È pacifico, in base a giurisprudenza consolidata e fortunatamente omogenea, che la modalità di sepoltura e pratica funebre prescelta, come la cremazione ad esempio, segua una legge ben precisa.
Chi ha titolo primo ad esprimersi è il de cuius (e quindi la persona morta, con istruzioni date in vita).
Seguono, secondo precisa scala gerarchica il coniuge superstite e, in sua assenza i congiunti secondo il livello di parentela più prossimo e in caso di concorrenza tutti i pari grado sono chiamati ad esprimersi inequivocabilmente.
Fatto salvo il criterio della maggioranza assoluta in luogo dell’unanimità introdotto almeno per la cremazione di cadavere con la L. n. 130/2001, queste sono le regole generali.
È altrettanto notorio che vi è un diritto a visitare le spoglie mortali di un defunto da parte di parenti ed amici e quindi non si può inibire l’ingresso in una cappella privata funeraria o presso il domicilio privato in cui è conservata l’urna cineraria in affidamento.
Il comune orientamento dei Tribunali Italiani, difatti, ha chiarito che vi è un diritto alla visita delle spoglie mortali (jus visitandi o anche diritto secondario di sepolcro, iter ad sepulchrum).
I morti non sono una banale res, ossia una cosa privata di chi detiene le chiavi della cappella gentilizia chiusa ordinariamente al pubblico, o dell’abitazione dove è deposta l’urna affidata.Ma NON vi è ancora giurisprudenza a noi nota e specifica sul diritto di riservare un servizio – come è, a tutti gli effetti, la esposizione di un feretro a cassa aperta con defunto – richiesto da un avente titolo XYZ solo per lui medesimo o ad una cerchia ristretta di persone scelte da XYZ.
Confliggono due aspetti, in questo caso: il diritto di chi si rivolge ad una casa funeraria per ottenere un servizio di qualità e quantità prestabilita e il diritto di congiunti e conoscenti di poter rivolgere l’ultimo saluto ad un proprio caro.
Personalmente si ritiene che per analogia con quanto già valevole per la visita di spoglie mortali post funerale, ossia in cimitero, valga anche lo stesso principio nel caso di salma da esporre in casa funeraria, a meno che non vi siano questioni igienico sanitarie o comunque tali da non dar seguito a decisioni tassative e categoriche dell’autorità competente.
Alla stessa conclusione si perviene affidandosi ai principi di umana pietà.Questioni di questo genere non si sono mai poste in precedenza, siccome una chiesa, un luogo di culto (spazio di svolgimento ordinario di onoranze funebri) o prima di essa, un Servizio mortuario ospedaliero, sono in primis un luogo aperto al pubblico e il seconda battuta un luogo di pubblico servizio e quindi per definizione non è possibile impedirne – se non per motivi stabiliti dalla Autorità preposta – l’accesso.
Per la casa funeraria vi è quindi da comprenderne la natura, se quindi possa qualificarsi anch’essa come struttura (questa volta privata) di servizio pubblico, al pari del servizio mortuario di struttura sanitaria.
Tutto il raffinato problema si enuclea in questo legittimo dubbio, cioè se chi acquista il servizio alla casa funeraria abbia titolo a “privatizzare” estremamente la morte, o meglio i riti esequiali per un defunto, in modo da esercitare una sorta di jus escludendi alios.
Per come sono normate a livello regionale le case funerarie (solo essenzialmente sul versante della funzionalità igienico-sanitaria) sembra sia possibile sostenere questa tesi di pubblico servizio.Può essere di interesse però la lettura di un commento alla ordinanza di Corte di Cassazione, sez. III Civile, n.33276 del 29/11/2023 sul risarcimento del danno non patrimoniale a causa della mancata partecipazione al funerale di un genitore.
In buona sostanza la Cassazione, nell’ordinanza citata, dice che le relazioni familiari godono di tutela costituzionale (artt. 29 e 30 Cost.) e secondo la sensibilità comune la partecipazione alle esequie del proprio padre defunto costituisce evento necessariamente unico ed irripetibile, tale da scandire il momento del saluto e della consapevolezza della perdita subita.
Pertanto, la sussistenza di forzati impedimenti, causati dall’altrui inadempimento, alla partecipazione ad un evento siffatto può ragionevolmente essere collocata nell’ambito della soglia della risarcibilità imposta dal diritto vivente, non potendo essere relegata sic et simpliciter, senza alcun apprezzamento da parte del giudice di merito, nell’ambito del pregiudizio bagattellare (per la lettura integrale della sentenza si rimanda anche all’area Sentenze del sito http://www.funerali.org, visionabili dagli abbonati Premium).Detto altrimenti: il gestore di una casa funeraria può essere chiamato in causa dai parenti esclusi dalla partecipazione alle esequie ed essere tenuto ad un risarcimento del danno causato?
