I recenti scandali nei cimiteri dell’interland napoletano, in cui si sono consumati addirittura dei reati, rendono quanto mai opportuno un piccolo exursus sulla tutela penale del cadavere.
Innanzi tutto si può meditare su questa massima:
Corte di Cassazione – Penale, Sentenza 21 febbraio 2003, n.17050:
“Il reato di vilipendio di cadavere è integrato da qualunque manipolazione di resti umani che consista in comportamenti idonei ad offendere il sentimento di pietà verso i defunti, non resi necessari da prescrizioni tecniche dettate dal tipo di intervento o addirittura vietati, con la consapevolezza del loro carattere ultroneo o incompatibile con le prescrizioni proprie del tipo di attività svolto. Infatti, secondo consolidato indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità che, seppur risalente nel tempo, non è stato mai contrastato da pronunce di segno opposto, il dolo del reato di cui all’art. 410 c.p. è generico, di talché l’elemento psicologico di detto delitto è integrato dalla consapevolezza del fatto che, come nel caso di specie, l’azione posta in essere non è conforme alle prescrizioni o esigenze tecniche afferenti al tipo attività espletata ed è idonea ad offendere il sentimento di pietà verso i defunti”.
Dopo questa doverosa citazione sono d’obbligo alcune riflessioni:
Il Codice Penale del 1930 ha previsto una molteplicità di fattispecie che contemplano condotte incriminatrici qualificate espressamente di vilipendio, la cui definizione non è tuttavia contemplata in alcuna norma e, di conseguenza, è rimessa all’elaborazione interpretativa di dottrina e giurisprudenza.
Tutte le fattispecie di vilipendio espressamente richiamate possono essere classificate, per materie omogenee, in due distinti gruppi:
– vilipendio in materia di delitti contro la personalità dello Stato (di cui al titolo 1 del libro Il del Codice);
– vilipendio in materia di sentimento religioso e pietà dei defunti (di cui al titolo IV del libro II del Codice).
i cadaveri non sono semplicemente res nullius (da questo punto di vista è significativo che venga penalmente punita ogni forma di commercializzazione del cadavere), costutuiscono, comunque, un esternalità negativa (sotto il profilo della salute pubblica) da smaltire presso quel particolare impianto igienico sanitario che è il cimitero (o in alternativa il crematorio).
Il Codice penale prevede le attività illecite rivolte al cadavere nella sua interezza, a parti del cadavere o alle sue ceneri.
Per nozione comune si intende cadavere il corpo dell’uomo dopo la morte. La morte estingue la capacità giuridica, fa cessare la capacità di agire, annulla la persona fisica e la personalità, ma non per questo viene meno la tutela penale della spoglia che conservi in tutto o in parte le sembianze umane, sì da suscitare il sentimento di pietà verso i defunti.
Nella nozione giuridico-penale di spoglie umane non si annoverano pertanto le mummie, gli scheletri, i teschi e le ossa, conservati nei musei e negli istituti scientifici, che, per la loro destinazione e uso, hanno cessato di essere oggetto di venerazione e di pietà. Invece, la destinazione temporanea delle salme alle sale anatomiche non modifica tale nozione perciò ogni atto che non sia necessariamente connesso alle esigenze scientifiche può risultare punibile.
La tutela penale comprende le parti di cadavere, qualunque esse siano. purché sia riconoscibile la loro appartenenza al corpo umano privo di vita. Ovviamente questa disposizione deve esser raccordata con la definizione di “parti anatomiche riconoscibili” fornita dall’Art. 3 comma 1 lettera b) del DPR 15 luglio 2003 n. 254.
Una parte anatomica riconoscibile (ad es. arto) può essere inumata, tumulata, cremata, a richiesta dell’avente titolo (ossia del soggetto che abbia subito la mutilazione. Se non vi è richiesta vi è inumazione (anche in forma massiva ed indistinta) o cremazione a seconda della presenza o meno di spazi cimiteriali e di crematori in zona, alle tariffe fissate dal gestore di crematorio o cimitero e con oneri a carico della struttura sanitaria dove è avvenuta l’amputazione.
Vi sono incluse anche le ceneri, prodotte dall’incenerizione del cadavere, dalla combustione del corpo umano o dal dissolvimento naturale (mineralizzazione) dei resti corporei. La normativa sulla destinazione atipica delle ceneri dopo la Legge 30 marzo 2001 n. 130, con cui si è novellato l’Art. 411 Codice Penale è quanto mai complessa, in seguito alle diverse leggi regionali con cui si sono introdotti nell’ordinamento italiano gli istututi di affido personale e soprattutto della dispersione in natura.
