Circolare Ministero Interno n. 1 del 15/07/1997 – Problematiche interpretative della L. 15 maggio 1997, n. 127, in tema di gestione del personale degli enti locali

Circolare, Ministero Interno, 1997
Circolare allegata

Norme correlate:
Art 3 di Legge n. 127 del 97
Art 5 di Legge n. 127 del 97
Art 6 di Legge n. 127 del 97
Art 32 di Legge n. 142 del 90
Art 35 di Legge n. 142 del 90
Art 51 di Legge n. 142 del 90

Circolare del Ministero dell’Interno n. 1 del 15/07/97 Problematiche interpretative della legge 15 maggio 1997, n. 127, in tema di gestione del personale degli enti locali Ai prefetti della Repubblica Al presidente della giunta regionale della Valle d’Aosta Al commissario del Governo nella provincia di Trento Al commissario del Governo nella provincia di Bolzano e, per conoscenza: Alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Segretariato generale Alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica Ai commissari del Governo nelle regioni a statuto ordinario Al Ministero del tesoro – Ragioneria generale dello Stato – I.G.O.P. All’assessorato regionale agli enti locali – Regione Sicilia Al rappresentante del Governo nella regione Sardegna Al commissario del Governo nella regione Friuli-Venezia Giulia Al presidente della commissione di coordinamento della Valle d’Aosta All’ANCI All’UPI All’UNCEM Nell’ambito del tradizionale rapporto di servizio che contraddistingue questa Amministrazione, si vogliono fornire alcuni criteri di lettura delle novità introdotte dalla legge 15 maggio 1997, n. 127, con particolare riguardo al tema della gestione del personale degli enti locali. Gli orientamenti interpretativi che ne scaturiscono sono stati elaborati d’intesa con la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per la funzione pubblica. In via preliminare, bisogna rilevare come i nuovi meccanismi di gestione del personale dei predetti enti, così come prospettati dalla legge n. 127/1997, vogliono sostanzialmente porsi come momenti di flessibilità del sistema organizzativo ed, in tale chiave di lettura, vanno viste le novità sia ordinamentali che organizzative previste dalla normativa. Ciò premesso, si procederà ad un esame analitico delle norme introdotte in tema di gestione del personale affrontando, caso per caso, le problematiche che sembrano, ad un primo esame, più rilevanti nella vita dell’ente locale. L’art. 3, comma 5, pone divieto alle pubbliche amministrazioni di richiedere l’autenticazione della sottoscrizione delle domande per la partecipazione a selezioni per l’assunzione nelle stesse a qualsiasi titolo. La norma non presenta particolari difficoltà interpretative, salvo a verificarne la valenza in relazione alle procedure concorsuali in atto ed, in particolare, per i bandi di concorso di cui non sia scaduto il termine per la presentazione delle relative domande al momento dell’entrata in vigore della nuova normativa. In tal caso, si ritiene che debbano essere accettate, se presentate dopo il 18 maggio 1997, tutte le domande, anche se prive dell’autentica, pur in presenza di diverse disposizioni contenute nei bandi, disposizioni che debbono ritenersi automaticamente abrogate a seguito dell’entrata in vigore della norma stessa. Un’ulteriore novità è posta dai commi 6 e 7, i quali prevedono che la partecipazione ai concorsi indetti dalle pubbliche amministrazioni non è soggetta a limiti di età, salvo deroghe dettate dai rispettivi regolamenti, connesse alla natura del servizio o ad oggettive necessità. Conseguentemente, il successivo comma 7 abolisce i titoli preferenziali relativi all’età, ferme restando le altre limitazioni e i requisiti previsti dalle leggi e dai regolamenti per l’ammissione ai concorsi pubblici. Anche per questa norma si pongono le problematiche interpretative, già indicate precedentemente, relative ai concorsi i cui bandi siano non ancora scaduti, e, in tal caso, deve ritenersi che la normativa operi automaticamente modificando – ope legis – eventuali disposizioni del bando, che necessariamente prevedevano le preesistenti limitazioni di età. Diversamente, per i bandi di concorso in cui sia già scaduto il termine di presentazione delle domande, alla data di entrata in vigore della legge n. 127/1997, deve ritenersi prevalente la limitazione posta dal bando, in quanto “lex specialis”, in relazione al noto principio del “tempus regit actum”, fatta in ogni caso salva la facoltà dell’Amministrazione, in tali casi, qualora non siano state espletate le relative prove, di riaprire i termini concorsuali ampliando le possibilità di partecipazione al concorso. La norma fa altresì salva la facoltà regolamentare delle singole amministrazioni, in