Nel silenzio generale, si segnala un’importante riforma (vera!) per tutto il settore funerario, anche se, ancora una volta, viziata dal “peccato originale” del regionalismo esasperato.
Ad oggi, (senza la pretesa di esser esaustivi) almeno due Regioni, segnatamente Liguria e Friuli-Venezia Giulia hanno legiferato su un argomento tabu per tutta la filiera del comparto, introducendo, (fors’anche con lungimiranza) nei rispettivi ordinamenti locali di polizia mortuaria l’obbligo della corrispondenza delle bare agli standard UNI (finalmente?), almeno per la cremazione del feretro.
In via preliminare e breve per orientarsi sull’uso delle casse mortuarie, nell’intero sviluppo logico-argomentativo almeno del D.P.R. n. 285/1990, laddove ancora in vigore, secondo le tre pratiche funebri ammesse dall’ordinamento giuridico italiano, si rinvia a questa snella disamina, di letteratura settoriale presente in archivio qui, e free, cioè liberamente consultabile proprio per il suo alto valore didattico: https://www.funerali.org/attivita-funebre/luso-delle-casse-mortuarie-nel-dpr-10-settembre-1990-n285-808.html
Nella nostra analisi, ora, muoviamo da un siffatto esempio: il D.P.R. 285/90, con l’art. 30, centrale e trasversale in tutta la sua architettura normativa, fissa precisi criteri costruttivi in merito alle bare predisposte per:
1) Tumulazione in loculo stagno (Art. 76 e seguenti D.P.R. 285/1990)
2) Traduzione di cadaveri da e verso l’Estero (eccetto i casi previsti dalla convenzione di Berlino 10 febbraio 1937)
3) Trasferimenti da Comune a Comune ed oltre i 100 Km
4) Trasporto e sepoltura di infetti (Artt. 18 e 25 D.P.R. 285/90) a prescindere da come saranno “sepolti” (inumati, tumulati o cremati)
ovvero per tutti quei feretri confezionali con doppia cassa lignea e metallica, cui si debbono aggiungere particolari dispositivi meccanici, quali reggette, valvola depuratrice a depressione, e chimico-fisici, come strato di torba, segatura o polvere assorbente biodegradabile, da sistemare nell’intercapedine, tra cassa di legno e vasca zincata, per il contenimento di eventuali esalazioni e percolazioni cadaveriche, gassose o liquide.
Il legislatore, poi, esplica l’obiettivo finale dell’assoluta ermeticità di un feretro così costituito e, di conseguenza confezionato, fissando norme prevalentemente di performance, come spessori minimi, sia delle assi lignee, sia della lastra metallica, distanza tra le viti che assicurano il coperchio alla cassa…).
Tutto ciò in piena vigenza di D.P.R. 285/1990 in merito ai criteri costruttivi dei cofani funebri.
A questi “sacri” (?) parametri si è sempre adeguata l’industria funeraria italiana, senza troppa fantasia, forse proprio per l’estrema puntualità della prescrizioni dettate dal regolamento governativo.
Circa 20 anni fa la Lombardia cercò di riformare in sede locale (tentativo velleitario e – può essere – anche volontaristico, in tempi di globalizzazione spinta) l’uso delle casse mortuarie per lo meno sul proprio territorio, ma l’intento pur pregevole di innovare in poco tempo naufraga, proprio per la sua intrinseca diseconomicità.
Sarebbe stato infatti abbastanza irrazionale per i costruttori allestire linee di produzione riservate solo alla Lombardia, con costi elevatissimi, e bacini di utenza, questo è notorio, non dilatabili… all’infinito, data la naturale anelasticità del mercato funerario in sé, specie se ridotto su ristretto livello geografico.
Abbiamo, quindi regole collaudatissime (c’è chi dice addirittura vetuste e “risalenti” concettualmente alla vecchia Convenzione di Berlino del 1937) su cui il made in Italy del cofano funebre ha sostanzialmente modellato il proprio campo di azione, almeno quello indirizzato al fabbisogno nazionale.
In spasmodica attesa di un D.M. ad hoc sulle bare specificamente previste in caso di cremazione, che latita da almeno anni venti, come avrebbe imposto, invece, la L. n. 130/2001, dalla sua entrata in vigore (formale?) si potrebbero proficuamente agitare alcune questioni di metodo.