La questione si pone e ha un suo fondamento.
Per cui si consiglia per dirimere sul nascere querelles di questo tipo e fino a che la giurisprudenza o la stessa normativa abbiano risolto il dilemma, di operare specificando nel regolamento di esercizio (o meglio nella carta dei servizi) della casa funeraria che l’accesso alle pubbliche esequie è appunto pubblico, tranne i casi denegati dalla competente Autorità (sanitaria, di Pubblica Sicurezza).
Personalmente non accetterei deroghe da parte del familiare che ordina il servizio, ma laddove il gestore della casa funeraria ammetta eccezioni motivate al comportamento generale per espressa volontà da parte del familiare avente titolo, almeno sarebbe d’obbligo cautelarsi con una liberatoria in forma scritta del familiare.In ultima analisi specifichiamo che, sempre ad avviso di chi scrive, è diverso il caso in cui la casa funeraria disponga di camera ardente privata, riservata per appunto la esposizione privata del feretro e dove i familiari aventi titolo possono vegliare il proprio caro defunto.
Anche in questo caso si pone però il problema di qualche familiare che sia escluso dal parteciparvi e quindi possa adire le vie giudiziarie per ottenere un risarcimento del danno subito.
Per cui è utile che la questione sia affrontata dal legislatore o si seguano criteri determinati dalla giurisprudenza dominante.
Alla luce di queste minime considerazioni iniziali si rilegga attentamente il disposto dell’art. 409 Cod. Penale.
Sin qui, in sintesi, la disamina sul quesito proposto, da parte di Daniele Fogli, in una sua risposta specifica pubblicata su funerali.org, in forma gratuita dato il grande valore didattico insito in questa materia, ancora poco scrutinata dai Giudici o dallo stesso legislatore.
In diritto esistono, nel libro delle successioni Cod. Civile, le famose disposizioni a carattere non patrimoniale, a noi spesso molto utili in altri ambiti (electio sepulchri). Esse tuttavia potrebbero estendersi sino a disporre forma, luogo appunto e modalità non solo della sepoltura, ma pure della cerimonia funebre.
L’unica soluzione tecnica e molto empirica che venga a mente sarebbe la chiusura anticipata della cassa, rispetto all’usuale tempo di esposizione salma, per imprescindibili… “ragioni” (?) da inventarsi di volta in volta con molta diplomazia funeraria. Trascorso il tempo minimo si sigilla il cofano: così chi vorrà render l’ultimo omaggio potrà vedere solo la bara, non il cadavere.
Ci sono persone che, pensando al proprio post mortem, ed avendo ben presente i possibili effetti della tanato-morfosi, non vogliono per niente esser viste all’ultimo omaggio (o ingiuria solenne da parte di qualche odiato parente miracolosamente rimasto ancora in vita?).
Tenderemmo, comunque a semplificare, in questo senso: lo strumento testamentario pare eccessivo (non solo per i tempi di esecuzione piuttosto tardivi rispetto al timing del funerale; art. 620, 5 Cod. Civile.), ma – soprattutto – perché indicazioni di tal fatta non sembrerebbero neppure riconducibili alle statuizioni non patrimoniali (da cui siamo partiti in questa azzardata ipotesi).
Si potrebbe affrontare l’oggetto del contendere più che altro sotto il profilo del rispetto di una qualche volontà della persona defunta (come, talora, sui ha quando questi abbia indicato di non affiggere o pubblicare necrologi o di dar notizia dell’avvenuta dipartita solo a posteriori).
Vi è anche un altro punto, cioè quale condotta professionale e deontologica dovrebbe assumere il titolare di una casa funeraria in tali contingenze, dove ai sensi del galateo funerario, e non tanto di qualche norma freddamente giuridica non potrebbe sottrarsi dall’invito agli “esclusi” di non presenziare … per volontà del defunto.
Ma se parliamo di tale figura, dovrebbe considerare anche la posizione di un qualche ministro di culto (non importa di quale religione) che, nella medesima situazione, debba contrastare o proibire la partecipazione di qualche “escluso”. Lasciamo a Voi quest’ultima valutazione di mera opportunità discrezionale.
Di norma la risposta al quesito è data entro 3 giorni lavorativi.
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