relazione alla natura del servizio o ad oggettive necessità, di prevedere deroghe. Pertanto, anche in questo caso, viene ampliata, in relazione alle esigenze di autorganizzazione dei singoli enti, la facoltà di disciplinare i limiti e le modalità di accesso ai pubblici concorsi presso gli enti locali, utilizzando lo strumento regolamentare. La conseguente previsione del comma 7, relativa all’abolizione dei titoli preferenziali relativi all’età, ferme restando le altre limitazioni e i requisiti previsti sia dalle leggi che dai regolamenti dell’ente, pone dei problemi in relazione all’approvazione delle graduatorie concorsuali, nel momento in cui alcuni candidati avessero il medesimo punteggio, essendo contestualmente privi di altri titoli preferenziali. In tal caso, dovrà essere cura delle commissioni esaminatrici di integrare preliminarmente i predeterminati criteri di formazione delle graduatorie mediante apposite previsioni, disciplinanti le fattispecie di “ex aequo”. Ad esempio, potrebbe essere attribuito un valore preferenziale ad alcune componenti del punteggio finale. Si rappresenta, altresì, l’opportunità che gli enti disciplinino, nei nuovi bandi di concorso, esplicitamente la fattispecie. Il successivo art. 5 porta a compimento il citato processo di riorganizzazione degli enti, in cui il momento della gestione del personale diviene momento di flessibilità organizzativa, e, conseguentemente, opera uno spostamento di competenze dal consiglio comunale alla giunta. Pertanto, al comma 6, si abroga espressamente la lettera c) del comma 2 dell’art. 32 della legge 8 giugno 1990, n. 142, che riservava al consiglio l’adozione degli atti in tema di piante organiche e le relative variazioni. Conseguentemente, il comma 4 della stessa legge n. 127/1997 aggiunge un comma 2-bis all’art. 35 della citata legge n. 142/1990, riservando alla competenza della giunta l’adozione dei regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal consiglio. In merito deve rilevarsi come, a seguito dell’abrogazione della competenza consiliare in tema di piante organiche e relative variazioni, la stessa sia stata spostata, prevedendo l’adozione di atti di tipo regolamentare, in capo alla giunta, limitando la competenza del consiglio all’emanazione di “criteri generali”, che si riterrebbe non possano dettagliarsi, al punto tale da dare indirizzi di tipo gestionale all’organo esecutivo, e ciò proprio perchè risulta abrogata la competenza del consiglio comunale in tema di piante organiche. Peraltro, i “criteri generali”, di cui parla la legge, attengono ai criteri di massima cui deve conformarsi la giunta nella propria attività gestionale. Ed è logico ritenere che essi includano l’indicazione della ripartizione delle risorse finanziarie da assegnare allo strumento operativo che è oggi diventato la gestione del personale. È altresì da rilevare come, anche in questo caso, risulta rafforzato lo strumento di tipo regolamentare, affidato alla giunta, il quale diviene lo strumento operativo da utilizzare ai fini della gestione del personale dell’ente, pure in relazione al processo di separazione tra potere di indirizzo, attribuito agli organi politici, e responsabilità gestionali, attribuite alla struttura, che trova compimento nel successivo art. 6. Tale articolo, al comma 1, sostituendo il comma 1 dell’art. 51 della citata legge n. 142/1990, prevede che i comuni e le province disciplinino, con apposito regolamento, in conformità allo statuto, l’ordinamento generale degli uffici e dei servizi, in base a criteri di autonomia, funzionalità ed economicità di gestione, e secondo principi di professionalità e responsabilità, richiamando in tal modo i principi già posti dal decreto legislativo n. 29/1993. Importanti innovazioni vengono poste dall’ultima parte del precitato comma, ove si prevede che nelle materie soggette a riserva di legge, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, la precedente piena potestà regolamentare degli enti locali si può esercitare tenendo conto della contrattazione collettiva nazionale e, comunque, in modo tale da non determinarne disapplicazione durante il periodo di vigenza. La disciplina così introdotta comporta che la potestà regolamentare in tema di ordinamento degli uffici e dei servizi dev’essere esercitata, nelle materie coperte da riserva di legge, osservando i limiti della contrattazione collettiva nazionale e, comunque, in modo da non determinarne disapplicazione, nelle effettive modalità applicative. Invece, nelle materie non riservate alla legge, si prevede l’applicazione, anche ai regolamenti comunali di cui sopra, del comma 2-bis dell’art. 2 