Attualmente, la tariffa per la cremazione in ciascun impianto è stabilita dai singoli Comuni, in misura pari o inferiore al limite massimo fissato dal Ministero dell’Interno, di concerto con quello della Salute, in base al decreto del 1° luglio 2002, modificato successivamente dal DM interministeriale del 16 maggio 2006 e da successivi aggiornamenti di valore.
I decreti ministeriali definiscono chiaramente quali beni e servizi sono coperti da tale tariffa e stabiliscono un meccanismo annuale di aggiornamento del tetto massimo, basato sull’inflazione prevista dal Governo e su riallineamenti triennali.
Questo impianto normativo ha retto per oltre vent’anni, ma negli ultimi tempi è stato oggetto di crescenti critiche da parte degli addetti ai lavori, che evidenziano la necessità di una profonda revisione. Le principali criticità rilevate sono:
- Obsolescenza dei parametri iniziali: All’inizio degli anni Duemila, il modello economico-tariffario presupponeva un solo forno per crematorio. Oggi, invece, ogni struttura ne possiede almeno due, con un conseguente aumento degli investimenti tecnologici. Inoltre, le normative ambientali sono diventate molto più stringenti, imponendo l’adozione di sofisticati sistemi di filtraggio delle emissioni, i cui costi superano, talvolta anche raddoppiano, quelli del forno stesso, senza contare l’incremento delle spese gestionali e manutentive.
- Crescita della domanda e dei ricavi: Nel 2000, in Italia si contavano 35 crematori, con una media di 862 cremazioni annue per impianto e un’incidenza sul totale dei decessi pari al 5,38%. Oggi, gli impianti sono 91, le cremazioni medie per struttura sono salite a 2.770 e la quota di decessi cremati ha raggiunto il 38,16%. Questo incremento migliora i ricavi medi per impianto, ma evidenzia pure che è avvenuta una variazione importante della domanda reale, tra l’altro con carenza di offerta nel Centro-Sud del Paese.
- Inadeguatezza dell’indice di aggiornamento: Il meccanismo che lega la tariffa all’inflazione generale non tiene conto di costi specifici come quelli per acciaio, refrattari, software di controllo, edilizia specialistica. Tali voci, fondamentali per realizzare e mantenere un crematorio, seguono logiche di mercato completamente diverse.
- Shock esogeni non considerati: La pandemia e la guerra in Ucraina hanno introdotto esigenze nuove (es. celle frigorifere obbligatorie in attesa della cremazione) e forti aumenti di prezzo per materie prime, elettricità e gas metano, difficilmente assorbibili con un semplice aggiornamento inflattivo.
A tutto ciò si aggiungono altre questioni strutturali, come l’inerzia di molte Regioni nell’elaborare i piani territoriali dei crematori, la crescente opposizione delle comunità locali alla costruzione di nuovi impianti e il mancato esercizio, da parte dei Ministeri competenti, delle funzioni previste dall’art. 8 della legge 30 marzo 2001, n. 130, in merito alle specifiche tecniche dei crematori e delle bare da cremare.
Già questi elementi sarebbero sufficienti per giustificare una revisione profonda del sistema tariffario italiano per la cremazione. Ma oggi c’è un elemento normativo che rende questa revisione non solo urgente, ma imprescindibile.
Il nuovo contesto normativo: D.Lgs. 201/2022
Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 23 dicembre 2022, n. 201, recante il “Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”, il quadro di riferimento è cambiato radicalmente.
Il nodo cruciale è stabilire se il servizio di cremazione debba essere considerato un servizio pubblico locale di rilevanza economica a rete. L’art. 6 della legge n. 130/2001, che impone almeno un crematorio per Regione e piani di coordinamento dei crematori da realizzare dai comuni su base regionale, sembrano inquadrare il servizio proprio in questa categoria, trattandosi di attività “organizzabili tramite reti strutturali” (art. 2, comma 1, lett. d, D.Lgs. 201/2022).
Se ciò fosse confermato, la competenza tariffaria (e non solo) passerebbe dall’attuale assetto interministeriale all’Autorità di regolazione individuata ai sensi dell’art. 7 del decreto. In questo scenario, si renderebbe necessario un provvedimento formale per assegnare il settore a un’Autorità esistente, che dovrebbe acquisire le competenze e intervenire con una regolazione specifica.
Se invece si optasse per considerare la cremazione un servizio a rilevanza economica non a rete, allora la competenza passerebbe al Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT), ai sensi dell’art. 8 del medesimo decreto. Anche in questo caso, il sistema attuale risulterebbe superato.
In ogni caso, per effetto dell’art. 4 del D.Lgs. 201/2022, le nuove disposizioni prevalgono su quelle precedenti, anche di settore:
“Le disposizioni del presente decreto si applicano a tutti i servizi di interesse economico generale prestati a livello locale, integrano le normative di settore e, in caso di contrasto, prevalgono su di esse…”
Quale futuro per le tariffe?
La domanda ora è: quale sarà il tetto massimo tariffario per la cremazione in Italia nell’intervallo tra la decadenza dell’attuale meccanismo e l’adozione dei nuovi criteri?
Si manterranno in vigore gli attuali valori, magari aggiornandoli secondo le vecchie logiche, o si procederà verso una regolazione d’urgenza coerente con la nuova disciplina?
È il momento di affrontare seriamente il problema. Serve un’iniziativa chiara del Governo per sbrogliare l’ingarbugliata matassa, definire le competenze e cambiare un sistema tariffario ormai anacronistico.
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