La persona eventualmente interdetta (priva, quindi della capacità di agire), per effetto di sentenza passata in giudicato, possiede il diritto di esprimersi, ma la manifestazione di volontà non può che avvenire a mezzo del nuovo tutore (art. 424 Codice Civile).
Poiché non si tratta di diritti patrimoniali, per i quali potrebbe sussistere l’istituto della rappresentazione (art. 467 e seguenti Codice Civile), ma di diritti personali (anzi, personalissimi), si segnala come, in assenza del coniuge, sia del tutto sufficiente l’accordo dei discendenti in primo grado del defunto.
Quando tra moglie e marito fosse già intervenuta sentenza di divorzio, lo scioglimento del matrimonio fa perdere la qualità di coniuge sotto ogni profilo, cosicché la volontà del coniuge superstite non può più prevalere su quella dei parenti del defunto. La cessazione degli effetti del matrimonio si ha con la data di annotazione della relativa sentenza sull’atto di matrimonio.
La separazione personale, invece, non modifica il rapporto di coniugio, ma consente solo la deroga dall’obbligo della coabitazione.
Lo status di ‘coniuge’ è da riferirsi al momento della morte del de cuius, successivamente il coniuge superstite può anche risposarsi.
Quindi, si ha pur sempre l’esistenza di un coniuge e questo dato di fatto esclude la possibilità di ricorrere ai parenti nel grado più prossimo.
Va precisato come l’esercizio del potere di disposizione su salme, cadaveri e loro trasformazioni di stato non sia influenzato da fattori contingenti (ad esempio, potrebbe non essere agevole contattare il coniuge se vi siano stati rapporti ‘tesi’ con il defunto o con chi ne sta attorno), ma rileva, unicamente, il rapporto giuridico.
Il rapporto di coniugio viene meno solo con la morte o con l’annotazione ex art. 10 L. 1° ottobre 1970, n. 898.
Vi è, però, una questione delicatissima: nell’ordinamento italiano la cosiddetta incapacità naturale (= non dichiarata giudizialmente) non è considerata – cioè, la persona è capace fino a quando non abbia effetti (art. 421 Codice Civile) – una eventuale dichiarazione giudiziale d’interdizione, al punto che in caso di rifiuto, il pubblico ufficiale potrebbe essere imputabile del reato di cui all’art. 328 Codice Penale; dall’altro lato, potrebbe esservi la ‘contro-Spada di Damocle’ del reato di circonvenzione d’incapace (art. 643 Codice Penale).
Solo nel frangente di situazioni proprio estremissime, forse l’atto di rifiuto, debitamente motivato, potrebbe anche essere adottato (ma con estrema cautela e raziocinante prudenza).
Se c’è l’impedimento a firmare vale l’art. 4 del D.P.R. 445/2000.
Se, invece, una persona si trovi all’estero tale condizione non costituisce ostacolo, siccome la dichiarazione di volontà alla cremazione può essere autenticata anche dall’autorità consolare.