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29. Tale ultima norma prevede che, nelle materie non soggette a riserva legislativa ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera c), della legge 4 ottobre 1992, n. 421, eventuali norme di legge intervenute dopo la stipula di un contratto collettivo, cessano di avere efficacia dal momento in cui entra in vigore il successivo contratto collettivo, a meno che la legge stessa non disponga espressamente in senso contrario. Conseguentemente, i regolamenti potrebbero disciplinare tali materie, non coperte da riserva di legge, in maniera difforme rispetto ai contratti collettivi di lavoro e, qualora questo sia espressamente previsto, dallo stesso regolamento, escludere che la norma contrattuale successivamente entrata in vigore disapplichi la stessa norma regolamentare. In tal modo viene attribuito un particolare grado di “durezza” ai regolamenti comunali, nelle materie non coperte da riserva di legge, regolamenti che, pertanto, hanno il potere di disapplicare norme contrattuali vigenti, nelle predette materie, escludendo, se espressamente previsto, l’automatico riestendersi della norma contrattuale, al momento della nuova contrattazione collettiva. Peraltro, va precisato l’ambito entro cui si pone il suindicato potere di autoregolamentazione, che nella sua applicazione, viene a coprire le c.d. “zone di ombra” contrattualmente definite nell’ambito di un corretto rapporto con le organizzazioni sindacali, o che necessitano di ulteriore esplicazione, divenendo in tal modo meccanismo rafforzativo della contrattazione collettiva. Comunque, non si può in alcun caso derogare ai principi posti dal decreto legislativo n. 29/1993, ed in particolare dall’art. 45, comma 9, che impone alle pubbliche amministrazioni di osservare gli obblighi assunti con la contrattazione collettiva; dall’art. 49, comma 2, che impone alle stesse di garantire ai propri dipendenti parità nei trattamenti contrattuali, comunque non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi; dall’art. 51, comma 3, ultima parte il quale prevede che non può essere in ogni caso autorizzata la sottoscrizione di contratti collettivi decentrati che comportano, anche a carico di esercizi successivi, impegni di spesa eccedenti le disponibilità finanziarie definite dal contratto; e dal comma 4 dello stesso art. 51, ultima parte, che stabilisce che in nessun caso possono essere previsti oneri aggiuntivi diretti o indiretti, oltre il periodo di validità dei contratti medesimi. Il successivo comma 2 dell’art. 6 porta a compimento il momento di separazione tra potere politico e potere gestionale, già previsto sia dalla legge n. 142/1990 che dal decreto legislativo n. 29/1993, recependo gli orientamenti, in tal senso, già espressi a livello di giustizia amministrativa e penale. Pertanto, il secondo comma dello stesso art. 6 sostituisce il secondo periodo del comma 3 dell’art. 51 della citata legge n. 142/1990, prevedendo che sono attribuiti ai dirigenti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi, definiti con gli atti di indirizzo, adottati dall’organo politico. È da notare come, in questo caso, sia stato usato dal legislatore il termine “attribuiti”, termine che indica l’esercizio di poteri propri ed esclusivi, ed, in quanto tali, l’esercizio degli stessi da parte di un soggetto diverso determina l’incompetenza assoluta ad esercitarli. Conseguentemente, l’attribuzione, in via meramente esemplificativa, concerne: a) la presidenza delle commissioni di gare e di concorsi; b) la responsabilità delle procedure di appalti e di concorso; c) la stipula dei contratti; d) gli atti di gestione finanziaria ivi compresa l’assunzione di impegni di spesa; e) gli atti di amministrazione e di gestione del personale; f) i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi il cui rilascio presuppone accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti o da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie; g) le attestazioni, certificazioni, comunicazioni, diffide, verbali, autenticazioni, legalizzazioni e ogni altro atto costituente manifestazione di giudizio e di conoscenza; h) gli atti attribuiti dallo statuto e dai regolamenti o, in base a questo, delegati dal sindaco. Il successivo comma 3 dell’art. 6, inserendo il comma 3-bis all’art. 51 della legge n. 142/1990, porta a compimento il processo di separazione dei poteri all’interno delle pubbliche amministrazioni locali, prevedendo esplicitamente che nei comuni privi di personale con qualifica dirigenziale, “le funzioni di cui al comma 3 (che chiarisce trattarsi di attribuzione di funzioni) sono svolte dai responsabili