Veti incrociati: cosa sta dietro alle favole ….?

Sono sempre più frequenti le occasioni in cui più di qualcuno sosterrebbe l’esigenza di poter contare su una seria legge nazionale per il settore funerario, ma anche di chi, condividendo questa aspirazione, dopo un abbastanza lunga stagione in cui era stato puntato sulla destrutturazione normativa, vi aggiunge la considerazione per la quale ciò non sia stato realizzato a causa di un qualche meccanismo di interdizione posto in essere da altri. Se queste tesi sia fondate o semplici … semplicismi sembra non tenersi in debito conto di come, se questi meccanismi siano stati attivati, presentano, per loro natura fattori di reciprocità, nel senso che non vi è un qualche soggetto che interdice altri, ma una pluralità di soggetti che agiscono, per nulla considerare come, affermando questo (specie se in modo unilaterale), spesso si attribuisce all’”interdittore” individuato una forza ben superiore a quella oggettivamente posseduta. Parimenti, queste tesi vengono integrate con affermazioni circa carenze imputabili a questi, che possono anche avere un fondamento, ma evitando, accuratamente, di esplicitarne, ammesso che siano note, le cause che le determinano.
Va anche di considerare come chi sposi queste tesi sembri non ricordare (e, probabilmente, proprio non lo ricorda, per ragioni temporali) come vi fosse stata una prospettiva di modifica della fonte regolamentare nazionale che oggi appare non più adeguata (e su ciò si può anche, per alcuni aspetti, convenire) che aveva percorso l’intero iter di elaborazione di un testo, incluso il parere della 3^ Sezione del Consiglio Superiore di sanità, tanto da essere stato iscritto all’O.d.g. della Conferenza Unificata Stato-regioni per l’11 luglio 2001, ma che, per iniziativa ministeriale, è stato ritirato, pensando ad un testo integralmente differente, poi formalizzato il 16 novembre. Ma in quella fase era intervenuta la L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3, entrata in vigore l’8 novembre, cosa che lascia considerare come chi abbia lavorato sul testo formalizzato il 16 novembre non si era accorto di queste modifiche, che hanno inciso profondamente sulle differenti ripartizioni delle competenze tra il livello nazionale e quello regionale. Ma queste modifiche costituzionali sono state, va ricordato, frutto dei lavori di una Commissione bilaterale, in cui una parte, allora di minoranza, aveva apportato propri contributi salvo non cessare di parteciparne ai lavori nell’ultima fase, circa 6 mesi, contributi che avevano indotto le componenti allora di maggioranza a ritenere, con qualche ingenuità, che vi fosse un certo accordo generale portando a termine il percorso avviato. Ma quello che, a posteriori, ha lasciato, e lascia ancora, perplessi è il fatto che queste modifiche, avendo seguito percorsi largamente noti, non siano stati percepiti in sede ministeriale (che solo a distanza di tempo, ne hanno preso atto, adottando la tecnica pilatesca per cui si era sgravata dell’onere di occuparsi di date materie. Favorendo la stura ad interventi regionalistici, convulsi e grossolani, trattando di materie su cui gli ambiti regionali non avevano la c.d. memoria storica.
Ma in questa fase, in questi ultimi ambiti determinati soggetti si sono mossi non tanto per intervenire ad innovare la precedente regolamentazione, ma per introdurre elementi aggiuntivi, per quanto estranei alla potestà legislativa (e regolamentare) delle regioni, in particolare per regolare attività economiche di carattere imprenditoriale ed altro, incluse materie del tutto pertinente all’ordinamento civile. E non solo.
Il tema (o, meglio, l’alibi) delle ritenute interdizioni nasconde ben altro, come risulta da testi variamente elaborati sia nelle sedi regionali che nazionali, nel senso che l’obiettivo non si concretizzava in un aggiornamento sostanziale della regolamentazione (a volte, oggettivamente risalente e ben poco innovativo, nel senso più positivo del termine), quanto nella mira di concentrare quanto più possibile in una data fase la fonte delle risorse, inibendo quanto maggiormente possibile risorse eventualmente destinate ad altri, contando sul fatto che nelle fasi dell’immediato post mortem la propensione alla spesa da parte delle famiglie ha, più o meno, un datio livello, che tende a decrescere col passare del tempo, come avviene col lutto. Ora assorbire in questa primissima fase quanto più possibile e disinteressarsi di quanto segua nel tempo è una (seppure non la sola) della cause delle carenze che si lamentano e vengono strumentalizzate per allargare ancor di più l’assorbimento delle fonti di risorse. Ma quando mutano le componenti della domanda, spesso vi è un disorientamento.
Poiché il settore non può esaurirsi nelle forniture e prestazioni dell’immediato post mortem, ma si protrae nel tempo, spesso per decenni (e molti), non si può evitare di considerare, dal lato delle famiglie, il fatto che non si possono comprimere gli spazi di presenza, abbastanza costante, di risorse per tutto il tempo necessario, anche quando questo sia misurabile in una pluralità di decenni. Che si direbbe se il locatario di un appartamento in un qualche condominio pretendesse di corrispondere unicamente il relativo canone, pretendendo che le spese per la fruizione delle parti comuni gravi sul condominio? Con quali risorse l’amministratore del condominio potrebbe farvi fronte? Il canone di locazione, magari versato inizialmente, potrebbe sempre essere sufficiente per il normale mantenimento delle parti comuni? Non si tratta di esempio fuori luogo poiché per tutte le tipologie di “sepolture” differenti da quelle considerate dall’art. 58 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. non vi può essere solo un qualche canone per il loro uso, ma anche il secondo canone per il recupero delle spese … condominiali. Ma anche le sepolture dell’appena citato art. 58 vi sono oneri, pur se (dal 2 marzo 2001), innovando dal passato consolidato fin dall’Unità d’Italia, l’art. 1, comma 7-bis D.-L. 22 dicembre 2000, n. 392, convert. In L. 28 febbraio 2001, n. 26, abbia, in parte, data una risposta in proposito (ma come applicata nelle sedi locali?).
Magari si immagina, fantasiosamente, di superare il presunto tema delle interdizioni (sempre reciproche, come in precedenza osservato) ipotizzando altrettanto fantasiosi tavoli, magari coinvolgendo pressoché unicamente i soliti soggetti (quanto rappresentativi?), interessato alle fasi attive all’inizio del percorso, eventualmente con l’integrazione, tutta di facciata, di soggetti che nulla apportano, ma non si riesce ad immaginare come sia ormai necessaria una visione complessiva, non miope e cooperativa. Ed è da quest’ultima visione che possono ricavarsi anche quegli elementi, in primis culturali e, quindi, operativi che possano contrastare i vizi e lo storture, magari l’eccessiva numerosità degli operatori (che non si supera con i contingentamenti), l’impreparazione diffusa e la presenza di fattori di dubbia, quando non assente (qui o là), legalità.

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Sereno Scolaro

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