Ha senso consentire cimiteri islamici in Italia?
È all’inizio di agosto 2018 che appare su una nota testata giornalistica italiana la notizia che Bachcu Bachcu, presidente dell’Associazione Dhuumcatu, che riunisce la comunità bengalese di Roma, ha inviato una richiesta al Campidoglio per poter realizzare un nuovo cimitero romano, con una capienza di 50 mila posti, riservato alla sepoltura di persone di fede islamica.
Nella Capitale gli islamici sono 100mila: nel 99% dei casi, finora, alla morte tornano nel Paese d’origine.
Bachcu smentisce categoricamente che, dietro la scelta di creare un cimitero islamico vicino a Roma, si nasconda in realtà un altro obiettivo: quello di non doversi ritrovare spalla a spalla con chi piange il proprio caro ed è cattolico. Bachcu, però, conferma come la raccolta di fondi stia per cominciare a settembre, con il pagamento anticipato del proprio funerale.
Il ragionamento è questo: il cimitero, secondo il progetto affidato già a un architetto e a un geometra, dovrebbe costare intorno ai 6-7 milioni di euro, acquisto del terreno compreso. “Basterebbe che 3.500 persone donassero i soldi per la propria sepoltura prima del tempo. Abbiamo fatto i calcoli: un funerale si aggira intorno 3.500 euro, sia se si finisce a Prima Porta, dove c’è già uno spazio per gli islamici, sia se la salma viene spedita nel Paese d’origine”.
Non lapidi, non alberi. Il luogo della sepoltura seguirà le regole dell’Islam: la salma deposta nella semplice terra, con gli occhi alla Mecca.
“Ci piacerebbe ci fosse anche un piccolo spazio di preghiera – conclude Bachcu – come accade in qualsiasi cimitero, in qualsiasi Paese, per qualsiasi religione”.
Ma tutto ciò è possibile?
In base alle attuali norme di polizia mortuaria e per la installazione di cimiteri (articolo 337 e seguenti del T.U. Leggi Sanitarie 1265/1934), non è possibile realizzare un nuovo cimitero particolare, cioè riservato unicamente a persone straniere o di altre religioni, dopo l’entrata in vigore del T.U. citato. Oggi, è possibile solo la realizzazione, da parte del Comune, del cimitero, appartenente al demanio comunale (art. 824 del C.C.), e, poi, è il Comune che concede, a titolo oneroso, l’area per reparti speciali (art. 104 D.P.R. 285/1990), ad es. di bengalesi professanti la religione islamica. Quel cimitero dovrebbe, per essere tale, disporre di tutte le opere minime previste dalla legge italiana (camera mortuaria, idonea perimetrazione di una certa altezza, ossario comune, almeno un campo comune per recente giurisprudenza di TAR, confermata da Consiglio di Stato), ecc..
Possiamo però nascondere la testa sotto la sabbia e non affrontare oggi quello che, tra qualche decennio, diventerà un problema rilevante, cioè la sepoltura di quelle persone che hanno religione e credenze diverse da quelle attuali e proprie della maggioranza del popolo che abita questo Paese?
Ebbi modo di affrontare questo argomento in un dibattito pubblico, unitamente all’allora rabbino di Roma Toaff e all’allora Presidente dell’UCOII, Dott. Dachan, circa venti anni fa. La mia posizione era favorevole alla integrazione nella società italiana di persone di credo o tradizioni diverse, ma queste dovevano acquisire le regole principali del Paese in cui venivano a vivere, tra le quali quelle per la sepoltura.
E quindi se si reclamava l’integrazione nella società allo stesso modo non si sarebbe potuto reclamare la separazione nella sepoltura, che poteva essere in una qualunque delle forme consentite, anche in reparti speciali dentro cimiteri esistenti.
Ebbi poi modo di confrontarmi concretamente con questo problema nella redazione del piano regolatore cimiteriale di Treviso (e nella sua revisione). L’input politico iniziale era di non dare nessun privilegio ai defunti di fede islamica.
Leggendo l’art. 50 del regolamento di polizia mortuaria statale D.P.R. 285/1990 è chiaro che chiunque muoia in un determinato luogo (che abbia o meno il permesso di soggiorno) ha diritto di essere sepolto in un cimitero del Comune di decesso o in un cimitero del Comune di ultima residenza.
Non è stato quindi molto complicato far comprendere al livello politico di quella città che in ogni caso i morti di persone di fede islamica DOVEVANO essere sepolti in quel Comune, se richiesto, e la principale concessione che fu fatta nel piano cimiteriale fu l’orientamento dell’asse delle fosse di inumazione, cioè tale per cui il corpo sepolto sul fianco potesse con gli occhi essere rivolto alla Mecca.
Altra concessione, poco capita ma rilevante, fu quella di identificare il campo di inumazione in una specifica zona del cimitero, con proprio ossario. E, per uniformità con i re-stanti cittadini trevigiani che sceglievano l’inumazione, con permanenza ordinaria nella fossa per 10 anni e con il solo pagamento delle spese di sepoltura e di esumazione a fine decennio. Chi avesse voluto una sepoltura che durasse più di 10 anni, avrebbe dovuto acquisire un’area in concessione ventennale, rinnovabile, a pagamento. Come ogni altro cittadino di quel Comune.
Quindi dei tre cardini delle richieste islamiche per la sepoltura (divieto di esumazione e permanenza delle ossa nella fossa, uso del solo lenzuolo per la sepoltura, orientamento alla Mecca), solo una fu accolta: la principale. In ogni caso, per il trasporto al cimitero essendo d’obbligo l’uso di una cassa, non ci si pose nemmeno il problema di aprire la cassa per togliere la salma e seppellire il solo corpo avvolto nel lenzuolo.
Quindi una soluzione di compromesso, che ha coniugato attenzione alle tradizioni islamiche fondamentali, con analoga attenzione con i criteri sanitari del nostro Paese e con la tradizione della forma di sepoltura a sistema di inumazione rotatorio, fondamentale in un Paese con scarse disponibilità di territorio, come l’Italia.
Beh, direte voi, e cosa c’entra tutto questo con la richiesta di un cimitero solo islamico a Roma?
C’entra, perché forse a pochi è ancora chiaro che il paesaggio dei cimiteri italiani si sta rapidamente trasformando, come conseguenza del velocissimo cambio di usi e costumi in atto, conseguente alla dirompente scelta cremazionista. E così i campi di inumazione diventeranno sempre più lande desolate, taluni modificati per ospitare nuove modalità di sepoltura di urne cinerarie, ma nell’insieme con ampie zone interne ai cimiteri esistenti che rimarranno libere o disponibili per chi per fede o per scelta opti solo per l’inumazione.
Torna quindi l’interrogativo: utilizzare gli attuali cimiteri, creando semmai reparti speciali per credenti di fede diversa dalla cattolica, o permettere la realizzazione (con apposita legge sui cimiteri e dopo aver avuto il riconoscimento della religione islamica da parte dello Stato) di cimiteri separati?
La risposta l’ho già data nell’articolo che avete letto fino ad ora: integrazione significa anche uso dei medesimi cimiteri, cum granu salis!
Editoriale di Daniele Fogli, pubblicato su I Servizi Funerari 4/2018.
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