degli uffici e dei servizi”. Tale comma, innovando la terminologia precedentemente usata in tema di identificazione dei responsabili degli uffici e dei servizi, ed in tal modo prescindendo dalla qualifica funzionale attribuita ai medesimi, permette a tutti gli enti di gestire in modo flessibile, in relazione alle proprie peculiarità e caratteristiche, il modello organizzatorio di cui hanno deciso di dotarsi. Pertanto, resta fermo il rigido principio della separazione tra i poteri, in conformità al disposto dell’art. 3, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 29/1993, i quali, attribuiscono agli organi di Governo la definizione degli obiettivi e dei programmi da attuare, nonché la verifica della rispondenza dei risultati della gestione alle direttive generali impartite, ed ai dirigenti (nella accezione attribuita dal predetto comma 3, introduttivo del citato comma 3-bis dell’art. 51 della legge n. 142/1990) la gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa, compresa l’adozione di tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane e strumentali e di controllo; agli stessi è attribuita la responsabilità della gestione e dei relativi risultati. Conseguentemente, deve ritenersi come inapplicabile, a seguito dell’entrata in vigore della citata legge n. 127/1997, l’art. 45 del contratto collettivo di lavoro del comparto del personale delle Regioni – Autonomie locali, sottoscritto il 6 luglio 1995, che prevedeva, per gli enti privi di personale con qualifica dirigenziale, l’attribuzione dei poteri e delle prerogative medesime ai preposti a strutture organizzative di massima dimensione, purché inquadrati in qualifiche funzionali aventi come requisito d’accesso la laurea (e, pertanto, fino alla settima qualifica funzionale), ed in mancanza il riferimento di tali poteri e prerogative al segretario comunale; parimenti sembrerebbe implicitamente abrogato il comma 2 dell’art. 19 del decreto legislativo n. 77 del 25 febbraio 1995, come modificato dal decreto legislativo n. 336 dell’11 giugno 1996 il quale prevedeva per i comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti, la facoltà dell’organo esecutivo, con delibera motivata che riscontrasse in concreto la mancanza assolutamente non rimediabile di figure professionali idonee nell’ambito dei dipendenti, la possibilità di affidare ai componenti dell’organo esecutivo medesimo, la responsabilità dei servizi, o di parte di essi, unitamente al potere di assumere gli atti di gestione. Deve, peraltro, rilevarsi come la stessa legge n. 127/1997, all’art. 9, comma 4, nel sostituire l’art. 108 del decreto legislativo n. 77/1995, non ha ritenuto di includere tra gli articoli del decreto legislativo che devono considerarsi come principi generali, con valore di limite inderogabile, il precitato art. 19. In conseguenza dell’inapplicabilità dell’art. 45 del contratto di lavoro e dell’abrogazione del comma 2 dell’art. 19 del suddetto decreto legislativo, devono affrontarsi i problemi nei quali possono venirsi a trovare gli enti locali, specie se di ridottissime dimensioni, nell’ipotesi in cui i medesimi siano del tutto privi di personale cui attribuire le funzioni di responsabile degli uffici e dei servizi. In tal caso, gli enti possono fare riferimento alla normativa di cui all’art. 24 della legge n. 142/1990 che prevede, al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, la stipula di apposite convenzioni. In merito bisogna rammentare come la predetta normativa sia l’unica che permette di attribuire la titolarità degli uffici a soggetti esterni all’ente, risultando a tal fine inidoneo lo strumento previsto sia dall’art. 51, comma 7, della stessa legge n. 142/1990, che prevede, per obiettivi determinati e con convenzioni a termine, la facoltà, se prevista dal regolamento, di avvalersi di collaborazioni esterne ad alto contenute di professionalità; sia dall’art. 7, comma 6, del decreto legislativo n. 29/1993 che ipotizza, per esigenze cui non si possa far fronte con personale in servizio, la possibilità che le pubbliche amministrazioni conferiscano incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando, preventivamente, durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione. Risulta, altresì, applicabile la norma, cui peraltro va attribuita la valenza di clausola di salvaguardia, ai fini del buon funzionamento della macchina organizzativa-amministrativa-gestionale dell’ente, prevista dall’art. 17, comma 68, lettera c), della stessa legge n. 127/1997, che attribuisce al segretario comunale e provinciale l’esercizio di “ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco o dal presidente della