Se l’approccio del D.P.R. n. 285/1990 sull’impiego di comunque adeguati cofani mortuari riesce per certi aspetti anacronistico e troppo conservativo (ad es. il ricorso di rigore alla controcassa metallica saldata) è innanzi tutto perché il regolamento sconta il problema attuale della sua post maturità, poiché è figlio di una cultura e soprattutto di una tecnologia applicate al settore funerario della fine XX Secolo (…II millennio!), cioè è molto novecentesco (remind: Convenzione di Berlino del 1937!).
Ecco, allora, la stringente necessità, a vantaggio di tutto il comparto funebre italiano di adottare le c.d. Norme UNI nella realizzazione seriale dei cofani.
Si tratta di atti volti all’unificazione tecnica su scala nazionale nazionale di prodotti, prove, misure, test…
Possono partecipare ai lavori di preparazione di una norma UNI tutte le parti direttamente interessate, anche nel processo produttivo, quindi non è un’imposizione costrittiva proveniente da atti dotati di cogenza giuridica.
La norma viene approvata e licenziata dopo un iter procedimentale che prevede fasi di inchiesta pubblica, in cui possono essere mosse osservazioni, sollevate critiche, richiesti chiarimenti.
Esse rappresentano disposizioni in generale NON OBBLIGATORIE, salvo esplicito richiamo di queste ultime in un contratto, oppure in atti di diritto pubblico.
Si ribadisce che le norme UNI sono documenti tecnici VOLONTARI redatti da esperti del settore e sottoposti a pubblica inchiesta.
La loro modifica e aggiornamento è in ogni momento possibile, dietro richiesta all’UNI stessa da parte dei soggetti coinvolti.
I provvedimenti e gli atti di diritto pubblico in vigore hanno sempre la prevalenza sulle norme UNI.
Tuttavia, la pubblicazione di una norma UNI in un settore già parzialmente regolamentato non potrà non presentare aspetti di novità rispetto alla regolamentazione vigente, pena l’assoluta inutilità dello sforzo del settore tecnico e industriale di mantenere aggiornato lo stato dell’arte.
La tracciabilità è oggi uno dei requisiti più importanti ai fini della certificazione della qualità di una filiera produttiva.
Un’etichetta ben concepita fornisce indicazioni immediate sulla specie legnosa, la destinazione d’uso (inumazione, tumulazione o cremazione), il fabbricante e qualche altra caratteristica prestazionale (nel caso dei cofani non-CSP)
L’etichetta identifica univocamente il singolo cofano, tracciandone tutto il ciclo produttivo e rendendo più semplice anche l’individuazione e la gestione delle non conformità, delle irregolarità nella produzione e nel commercio…
È compito quasi deontologico dell’Ente preposto e degli operatori del settore tecnico insistere perché le norme UNI diventino consuetudinarie e, se possibile, addirittura parte di regole giuridiche aventi forza di regolamento o, meglio ancora di legge, soprattutto se statale e “quadro”, quando finalmente il Parlamento o il Governo vorranno occuparsi della polizia mortuaria, in sede di novella del D.P.R. n. 285/1990.
Non è probabile che ciò possa avvenire nella loro attuale versione, in quanto è finora mancato un sufficiente interessamento delle autorità pubbliche competenti alla elaborazione di questi documenti tecnici di riferimento.
L’augurio è che tale coinvolgimento avvenga nei tempi più rapidi, poiché ciò condurrebbe di certo al migliore adeguamento delle due norme alle effettive esigenze di un settore così particolare ed estremo.
Con le due norme UNI 11519 e 11520, ad esempio, si è voluto coprire sia l’aspetto prescrittivo (dettagli su come le bare devono essere fabbricate per risultare «automaticamente» idonee all’uso previsto), sia il versante prestazionale (prove che una bara deve superare per risultare idonea all’uso previsto).
Ciò è risultato indispensabile nell’attuale situazione normativa, per ricomprendere quanto contenuto nelle svariate disposizioni regolamentari in vigore e – al tempo stesso – non pregiudicare la crescita tecnica dell’intero comparto.
La UNI 11519 prende in considerazione lo stato dell’arte, descrivendo in sostanza le bare così come attualmente sono fabbricate, accettate e utilizzate dal settore, assumendone pertanto l’idoneità all’uso senza ulteriori prove in riconoscimento di norme vigenti.
La stessa norma, inoltre, pensata a clausole aperte, contempla anche il possibile sviluppo tecnico del settore, indicando come essenziali non tanto le regole con cui la bara viene fabbricata (salvo specifici e ovvii aspetti legati alla speciale destinazione del cofano funebre), quanto piuttosto i requisiti prestazionali minimi e le prove che queste bare «innovative» dovrebbero superare senza inconvenienti, specificate nella UNI 11520.