La valutazione circa il fatto che l’attività di vestizione dei cadaveri fosse di competenza degli addetti alla sala mortuaria non rileva ai fini della connotazione del reato di corruzione, perché il versamento di somme di danaro da parte di impresario di onoranze funebri e/o dei suoi dipendenti ha natura di corrispettivo del compimento da parte dei predetti incaricati di pubblico servizio di atti contrari ai doveri d’ufficio, primo fra tutti la comunicazione aduna ditta dell’avvenuto decesso del paziente ricoverato in ospedale, quasi sempre accompagnato dalla indicazione della suddetta impresa di pompe funebri ai familiari dei defunti.
Il delitto di corruzione, che, costituisce reato “a duplice schema”, si perfeziona alternativamente con l’accettazione della promessa, ovvero con la dazione dell’utilità (es.: alla ricezione di somme di denaro od all’accettazione della promessa del pagamento).
Il delitto deve ritenersi consumato anche quando fra le parti sia stato raggiunto soltanto un accordo di massima sulla ricompensa da versare in cambio dell’atto o del comportamento del pubblico agente, anche se restino da definire ancora dettagli sulla concreta fattibilità dell’accordo e sulla precisa determinazione del prezzo da pagarsi.
Questi i principi sanciti con una recente sentenza della Corte di Cassazione, Sez. II penale, 27 giugno 2018, n. 29442
Questa e altre sentenze in originale, sul settore funebre e cimiteriale, sono reperibili nell’area Sentenze del sito www.funerali.org