provincia”. Bisogna, altresì, precisare che qualora all’interno dell’ente siano contemplate le figure dei responsabili degli uffici e dei servizi, tenuto conto che essi sono titolari delle funzioni loro attribuite, tale assegnazione al segretario comunale non può che operare mediante il meccanismo dello scorporo delle stesse dai poteri assegnati al titolare della funzione. Da ultimo, deve rilevarsi come la norma in esame, di cui all’art. 6, comma 2, relativa all’attribuzione dei poteri agli organi burocratici dell’ente, nell’ambito degli indirizzi dettati dagli organi di Governo, debba essere ritenuta immediatamente operativa, non necessitando di esplicita previsione statutaria o regolamentare, in quanto rinvia allo statuto o al regolamento dell’ente le modalità di esercizio dei poteri, ma non l’attribuzione degli stessi, che risultano già “attribuiti”. Conseguentemente la potestà statutaria o regolamentare può esercitarsi solo nei confronti delle modalità di espletamento, pertanto l’eventuale emanazione di atti gestionali da parte della giunta o del sindaco è illegittima perché viziata da incompetenza. Peraltro, limitatamente agli atti già emanati, adottati da organi incompetenti, e fondati sulla necessità e l’urgenza, potrebbe ritenersi che essi siano comunque assimilati a quelli che il nostro ordinamento giuridico attribuisce ai c.d. “funzionari di fatto”. Grosse innovazioni all’assetto organizzativo degli enti locali nascono, altresì, dalla previsione del comma 4, che inserisce dopo il comma 5 dell’art. 5 della legge n. 142/1990 il comma 5-bis. In via preliminare, deve rilevarsi come tale comma è aggiuntivo, per cui resta vigente, inalterato, il preesistente modulo organizzatorio delineato dal comma 5 della citata legge n. 142/1990, che prevede la facoltà, a seguito di specifica previsione statutaria, di coprire posti di responsabile degli uffici e dei servizi, di qualifica dirigenziale, o di alta specializzazione, mediante contratto a tempo determinato derivante dai C.C.N.L., sottoscritti ai sensi del decreto legislativo n. 29 / 1993 o, eccezionalmente e con delibera motivata, di diritto privato, fermi restando i requisiti della qualifica da ricoprire. Pertanto, le facoltà previste dal precitato comma 5-bis sono da considerarsi aggiuntive rispetto a quelle indicate nel comma 5. Il comma 5-bis prevede che il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi (riservato alla competenza della giunta), negli enti in cui è prevista la dirigenza, stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte specializzazioni (qualifica e profili che costituiscono la caratterizzazione e la condizione per l’applicabilità della norma stessa), fermi restando i requisiti della qualifica da ricoprire. Tali contratti possono essere stipulati in misura complessivamente non superiore al 5 per cento del totale della dotazione organica della dirigenza e dell’area direttiva, e comunque per almeno una unità. In merito deve rilevarsi come la norma, non incida sul meccanismo di attribuzione delle funzioni ai dirigenti esistenti nella pianta organica dell’ente, i quali sono i titolari delle stesse. Pertanto, nel momento in cui il regolamento degli uffici e dei servizi prevede tali figure dirigenziali o di alta specializzazione, fuori pianta organica, dovrà contestualmente operare lo scorporo delle funzioni loro attribuite, da quelle dirigenziali, di cui il personale previsto nella struttura organizzativa dell’ente è titolare. Deve, altresì, evidenziarsi come al fine del calcolo del numero massimo di dirigenti che possono esserci fuori pianta organica, va fatto riferimento sia alla dotazione organica della dirigenza che dell’area direttiva. La seconda parte del citato comma 5-bis prevede, negli enti privi, per tipologia, di personale dirigenziale, che il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi stabilisca i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, e solo in assenza di professionalità analoghe presenti all’interno dell’ente, contratti a tempo determinato di dirigenti, alte specializzazioni o funzionari dell’area direttiva, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire. Per quel che riguarda tale fattispecie deve rilevarsi come, in tali enti, ed esclusivamente per tali figure professionali, sia stato superato il preesistente limite della tipologia, nascente dal disposto dell’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 347/1983. Tali contratti sono stipulati in misura complessivamente non superiore al 5 per cento della dotazione organica dell’ente; o ad una unità negli enti con una dotazione organica inferiore alle venti unità. Relativamente alle funzioni