Legge nazionale: una terra promessa

Da un certo numero di legislature si auspica una qualche legge nazionale.
Forse ormai pochi ricordano la P.d.L. a firma dell’allora parlamentare Felice Besostri (di seguito divenuto noto per interventi, nelle sedi giurisdizionali, in materia di alcuni “vizietti” presenti in leggi elettorali), promossa da un’importante (al tempo unica) Federazione di imprese di onoranze funebri.
A quella proposta (precedente alla L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3), ha fatto seguito una fase in cui tale aspirazione era andata in ombra, privilegiando approcci di minore (geograficamente parlando) ambito di riferimento.

Fino a che sono iniziate a sorgere leggere e caute prese di distanza, rilevando gli effetti distorsivi delle frammentazioni, sfociate in una vera e propria aspettativa di normazione a carattere nazionale.
In precedenti legislature vi sono state ulteriori P.d.L., più o meno riproposte nella presente, alcune vantando lavori parlamentari nella precedente legislatura, altre riproponendo testi già presentati in ulteriormente precedenti legislature (magari senza alcun “aggiornamento” testuale).
Altre ancora con una certa quale regolazione dell’attività funebre e un rinvio per altri aspetti a successive norme di rango secondario (regolamenti), col rischio che questi rinvii siano destinati all’inattuazione.

Si tratta di tentativi che, a parole, affermerebbero di voler regolare, interamente, un settore complesso quanto articolato, rimuovendo i profondi fattori di specializzazione ed i, tra loro remoti, orizzonti temporali. Cosa che porta, anche non volendolo dichiaratamente, a puntare a privilegiare “fasi”, che tra loro hanno l’assenza di fattori uniformanti.
In particolare si privilegiano quelle di maggiore brevità, quando ancora la prossimità del tutto comporta una data propensione di spesa da parte delle famiglie. Ciò, magari, porta anche a proporre alle stesse dei “servizi” dichiarati aprioristicamente di maggiore qualità e resi da soggetti che – istituzionalmente – avrebbero dovuto avere un ruolo preciso.
Nella realtà tali servizi risultano quindi favoriti da modificazioni, con uno scadimento complessivo nelle prestazioni, in grado di spostare le allocazioni di risorse nel brevissimo periodo.

Non appare irragionevole l’ipotizzare una regolazione nazionale di attività economiche, quali (es.: l’attività funebre), tanto più che queste, anche se in parte si sviluppano su territori sostanzialmente contenuti, sempre più spesso trovano occasione per svolgersi oltre a confini territoriali limitati.
Del resto, si tratta di materia che afferisce alla competenza legislativa – esclusiva (lo si ricorda) – dello Stato, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. e) Cost., competenza che ormai si amplia, coordinandovisi (si spera), con le norme dell’Unione europea.
Tra i numerosi esempi di influenza di queste ultime tipologie di norme si potrebbe citare il D. Lgs. 26 marzo 2010, n. 59, oppure le norme sulle classificazione dei veicoli, o numerosissime altre.

Ben diverso è l’approccio che può aversi per altre “fasi” (usando un termine già impiegato), specie quelle che si sviluppano – naturaliter – su orizzonti temporali ben lontani dalla “fase” dell’immediato post mortem (es.: problematiche cimiteriali).
Analogamente, per quelle che incidono sulla materia dell’ordinamento civile, come gran parte delle misure impostate – come nel caso della cremazione – per il rispetto della volontà sia del defunto, sia dei suoi familiari che ne abbiano titolo.
Questa pratica funeraria influisce, in termini rilevanti, sugli aspetti cimiteriali: tra i defunti che accedono alla cremazione, infatti, solo 2/3 generano una domanda “cimiteriale”.
E ciò in termini del tutto ridotti rispetto ai defunti destinati ad altre pratiche funerarie, esprimibili in domande di superfici (inumazioni) o di volumi (tumulazioni) del tutto non comparabili con quelle necessarie per i feretri.

La debolezza complessiva delle proposte per gli aspetti interessati a queste “fasi” prova che non stanno in piedi auto-illusorie (anche o soprattutto da chi la proporrebbe) dichiarazioni sulla sussistenza di un settore, più o meno organico.
Ma, soprattutto, prova come non vi sia un qualche condiviso know how, ma solo una certa infarinatura accidentale, assimilabile a quella che può esservi in capo a visitatori occasionali, per quanto frequenti.
Ed infine, manca una visione ed una memoria storica.

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