Riportiamo brani di una intervista ad una testata nazionale, resa dal segretario della FENIOF, Alessandro Bosi, sulla situazione degli imprenditori funebri ale prese con l’epidemia di COVID-19:
“Quando ci si approccia anche a un morto in abitazione e per cause naturali, non si può dare per scontato che non fosse contagiato”. E continua: “Le Regioni dicono che al decesso non esiste un pregiudizio igienico-sanitario perché cessa la respirazione, ma quando lo si va a vestire e movimentare un minimo di pressione del torace provoca scambi d’aria”.
Le onoranze funebri hanno dovuto cambiare radicalmente il loro modus operandi: mascherine, tute, guanti e occhiali sono d’obbligo anche per loro. Rientra certamente nelle ipotesi del lavoro, ma non certo a questi ritmi e con questi numeri.
Conclude Bosi: “Non bisogna creare panico tra gli operatori, ma sono necessarie le massime precauzioni.
Anche noi abbiamo bisogno di materiale per proteggerci, che però inizia a mancare”.
Anche Valeria Leotta, responsabile di SEFIT, mostra le preoccupazioni della propria associazione (gestori di cimiteri, crematori, pompe funebri di area pubblica) e precisa che “Già è stata fatta richiesta al Governo perché emani una normativa emergenziale per tutto ciò che riguarda i funerali, la sepoltura la cremazione.
C’è necessità di equiparazione almeno degli operatori funebri e di quelli degli obitori e camere mortuarie al personale sanitario. Lo stesso – a nostro avviso – anche per i lavoratori dei crematori. Sono parecchi i lavoratori di questo settore già in quarantena. Non è quindi solo la richiesta di avere, per l’intera gamma di servizi che vengono forniti dalle nostre imprese, al pari del personale sanitario, accesso preferenziale a Dispositivi di Protezione Individuale, ma poter far conto su una serie di tamponi, eseguiti periodicamente, per limitare il contagio nella categoria, ma anche per dare tranquillità e sicurezza a chi effettua un lavoro essenziale come quello svolto dai nostri lavoratori.”