attribuibili a questo personale, fuori pianta organica, nei comuni privi di personale dirigenziale, deve rappresentarsi che in relazione al disposto del comma 3 dell’art. 6 della legge n. 127/1997, introduttivo del comma 3-bis dell’art. 51 della legge n. 142/1990, ferma restando la possibilità di attribuire funzioni gestionali, in relazione alla norma sopra citata, qualora nell’ente siano presenti le figure dei responsabili degli uffici e dei servizi, i quali sono i titolari delle predette funzioni, le stesse potranno essere attribuite al personale fuori pianta organica, mediante previsione regolamentare che scorpori le funzioni attribuite loro, da quelle proprie del titolare dell’ufficio o del servizio. I contratti di cui alla norma in esame non possono avere durata superiore al mandato elettivo del sindaco o del presidente della provincia e ciò, in quanto relativi a personale legato con un rapporto di tipo fiduciario all’amministrazione. Il relativo trattamento economico, equivalente a quello previsto dai vigenti contratti collettivi nazionali e decentrati per il personale degli enti locali, può essere integrato, con provvedimento motivato dalla giunta, da una indennità “ad personam”, commisurata alla specifica qualificazione professionale e culturale degli interessati, anche in considerazione della temporaneità del rapporto e delle condizioni di mercato relative alle specifiche competenze professionali. Il trattamento economico e l’eventuale indennità “ad personam” sono definiti in stretta correlazione con il bilancio dell’ente e non vanno imputati al costo contrattuale del personale. Il contratto a tempo determinato è risolto di diritto nel caso in cui l’ente locale dichiari il dissesto, o venga a trovarsi in condizioni strutturalmente deficitarie. Il successivo comma 5 dell’art. 6 della stessa legge n. 127/1997 tende a creare un c.d. “mercato del lavoro” per il personale facente parte delle predette dotazioni organiche fuori pianta, di cui al precedente comma 4, prevedendo la risoluzione di diritto del rapporto di impiego di un pubblico dipendente, dalla data di decorrenza del contratto stipulato ai sensi del comma 4. L’amministrazione di provenienza dispone, subordinatamente alla vacanza del posto in organico, o dalla data in cui la vacanza si verifica, la riassunzione del dipendente qualora lo stesso ne faccia richiesta entro i trenta giorni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro a tempo determinato o dalla data di disponibilità del posto in organico. Sono stati sollevati quesiti circa lo “status” giuridico attribuibile al personale a tempo determinato, assunto mediante le sopracitate forme contrattuali, anche in correlazione alla natura fiduciaria del rapporto esistente tra l’amministrazione che ha proceduto alla nomina e gli stessi. In merito si ritiene, in virtù del richiamo effettuato dal comma 4 al trattamento economico equivalente a quello previsto dai vigenti contratti collettivi nazionali per il personale degli enti locali, che lo “status” giuridico di questi soggetti sia del tutto equiparabile a quello del personale degli enti locali con contratto a tempo determinato, con conseguente applicabilità, di tutte quelle norme di salvaguardia e tutela previste sia dalla vigente legislazione, che dalla contrattazione collettiva. Conseguentemente, sono inapplicabili, nei confronti del predetto personale, forme di recesso dal contratto “ad nutum” per interruzione del rapporto di tipo fiduciario da parte della pubblica amministrazione, se le stesse non siano state espressamente previste, dalla vigente legislazione o dalla contrattazione collettiva. Il successivo comma 7 dell’art. 6, sostitutivo del comma 6 dell’art. 51 della legge n. 142/1990, disciplina il conferimento degli incarichi dirigenziali a tempo determinato (ed in virtù del richiamo effettuato dal comma 3 dello stesso art. 6. La predetta normativa è automaticamente estesa a tutti i responsabili degli uffici e dei servizi) secondo le modalità fissate dal regolamento degli uffici e dei servizi, in relazione ai criteri di competenza professionale nonché agli obiettivi indicati nel programma amministrativo fissato dal capo dell’amministrazione. È, altresì, ipotizzata la revoca dei predetti incarichi in caso di inosservanza delle direttive del sindaco o dell’assessore di riferimento, o in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi assegnati nel piano esecutivo di gestione, per responsabilità particolarmente grave e reiterata, nonché nelle ipotesi indicate dall’art. 20 del decreto legislativo n. 29/1993 e dai contratti collettivi di lavoro. Assume particolare rilevanza la previsione