Addirittura la norma penale (Capo II titolo IV libro II concernente i delitti contro la pietà da tributare ai defunti fa riferimento alla fattispecie di “cadavere” “parte di esso” e “ceneri” con la massima promiscuità semantica. Oggi in forza dell’Art. 3 comma 1 lettera b) del DPR 15 luglio 2003 n. 254 con la formula di “resti mortali” ( si intendono escusivamente gli esiti di fenomeno cadaverico di tipo trasformativo-conservativo, quando sia trascorso il periodo legale di sepoltura. Ad essi la Legge accorda una tutela affievolita con l’Art. 87 del D.P.R. 285/1990 (Si veda a tal proposito Cassazione Sez. 1^ Pen. con sentenza n.958 dell’ 9/11/1999).
Cadavere è indubbiamente quello del neonato che abbia vissuto anche per pochi istanti di vita autonoma extra-uterina, conformemente al concetto che per divenire cadavere è bastante la vita iniziata e spenta dopo brevissimo tempo.
La giurisprudenza, e gran parte della dottrina, considerano cadavere anche il corpo del feto nato morto, purché giunto a maturità tale da rendere evidenti le sembianze umane.
In realtà L’Art. 7 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 non individua il termine di presunta età di gestazione di 22 settimane (termine presente in altre legislazioni, es.: quella francese), quanto tre ipotesi di presunta età gestazionale (meno di 20 settimane, tra le 20 e le 28 settimane, oltre le 28 settimane).
I prodotti del concepimento quando non richiesti ed al di fuori della casistica di cui all’Art. 7 DPR 285/1990 (quando, cioè abbiano maturato il diritto a sepoltura o cremazione) sono espressamente – considerati, ai fini del trattamento, come rifiuti sanitari potenzialmente infetti, con obbligo di termodistruzione, ai sensi dell’art. 14 comma 2 del D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254, analogamente alle parti anatomiche non riconoscibili.
Solo la Regione Lombardia con la nuova formulazione dell’Articolo 11, commi 1.bis, 1,ter e 1.quater nel proprio regolamento regionale di polizia mortuaria (N. 6/2004 così come modificato dal Reg. Reg. N.1/2007) estende lo jus sepulchri a tutti i prodotti abortivi, prescindendo dal criterio cronologico.
I REATI DI MANOMISSIONE DEL CADAVERE
Per manomissione di cadavere si intende il compimento di quegli atti o trattamenti che comprendano il vilipendio, il deturpamento, la mutilazione, la distruzione, la soppressione, la sottrazione, la dispersione, l’occultamento e l’uso illegittimo del cadavere. Queste manomissioni sono contemplate dalle quattro norme incriminatrici seguenti:
Il vilipendio di cadavere (art. 410): si verifica quando si compiano intenzionalmente atti idonei a manifestare oltraggio e disprezzo nei confronti del cadavere e delle sue ceneri, ad esempio, sputare sul cadavere o imbrattarlo (pena: reclusione da uno a tre anni). Se il colpevole deturpa, mutila il cadavere o commette su di esso atti di brutalità o di oscenità, il reato è aggravato.
La distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere (art. 411): la distruzione consiste nel ridurre al niente il cadavere bruciandolo o provocandone il disfacimento con sostanze corrosive; la soppressione si ha quando il cadavere viene fatto sparire in modo da non essere più rinvenuto, ad esempio gettato in mare pio, gettato in mare; la sottrazione consiste nel trafugare e nascondere il cadavere in modo permanente e definitivo; la dispersione si ha quando si disseminano in luoghi diversi parti del cadavere o le sue ceneri. La pena è aumentata se il fatto è Commesso n cimiteri o in altri luoghi di sepoltura, di deposito o di custodia.
L’occuItamento di cadavere (art. 412): L’occultamento del cadavere di una parte di esso o delle sue ceneri si distingue dalla sottrazione perché il nascondimento è solo temporaneo e fatto in modo che il cadavere possa essere prima o poi ritrovato. L’occultamento non presuppone lo spostamento della salma da un luogo all’altro, come invece avviene nella sottrazione; un esempio: la madre, che tace la morte dcl figlio per ritardarne la rimozione e per tenerne le spoglie ancora presso di sé, potrebbe rispondere dell’occultamento, ma nessuno avrebbe il coraggio di condannarla.
L’uso illegittimo di cadavere (art. 413): è commesso da chiunque dissezioni o altrimenti adoperi un cadavere, o una parte di esso, a scopi scientifici o didattici in casi non consentiti dalla legge.
