Vi sono altri aspetti concernenti le convivenze di fatto che meritano di essere segnalate, anche con riferimento alle annotazioni iniziali formulate con riferimento a possibili testi di Regolamenti comunali di polizia mortuaria, o altre fonti normative di settore, in particolare per gli effetti che possono conseguire sotto il profilo dello ius sepulchri, o sull’appartenenza alla famiglia del concessionario, ai fini dell’art. 93 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., o, in via più generale, sui “titoli” a disporre delle spoglie mortali.
Infatti il comma 40 prevede: “40. Ciascun convivente di fatto può designare l’altro quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati:
a) in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute;
b) in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie..
Per questioni di sistematicità e completezza, citiamo subito anche il successivo comma 41: “41. La designazione di cui al comma 40 è effettuata in forma scritta e autografa oppure, in caso di impossibilità di redigerla, alla presenza di un testimone..
In via incidentale, quest’ultima disposizione sembra ricordare quella dell’art. 3 L. 3 febbraio 1975, n. 18 “Provvedimenti a favore dei ciechi”, quanto meno per la previsione di un (unico) testimone.
In queste disposizioni si fa notare come il convivente di fatto non sia proprio nella medesima posizione del coniuge o della parte di un’unione civile, ma si trovi in ben altra posizione, anche sotto il profilo delle legittimazioni ad agire, poiché il convivente di fatto può designare (quindi si è in presenza di una facoltà!) l’altro (convivente di fatto) quale proprio rappresentate e con poteri pieni o limitati (anche questa previsione va sempre tenuta presente), in due situazioni: [a] malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, e [b] in caso di morte.
In quest’ultimo caso (avendo presente che la rappresentanza derivante dalla designazione può essere con poteri pieni, oppure limitati), [b.1] per quanto riguarda la donazione di organi, [b.2]le modalità di trattamento del corpo e [b.3] le celebrazioni funerarie.
Se ne ricava che, in caso di morte, il convivente di fatto non agisce, né può agire, autonomamente, ma solo se ed in quanto ne sia stato designato (esercitando la facoltà de qua) dal convivente di fatto deceduto e, in ogni caso, agisce (leggi: è legittimato ad agire) nei termini della designazione fattagli.
Non solo, ma il comma 41 rende palese anche la forma che è prescritta per la designazione stessa, richiedendosi la forma scritta e autografa, costituente una conditio sine qua non. In pratica, il convivente di fatto, se ed in quanto designato, assolve alla funzione di “esecutore” della volontà del convivente di fatto deceduto.
Se gli “oggetti” della designazione di cui ai precedenti punti [b.1] e [b.3] non sembrano presentare elementi esposti a plurime interpretazioni, qualche approfondimento merita di farsi attorno al punto [b.2], cioè relativamente alle modalità di trattamento del corpo, ponendo la questione se in tale contesto possano rientrare anche le “scelte” per una data pratica funeraria o per altra.
La questione assume un rilievo particolare nel caso di scelta per la cremazione (considerando, incidentalmente, come la scelta per l’inumazione oppure per la tumulazione non richieda particolari requisiti di forma), alla luce delle disposizioni (antecedenti alla L. 20 maggio 2016, n. 76) dell’art. 3, comma 1, lett. b), n. 3) L. 30 marzo 2001, n. 130.
Per quanto debba tenersi conto della successione delle leggi nel tempo, qualche dubbio può sorgere.
Si ritiene che, poiché il convivente di fatto non agisce in conto proprio, bensì quale rappresentante a ciò designato dall’altro convivente di fatto, si può argomentare come questa designazione possa qualificarsi come “… in mancanza della disposizione testamentaria, o di qualsiasi altra espressione di volontà da parte del defunto …”, che la testé citata disposizione nella L. 30 marzo 2001, n. 130 considera presupposto preliminare alla legittimazione all’espressione della volontà da parte dei familiari (testualmente: “… la volontà del coniuge o, in difetto, del parente più prossimo la volontà del coniuge o, in difetto, del parente più prossimo …” ecc.).
E l’appartenenza alla famiglia del concessionario?
Finora non è stato considerato se il convivente di fatto (come ormai da, circa, 6 anni definito) sia o possa considerarsi, qualificarsi quale “appartenente alla famiglia del concessionario”, ai fini dell’art. 93 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.: certo l’art. 93, comma 2 ammette, per la prima volta nella normativa de qua, anche la possibile “deroga” al concetto di appartenenza alla famiglia del concessionario /e, si ricorda: “su richiesta di concessionari!), anche per “persone che risultino essere state con loro conviventi (ferme restando sempre le forme di prova di questa condizione nei termini dati dall’art. 1, comma 37 L. 20 maggio 2016, n. 76), cosa che porta, o porterebbe, ad escludere il fatto che il convivente di fatto “appartenga” alla famiglia del concessionario.
Tuttavia, è da ritenere che non vi siano motivi ostativi a che il Regolamento comunale di polizia mortuaria, nel dare una qualche definizione dell’ambito di “famiglia del concessionario”, non possa considerare queste condizioni quali connotative di un’appartenenza alla famiglia del concessionario, con ciò “spostando”, per così dire, lo ius sepulchri per la persona convivente di fatto dall’applicabilità, derogatoria, del comma 3 a quello del comma 1 del citato art. 93 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Se il Regolamento comunale di polizia mortuaria preveda, magari anche ed ancora utilizzando la, del tutto superata e ormai non più utilizzabile (magari, in occasione di una qualche revisione del Regolamento comunale di polizia mortuaria si potrà riformulare in termini maggiormente attuali la terminologia), formulazione della “convivenza more uxorio”, questa specificazione di appartenenza alla famiglia del concessionario, potrà anche trovare applicazione il comma 1 dell’art. 93 sopra citato.