esistente nell’ultima parte del citato comma 7, in cui si precisa che l’attribuzione degli incarichi può prescindere dalla precedente assegnazione di funzioni di direzione a seguito di concorsi. In merito, deve rilevarsi, come tale norma incida profondamente nel preesistente status del rapporto di pubblico impiego, di fatto eliminando, per i dipendenti degli enti locali, il c.d. “ius ad ufficium”, che correlava strettamente l’essere vincitore di un pubblico concorso per un determinato posto, con l’incardinamento del soggetto al posto medesimo. Il comma 8 del citato art. 6 aggiunge al comma 7 dell’art. 51 della legge n. 142/1990 un paragrafo, il quale stabilisce che il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi può prevedere la costituzione di uffici posti alle dirette dipendenze del sindaco, del presidente della provincia, della giunta o degli assessori, per l’esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite dalla legge, costituiti da dipendenti dell’ente, ovvero, purché l’ente non abbia dichiarato il dissesto o non versi in condizioni strutturalmente deficitarie, da collaboratori assunti con contratto a tempo determinato. La norma suindicata non presenta particolari difficoltà interpretative, salvo precisare che relativamente alla locuzione “per l’esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite”, l’attribuzione e l’esercizio delle funzioni di indirizzo e controllo è riferibile esclusivamente ai titolari e cioè al sindaco, al presidente della provincia, alla giunta ed agli assessori, ed in nessun caso tali funzioni risultano attribuibili ai collaboratori. Circa il contratto di lavoro applicabile agli stessi, poichè quando la norma ha voluto derogare lo ha esplicitamente previsto, non può che farsi riferimento al vigente contratto collettivo nazionale per i dipendenti degli enti locali. Il comma 9 dello stesso art. 6 aggiunge all’art. 41 del decreto legislativo n. 29/1993 un comma 3-bis il quale prevede che il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi degli enti locali (confermando pertanto, come già detto, l’attribuzione alla giunta delle facoltà gestionali in tema di personale) disciplini le dotazioni organiche, le modalità di assunzione agli impieghi, i requisiti di accesso e le modalità concorsuali nel rispetto dei principi fissati dai commi 1 e 2 dell’art. 36 del decreto legislativo n. 29/1993. In merito, nel riconfermare la riserva di tipo regolamentare per quel che riguarda le dotazioni organiche, relativamente agli altri aspetti della citata riserva, si ritiene che la relativa potestà debba essere esercitata nell’ambito rigido dei principi posti dalla nostra Carta costituzionale ed in particolare: dall’art. 3, comma 1, che sancisce l’uguaglianza sostanziale dei cittadini; dall’art. 4, comma 1, che riconosce a tutti il diritto al lavoro; dall’art. 51, comma 1, che permette a tutti i cittadini, dell’uno e dell’altro sesso, di accedere agli uffici pubblici in condizioni di eguaglianza; dall’art. 97, commi 1 e 3, che stabilisce l’organizzazione dei pubblici uffici in modo da assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’Amministrazione nonché l’accesso agli impieghi mediante concorsi; e dall’art. 120, comma 3, che sancisce il diritto dei cittadini di esercitare, in qualunque parte del territorio nazionale, la loro professione, impiego o lavoro. Tali principi, posti direttamente dalla nostra Carta costituzionale, costituiscono un limite inderogabile alle facoltà regolamentari riservate dal predetto comma 9 agli enti locali. Lo stesso comma 9 introduce, altresì, un comma 3-ter all’art. 41 del decreto legislativo n. 29/1993. Tale comma prevede che nei comuni interessati da mutamenti demografici stagionali, in relazione a flussi turistici o a particolari manifestazioni, anche a carattere periodico, al fine di assicurare un adeguato livello di svolgimento dei servizi pubblici, il regolamento può prevedere particolari modalità di selezione per l’assunzione di personale a tempo determinato, per esigenze temporanee o stagionali, secondo criteri di rapidità e trasparenza, escludendo ogni forma di discriminazione. Si prevede, altresì, che tali rapporti a tempo determinato non possano, a pena di nullità, in nessun caso, essere trasformati a tempo indeterminato. Tale norma semplifica le procedure assunzionali a tempo determinato nei comuni caratterizzati dalla predetta tipologia, permettendo di creare, permanentemente, graduatorie cui attingere per le assunzioni. In tal modo, si semplificano le procedure, in relazione alle facoltà assunzionali concesse agli enti medesimi, con

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