fuori del consueto, quando ribadisce l’inibizione di comune portata, al fatto che i cadaveri dei fedeli, a vario titolo, siano sepolti in chiesa.
L’autorizzazione alla tumulazione privilegiata è atto di rango non semplicemente gestionale, come accade per quasi tutte le autorizzazioni amministrative racchiuse ed enumerate nel D.P.R. n. 285/90: essa, in effetti, è connotata da amplissimi margini di scelta e ponderazione d’opportunità e si traduce, così in una pratica funebre straordinaria posta in essere in difformità dalla Legge (seppur “tollerata” dall’art. 341 TULLSS e, di conseguenza, lecita), assumendo, in questa maniera, la particolare valenza, a sua volta, di atto d’ordine pubblico a rilevanza igienico-sanitaria e a mio modesto avviso, proprio per questi suoi due connotati insuperabili, spetta solo al Sindaco.
Il punto – mi pare – di maggiore delicatezza e risalto, é quello che attiene all’”An” (particella linguistica mutuata dal linguaggio privatistico), ovvero al “se autorizzare o no, cioè, in buona sostanza, alla valutazione dei presupposti legali di accesso alla tumulazione privilegiata, mentre mi sembra di minore rilievo strutturale il (falso?) problema della idoneità formale all’adozione del provvedimento finale.
Infatti, per quest’ultima vexata quaestio per altro già affrontata, per quanto propenda personalmente, come prima agevolmente dimostrato, per la titolarità indiscussa del sindaco, ratione materiae, in qualità, appunto, di ufficiale di governo ex Artt. 50 comma 4 e 54 D.LGS n. 267/2000 ed Autorità Sanitaria Locale ex art. 13 L. n.833/1978, art. 117 D.Lgs n.112/1998, da estrinsecarsi nella forma legis di un decreto ad hoc, non mi sentirei di eccettuare che la materiale autorizzazione sia accordata a firma del solo dirigente (responsabile del procedimento giusta gli Artt. 4, 5 e 6 L. n.241/1990?), ma – in tal caso – come razionale conclusione, di un (previo) atto d’indirizzo politico-amministrativo di cui all’ art. 107, comma 1 D.Lgs n. 267/2000, nelle more di un’eventuale norma positiva in tal senso, contenuta Regolamento Comunale di Polizia Mortuaria, (emanato ex Artt. 3 comma 4 e 7 D.Lgs n. 267/2000, senza dimenticare mai l’Art. 117 comma 6 III Periodo Cost. e gli artt. 344 e 345 TULLSS), di cui si ribadisce, ancora una volta, la “strategica” centralità operativa per meglio disciplinare, sul territorio, i servizi di polizia mortuaria.
Il complesso di norme conosciute come “tumulazione privilegiata”, per sua stessa intrinseca qualità, presenta componenti altamente discretive, e in ambito amministrativo la discrezionalità, ovvero il margine di scelta che il Legislatore rimette all’azione ed al discernimento dei pubblici poteri, seppur nell’interesse generale da perseguire) non può mai sconfinare nell’arbitrarietà più sfrenata!
Esso, allora, richiede il concorso di giustificati motivi di speciali onoranze e/o il conseguimento, in vita, di eccezionali benemerenze, condizioni, quest’ultime, esposte, però, a valutazioni anche altamente soggettive secondo diverse sensibilità storiche, culturali e costumi locali; ma la materia, data anche la lacunosa letteratura e la scarna giurisprudenza, anche molto risalente nel tempo (la più recente si colloca a ridosso del II dopoguerra, dopo gli eccidi nazifascisti, di cui spesso furono vittime anche sacerdoti e religiosi), rimane complessa, incerta ed opinabile…quasi oscura se indaghiamo ancora nei panneggi e nelle pieghe delle poche norme del D.P.R. 285/90 così come declinate dalla nuova disciplina regionale.
A questo proposito, dunque, la più autorevole dottrina tende a suggerire, comunque, prudenza, specie quando si tratti di eventi recenti, poiché il tempo potrebbe condurre a considerazioni maggiormente meditate.