Il dolo è generico quando vi sia stata la coscienza e la volontà di usare illegittimamente il cadavere in casi non consentiti, mentre è dolo specifico l’uso scientifico o didattico del cadavere intero o selezionato, qualora ne facciano abuso tutti coloro che possono divenire soggetti attivi del reato, cioè i medici, gli studenti di medicina, gli insegnanti e gli studiosi di medicina, gli inservienti delle sale anatomiche, i custodi degli obitori e chiunque altro si trovi a disporre del cadavere o di una parte di esso a scopi scientifici o didattici.
La dissezione comprende il riscontro diagnostico, l’autopsia, la dissezione anatomica predetta e gli esercizi di anatomia chirurgica. L’uso diverso dalla dissezione, fatto pur sempre a scopo didattico o scientifico, può aversi nello studio della tanatologia per ricerche sullo svolgimento dei fenomeni cadaverici e nell’insegnamento dell’anatomia artistica agli studenti delle scuole di scultura e di pittura.
La pena è aumentata se il fatto è commesso su un cadavere o su una parte di esso, che il colpevole sappia esser stato da altri mutilato, occultato o sottratto (es.: disseppellire un cadavere, compiendone la sottrazione, per sottoporlo a indagini scientifiche).
Possiamo allora trarre le seguenti conclusioni: delle manomissioni di cadavere il vilipendio ha interesse sessuologico comprendendo gli atti di necrofilia; la mutilazione e la soppressione hanno interesse criminologico quando, dopo l’omicidio, il cadavere viene smembrato; la soppressione e l’occultamento del cadavere di neonato può concorrere col delitto di infanticidio; l’uso illegittimo del cadavere, infine, ha interesse deontologico perché riguarda la responsabilità professionale nei casi di utilizzazione delle salme per scopi non consentiti dall’ordinamento giuridico.
E’interessante un’ultima nota giurisprudenziale; nell’era della comunicazione globale e dell’abuso dell’immagine da parte dei media si registrano, infatti, due importantissimi pronunciamenti:
- Sentenza n. 293/2000 della Corte costituzionale: “Il divieto di pubblicazioni a contenuto impressionante o raccapricciante non contrasta con la Costituzione perché è diretto a tutelare la dignità umana”.
- Sentenza della Cassazione (sezione terza penale) n. 23356 dell’8 giugno 2001: “La pubblicazione di fotografie del cadavere della vittima di un omicidio può costituire reato se le immagini sono caratterizzate da particolari impressionanti e raccapriccianti, lesivi della dignità umana”.
Buongiorno vorrei sapere se terzo persone possono scattare e tenersi foto non autorizzate di urna ceneraria di un mio familiare diretto e permettersi di inviarle ad altri
X Antonio,
Il nuovo regolamento europeo sulla privacy (che come norma comunitaria prevale sulle fonti del diritto interne allo Stato Italiano) si applica solo alle persone viventi, e questa importante limitazione libera il campo da molteplici fattispecie ancora, in parte oscure, e bisognose di un’attenta interpretazione sia dottrinaria, sia giurisprudenziale.
La diffusione sulle piattaforme social o, comunque, sul web di contenuti privati e, potenzialmente, protetti, rappresenta una grave incognita sul piano giuridico e deontologico. Se si trattasse di un tradizionale media (cartaceo o digitale, poco importa) purchè con tutti i crismi di legge (testata registrata presso un Tribunale della Repubblica, presenza effettiva di un direttore responsabile) le rigidità procedurali a garanzia del privato cittadino (= un vero rompicapo per tutti i professionisti, operatori della comunicazione) sarebbero molto più intrusive e stringenti, in effetti, per proporre, ad esempio, una foto sulle pagine di un magazine, occorrerebbe, pur sempre l’autorizzazione delle persone direttamente interessate, insomma una sorta di nulla-osta-/atto liberatorio.
Fotografare un’urna cineraria (quale indelebile ricordo del de cuius) e, invece, trasmetterne il file ad altri soggetti terzi tramite allegato alla posta elettronica o ad un’app. di messaggeria rappresenta un caso, in qualche modo estremo e di grande interesse per tutto il mondo giuridico che ruota attorno ai diritti funerari. La Legge, addirittura penale, tutela il sentimento di pietà verso i defunti, in tutte le sue molteplici forme e manifestazioni, ovviamente degne di una certa attenzione. Mi verrebbe voglia di richiamare principi quasi meta-giuridici, perché qui si trascende su un piano emotivo e di delicatezza spirituale, ad ogni modo se lo scatto è stato realizzato in luogo privato, ma con destinazione rivolta al pubblico (quale poi? Altri dolenti? Semplici curiosi?) una qualche, anche se informale, autorizzazione/permesso si renderebbe pur sempre opportuna, ma grazia e garbo, sono virtù ormai quasi estinte, soprattutto al giorno d’oggi, quando con un semplice smarphone tutti, ormai, possono improvvisarsi foto-reporter o regista.