Concessioni ad enti: quid quando si tratti di società? – 1/3

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Introduzione
In un bando relativo ad una procedura di concessione di un sepolcro è stato previsto che tra la documentazione a corredo dell’offerta vi fosse anche (come di norma nei procedimenti amministrativi) “riproduzione di un documento d’identità dell’offerente, se persona fisica, o del legale rappresentante, se persona giuridica”, indicazione che, nella sua seconda ipotesi introduce, o può introdurre, l’ipotesi che l’offerta provenga da una persona giuridica.
In tal caso, potrebbe anche trattarsi di una società (e, per semplicità espositiva, consideriamo tra le diverse forme di compagini societarie (società di capitali, società di persone, società in accomandita, ecc.), semplicemente il caso della S.r.l., senza neppure considerare che anche questa forma ha proprie specificazioni) sollevando la questione (una delle plurime) se una società possa, nei contesti degli artt. 90 e 93 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., qualificarsi quale ente, oppure quale privato, questione non esente da maliziosità, poiché molto dipende dalla prospettiva da cui si affronti la questione.
Per inciso, il termine “privato” (che, nel contesto, si avvicina più al concetto di persona fisica o, anche, “insieme” di persone fisiche tra loro collegate da dati rapporti giuridici) è qui estraneo alla distinzione tra “privato” e “pubblico” presente in altri contesti, come risulta dal fatto che molti “enti” sono o possono essere, appunto, “privati” e, talora, anche sorti in altro ordinamento, ferma restando la condizione del loro riconoscimento “anche agli effetti civili”.
Qui consideriamo le società come riconducibili all’ambito ampio degli “enti”, il ché peraltro solleva ulteriori questioni.

La prima questione da considerare
La prima questione che sorge discende dall’art. 92, comma 4 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (“Non può essere fatta concessione di aree per sepolture private a persone o ad enti che mirino a farne oggetto di lucro e di speculazione”), inibizione che va correlata con la disposizione di cui all’art. 2247 C.C. (“ Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di una attività economica allo scopo di dividerne gli utili”).
Ora tale scopo (dividere gli utili) sostanzia il concetto di lucro e speculazione. Come questi due elementi possono – eventualmente – raccordarsi e divenire tra loro compatibili? La risposta richiede di considerare le due norme per la loro portata: la situazione considerata dall’art. 92, comma 4 appena citato ha il senso che sia la concessione ad essere esposta alle mire di lucro e speculazione, non alla natura (e suoi scopi) del soggetto potenzialmente concessionario, mentre la seconda situazione (contratto di società) inerisce agli scopi per cui il contratto è sorto e finalizzato. Ma questa impostazione sposta, immediatamente, l’attenzione sulla seconda questione (Cfr.: infra), non proprio secondaria.

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Sereno Scolaro

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